L’inflazione è rimasta una sfida critica per le nazioni sviluppate per tutto il 2024, aggravata dalle conseguenze della pandemia di COVID-19 e dalla guerra in corso in Ucraina. Secondo l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE), questi fattori hanno complicato gli sforzi per riportare l’inflazione ai livelli target, creando una fase impegnativa per il 2025.
La guerra in Ucraina ha esacerbato le interruzioni della catena di fornitura e ha fatto aumentare i prezzi dell’energia e dei prodotti alimentari, influenzando significativamente i costi della vita in tutto il mondo. Ciò avviene subito dopo la pandemia, che ha destabilizzato le economie e portato a livelli di inflazione record in alcune regioni.
Le principali economie come gli Stati Uniti e alcune parti d’Europa hanno assistito ai più alti tassi di inflazione degli ultimi quattro decenni, dopo anni di crescita dei prezzi contenuta. Nonostante gli aggressivi aumenti dei tassi di interesse da parte delle banche centrali, le pressioni inflazionistiche rimangono un problema persistente.
A dicembre, la Federal Reserve statunitense ha implementato un taglio dei tassi di 25 punti base, segnalando al contempo misure in corso per combattere l’inflazione nel 2025. Le previsioni di inflazione riviste si attestavano al 2,4% per il 2024 e al 2,5% per il 2025, in parte influenzate dalle politiche commerciali protezionistiche del presidente eletto Donald Trump.
Queste politiche, tra cui tariffe aggiuntive su beni provenienti da Cina, Messico, Canada ed Europa, potrebbero intensificare le tensioni commerciali. Gli analisti avvertono che tali misure potrebbero portare ad azioni reciproche, indebolendo la crescita economica degli Stati Uniti e aumentando le pressioni inflazionistiche.
Sebbene gli Stati Uniti abbiano compiuto progressi significativi nella riduzione dell’inflazione, dal 9,1% a metà del 2022 a meno del 3% nei dati recenti, nuovi dazi potrebbero interrompere questa traiettoria. Si stima che un aumento dei dazi dell’1% aggiunga 0,1 punti percentuali all’inflazione annuale, amplificando le sfide per i decisori politici.
Le restrizioni all’immigrazione proposte dall’amministrazione Trump potrebbero mettere ulteriormente a dura prova i mercati del lavoro, portando potenzialmente a un’inflazione trainata dai salari.
In Europa, l’inflazione si è moderata, con il tasso annuale dell’eurozona che ha raggiunto il 2,2% a novembre. Si prevede che la Banca centrale europea (BCE) taglierà i tassi di interesse all’1,5% entro la fine del 2025. Tuttavia, la lenta crescita economica continua a ostacolare la ripresa della regione.
La Germania, la più grande economia dell’eurozona, si trova ad affrontare molteplici venti contrari, tra cui alti prezzi dell’energia dovuti al conflitto in Ucraina, investimenti deboli e tendenze demografiche sfavorevoli. Le sue industrie dipendenti dall’export, che rappresentano il 30% del PIL, sono alle prese con rallentamenti economici globali e crescente concorrenza da parte della Cina.
L’economia tedesca ha evitato di poco una recessione tecnica nel 2024, crescendo dello 0,2% nel terzo trimestre dopo una contrazione dello 0,3% all’inizio dell’anno. Tuttavia, il suo settore manifatturiero rimane sotto pressione, riflettendo sfide più ampie all’interno dell’eurozona.
Un rapporto della Columbia Business School evidenzia che l’allentamento delle restrizioni commerciali e l’adozione di politiche monetarie restrittive negli anni ’90 hanno aiutato le banche centrali a controllare l’inflazione nelle economie in via di sviluppo. Tuttavia, i tassi di interesse reali a lungo termine più elevati hanno reso più complessa la gestione dell’inflazione, portando a picchi inflazionistici più frequenti durante le interruzioni globali nel 2024.
La lotta contro l’inflazione rimane una battaglia in salita per le nazioni sviluppate, mentre affrontano gli effetti intrecciati di tensioni geopolitiche, interruzioni della catena di fornitura e sfide economiche strutturali. Sebbene siano stati fatti progressi, il percorso verso livelli di inflazione sostenibili richiederà un’attenta politica monetaria, cooperazione internazionale e riforme strutturali per affrontare le vulnerabilità a lungo termine.