
Il Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti ha iniziato giovedì la separazione immediata di oltre 1.000 militari che si identificano apertamente come transgender, dando il via a un controverso giro di vite sulle norme d’inclusione all’interno delle forze armate. La decisione segue l’ordinanza emessa martedì dalla Corte Suprema, che ha autorizzato l’amministrazione Trump a far rispettare il divieto di arruolamento delle persone transgender nell’esercito.
Secondo il Pentagono, ai militari transgender non ancora dichiarati è stato concesso un periodo di 30 giorni per lasciare volontariamente il servizio. Parallelamente, il Dipartimento della Difesa ha avviato un esame delle cartelle cliniche al fine di identificare eventuali membri transgender non dichiarati, mettendo così in dubbio le stime ufficiali che indicano circa 15.000 persone transgender attualmente in servizio.
Il Segretario alla Difesa Pete Hegseth, in un promemoria interno e in un post pubblicato su X (ex Twitter), ha espresso chiaramente il proprio sostegno alla nuova politica: “TRANS è fuori dal Dipartimento della Difesa”. Le sue parole fanno eco alla linea dura dell’ex presidente Donald Trump, che da tempo aveva promesso di limitare la presenza transgender nelle forze armate statunitensi.
Secondo quanto riportato dall’Associated Press, il numero esatto dei militari transgender rimane incerto. Tuttavia, al 9 dicembre 2024, almeno 4.240 membri attivi, appartenenti alla Guardia Nazionale e alla Riserva, avevano ricevuto una diagnosi di disforia di genere. I funzionari del Pentagono ammettono che il dato reale potrebbe essere superiore.
Attualmente, le forze armate statunitensi contano circa 2,1 milioni di militari in servizio. Un recente sondaggio condotto da Rasmussen Reports ha mostrato che il 54% degli elettori statunitensi approva l’ordine esecutivo di Trump che vieta il servizio militare alle persone transgender, inclusi il 38% che lo sostiene con forza.
La mossa ha suscitato forti reazioni da parte delle organizzazioni per i diritti civili, che accusano l’amministrazione di discriminazione sistemica e temono un effetto domino su altri ambiti dell’amministrazione pubblica. Tuttavia, la Casa Bianca e il Dipartimento della Difesa restano fermi nella convinzione che la misura sia necessaria per garantire “la prontezza e l’efficacia operativa” dell’esercito.