
(AGENPARL) – mar 06 dicembre 2022 006 dicembre 2022
LE PROSPETTIVE PER L’ECONOMIA ITALIANA NEL 2022-2023
Nel biennio di previsione, l’aumento del Pil verrebbe sostenuto dal contributo della domanda interna al netto delle scorte (rispettivamente +4,2 e +0,5 punti percentuali) mentre la domanda estera netta fornirebbe un apporto negativo in entrambi gli anni (-0,5 e -0,1 punti percentuali). Nel 2022 le scorte dovrebbero fornire un marginale contributo positivo +0,2 p.p. a cui ne seguirebbe uno nullo nel 2023.
I consumi delle famiglie residenti e delle ISP registreranno una evoluzione in linea con l’andamento dell’attività economica, segnando un deciso aumento nel 2022 (+3,7%) cui seguirà un rallentamento nell’anno successivo (+0,4%). Gli investimenti sono attesi rappresentare l’elemento di traino dell’economia italiana sia nell’anno corrente (+10,0%) sia, in misura più contenuta, nel 2023 (+2,0%).
Nel biennio di previsione l’occupazione, misurata in termini di ULA, segnerà una crescita superiore a quella del Pil con un aumento più accentuato nel 2022 (+4,3%) rispetto a quello del 2023 (+0,5%). Il miglioramento dell’occupazione si accompagnerà a quello del tasso di disoccupazione che scenderà sensibilmente quest’anno (8,1%) per poi registrare un lieve rialzo nel 2023 (8,2%).
La prolungata fase di crescita dei prezzi, sostenuta dall’eccezionale aumento di quelli dei beni energetici, è attesa riflettersi sull’andamento del deflatore della spesa delle famiglie residenti sia nell’anno corrente (+8,2%) sia, in misura più contenuta, nel 2023 (+5,4%).
Lo scenario previsivo è caratterizzato da ipotesi particolarmente favorevoli sul percorso di riduzione dei prezzi nei prossimi mesi e sulla completa attuazione del piano di investimenti pubblici previsti per il prossimo anno.
Prospetto 1. Previsioni per l’economia italiana – Pil e principali componenti
Anni 2020-2023, valori concatenati per le componenti di domanda; variazioni percentuali sull’anno precedente e punti percentuali
Prodotto interno lordo -9,0 6,7 3,9 0,4
Importazioni di beni e servizi fob-12,1 14,7 13,2 2,2
Esportazioni di beni e servizi fob-13,5 13,4 10,8 2,0
DOMANDA INTERNA INCLUSE LE SCORTE -8,5 6,8 4,5 0,4
Spesa delle famiglie residenti e delle ISP -10,4 5,2 3,7 0,4
Spesa delle AP 0,0 1,5 0,2 -0,5
Investimenti fissi lordi -8,0 16,5 10,0 2,0
CONTRIBUTI ALLA CRESCITA DEL PIL
Domanda interna (al netto della variazione delle scorte) -7,7 6,3 4,2 0,5
Domanda estera netta -0,8 0,1 -0,5 -0,1
Variazione delle scorte -0,5 0,3 0,2 0,0
Deflatore della spesa delle famiglie residenti 0,1 1,6 8,2 5,4
Deflatore del prodotto interno lordo 1,6 0,5 3,6 3,6
Retribuzioni lorde per unità di lavoro dipendente 3,9 0,9 2,5 3,4
Unità di lavoro -11,1 7,6 4,3 0,5
Tasso di disoccupazione 9,2 9,3 8,1 8,2
Saldo della bilancia dei beni e servizi / Pil (%) 3,6 2,4 -1,1 -1,1
Il quadro internazionale
Economia mondiale in rallentamento
L’elevata inflazione, trainata dall’andamento dei prezzi delle materie prime energetiche, e l’orientamento restrittivo della politica monetaria nei principali paesi, caratterizzano lo scenario internazionale congiuntamente alla elevata incertezza sull’evoluzione della guerra tra Russia e Ucraina. Questi elementi rappresentano un freno all’economia mondiale che è attesa decelerare quest’anno e il prossimo. La Commissione Europea ha rivisto al ribasso le stime di crescita del Pil mondiale per il biennio 2022-2023 (rispettivamente +3,1% e +2,5%) (Prospetto 2).
Il commercio internazionale di beni e servizi in volume, incrementatosi nel 2021 del 10,4%, ha più che recuperato i livelli pre-pandemia. Nel 2022, gli scambi mondiali hanno continuato ad aumentare favoriti dall’allentamento, nella seconda metà dell’anno, delle strozzature nelle catene globali del valore e dal graduale, seppure contenuto, riassorbimento dello shock dal lato dei prezzi delle materie prime. La domanda internazionale di beni e servizi dovrebbe crescere quest’anno del 5,4% per poi rallentare ulteriormente al 2,3% nel 2023.
Nel terzo trimestre, in Cina il Pil ha segnato un aumento congiunturale (+3,9%), recuperando ampiamente la flessione dei tre mesi precedenti (-2,7%). L’economia cinese dovrebbe crescere nel biennio di previsione rispettivamente del 3,4% e del 4,5%. Le prospettive sono caratterizzate, tuttavia, da un elevato grado di incertezza a causa delle severe restrizioni alla mobilità in atto per contrastare la diffusione dei contagi da Covid-19.
Il Pil degli Stati Uniti, tra luglio e settembre, ha registrato un rimbalzo congiunturale (+0,6%) interrompendo la fase di calo dei ritmi produttivi che aveva caratterizzato i sei mesi precedenti (-0,1% e -0,4% nel primo e secondo trimestre). La ripresa è stata trainata dalle esportazioni nette mentre la domanda interna ha continuato a mostrare segnali di debolezza. L’inflazione, seppur in decelerazione, si è mantenuta su livelli elevati (+7,7% tendenziale a ottobre da +8,2% a settembre) nonostante i consistenti rialzi dei tassi ufficiali che, a novembre, hanno subito il quarto incremento consecutivo di 75 punti base, attestandosi nell’intervallo tra 3,75-4%. La crescita dell’economia statunitense registrerà una decisa decelerazione sia nell’anno in corso sia nel successivo (rispettivamente +1,8% e +0,7%).
Prospetto 2. Principali variabili internazionali
Anni 2021-2023, livelli e variazioni percentuali sull’anno precedente
Prezzo del Brent (dollari a barile) 70,7 103,7 86,0
Tasso di cambio dollaro/euro 1,18 1,06 1,04
Commercio mondiale in volume* 10,4 5,4 2,3
PRODOTTO INTERNO LORDO Mondo 6,0 3,1 2,5
Paesi avanzati 5,6 2,7 0,9
USA 5,9 1,8 0,7
Giappone 1,7 1,7 1,6
Area Euro 5,3 3,2 0,3
Paesi emergenti e in via di sviluppo 6,3 3,4 3,8
Cina 8,1 3,4 4,5
Fonte: DG-ECFIN Autumn Forecasts (2022) ed elaborazioni Istat
*Importazioni mondiali di beni e servizi in volume
Nell’area dell’euro, nel terzo trimestre, il Pil è cresciuto dello 0,2% in termini congiunturali, in rallentamento rispetto ai tre mesi precedenti (+0,6%, +0,8% rispettivamente nel primo e nel secondo trimestre). A livello nazionale, l’andamento del Pil ha mostrato un generale miglioramento caratterizzato da differenti intensità: +0,5% in Italia, +0,4% in Germania e +0,2% in Francia e Spagna.
Il recupero dei livelli di attività pre-crisi appare generalizzato tra i paesi seppure con intensità diverse. Confrontando il valore del Pil destagionalizzato e misurato a prezzi concatenati nel terzo trimestre del 2022 con la media del 2019, l’Italia ha segnato un deciso miglioramento (+1,3%) superiore a quello delle principali economie europee (+1,0% Francia, +0,4% Germania e -1,6% in Spagna).
Nell’area euro l’inflazione ha mostrato un primo rallentamento a novembre (10,0% tendenziale dal 10,6% di ottobre). L’indice core, salito al 6,6% dal 6,4% di ottobre, è ancora sostenuto principalmente dai prezzi dei beni e in misura meno rilevante da quelli dei servizi.
Secondo la Commissione europea la ripresa dei ritmi produttivi determinerebbe un significativo aumento del Pil dell’area euro per l’anno in corso (+3,2%) a cui seguirebbe un deciso rallentamento nel 2023 (+0,3%).
Nel dettaglio, tra i principali paesi, la Spagna crescerebbe quest’anno del 4,5% (+1,0% nel 2023), la Francia del 2,6% (+0,4%) mentre la Germania segnerebbe una crescita più contenuta per l’anno corrente (+1,6%) a cui seguirebbe una flessione nel 2023 (-0,6%).
Lo scorso anno, il tasso di cambio si è attestato a 1,18 dollari per euro mentre per il 2022 si stima un progressivo deprezzamento dell’euro che ha raggiunto 1,06 dollari. In base all’ipotesi tecnica sottostante la previsione, il valore scenderà ulteriormente a 1,04 nel 2023. Le quotazioni del Brent, pari a 70,7 dollari al barile lo scorso anno, mostreranno un deciso rialzo quest’anno per poi ridursi parzialmente nel 2023 (rispettivamente 103,7 e 86,0).
Previsioni per l’economia italiana
Nel terzo trimestre è proseguita la fase di espansione dell’economia italiana (+0,5% la variazione congiunturale) il cui livello ha ampiamente superato quello pre-crisi. L’aumento del Pil è stato sostenuto interamente dalla domanda interna al netto delle scorte, che ha apportato un contributo positivo (+1,6 punti percentuali), mentre la domanda estera netta ha fornito un contributo negativo (-1,3 p.p.), associato al forte aumento delle importazioni (+4,2%) e a un miglioramento solo marginale delle esportazioni (+0,1%).
La domanda interna è stata sostenuta prevalentemente dalla spesa delle famiglie residenti e delle ISP (+2,5% la variazione congiunturale) e, in misura più contenuta, dagli investimenti (+0,8%).
Dal lato dell’offerta, sono emersi andamenti eterogenei tra i settori. Nei servizi è proseguita la fase di espansione del valore aggiunto (+0,9%) trainata dai comparti del commercio, trasporto, alloggio e ristorazione mentre agricoltura, industria in senso stretto e costruzioni hanno invece segnato una diminuzione.
A novembre, gli indici di fiducia delle famiglie e delle imprese hanno mostrato un rialzo interrompendo la fase di flessione che aveva caratterizzato i mesi precedenti (Figura 1 e 2). I consumatori hanno espresso un generalizzato miglioramento dei giudizi su tutte le componenti dell’indice mentre tra le imprese manifatturiere si è segnalata una decisa ripresa delle aspettative di produzione. Nelle costruzioni si è avuto un peggioravano dei giudizi diffuso.
Figura 1. PIL e CLIMA DI FIDUCIA DELLE IMPRESE
(valori concatenati e indici base 2010=100) Figura 2. CONSUMI DELLE FAMIGLIE RESIDENTI e CLIMA DI FIDUCIA DEI CONSUMATORI
(valori concatenati e indici base 2010=100)
Fonte: Istat Fonte: Istat
I segnali per i prossimi mesi appaiono discordanti. Da un lato i miglioramenti della fiducia degli operatori e del mercato del lavoro registrati a ottobre supportano la possibile tenuta dei ritmi produttivi. Dall’altro, è opportuno ricordare come nel terzo trimestre, tra le imprese manifatturiere, sia salita ulteriormente la quota di coloro che indicano i costi e i prezzi più elevati come un ostacolo alle esportazioni. Nello stesso periodo è aumentata anche la quota di imprese che individua nell’insufficienza di domanda un ostacolo alla produzione.
Dal lato della domanda ci si attende un ridimensionamento dei consumi condizionati dai livelli particolarmente elevati dei prezzi. A novembre l’inflazione acquista si attesta all’8,1%, mentre quella al netto dei beni energetici al 4,1%. Anche la spesa per investimento da parte delle imprese segnerebbe una decelerazione condizionata anche dal peggioramento del mark-up.
Nel prossimo anno, sotto l’ipotesi favorevole che inizi una fase di decelerazione dei prezzi dei beni energetici, l’andamento favorevole degli investimenti, sostenuti da quelli pubblici legati all’attuazione del PNRR, costituirebbe il principale fattore di traino dell’economia mentre la domanda estera netta fornirebbe ancora un contributo negativo.
Nel 2022 il Pil segnerebbe un ulteriore miglioramento (+3,9%) trainato dalla domanda interna che, al netto delle scorte, contribuirebbe positivamente per 4,2 punti percentuali mentre la domanda estera netta fornirebbe un apporto negativo (-0,5 punti percentuali). La variazione delle scorte apporterebbe un marginale contributo positivo (+0,2 p.p.). La fase espansiva dell’economia italiana registrerà una decisa decelerazione nel 2023 quando il Pil aumenterà dello 0,4%, sostenuto interamente dal contributo della domanda interna al netto delle scorte (+0,5 punti percentuali) mentre la domanda estera netta fornirebbe un contributo lievemente negativo (-0,1 p.p.).
In questo scenario, il saldo della bilancia commerciale rimarrà in disavanzo nel biennio di previsione (-1,1% in entrambi gli anni).
Consumi in rallentamento
Nel terzo trimestre del 2022, la spesa per consumi è aumentata nei principali paesi europei ad eccezione della Francia in cui si è mantenuta sui livelli del trimestre precedente. L’Italia ha segnato la migliore performance (+1,8%), in lieve accelerazione rispetto al trimestre precedente. La crescita dei consumi di Spagna e Germania è stata invece più contenuta (rispettivamente +1,0% e +0,7%). La spesa delle amministrazioni pubbliche ha mostrato un andamento più eterogeneo registrando un rialzo in Spagna (+0,6%), uno più contenuto in Francia (+0,2%) e una stabilizzazione in Germania. L’Italia ha invece segnato una lieve diminuzione (-0,2%).
La spesa per consumi finali sul territorio economico delle famiglie è diminuita in Francia (-0,2%) ed è aumentata in Germania (+0,8%). In entrambi i paesi la spesa per acquisto di beni durevoli è cresciuta più di quella per servizi mentre è diminuita quella per l’acquisto di beni non durevoli. Nello stesso trimestre, i consumi delle famiglie italiane hanno seguito un andamento simile a quello degli altri principali paesi dell’area euro. La spesa delle famiglie sul territorio economico ha segnato nel terzo trimestre l’aumento congiunturale più marcato (+2,2%) sostenuto dalla ripresa degli acquisti di servizi e beni durevoli (+3,1% e +4,6% rispettivamente, Figura 3). I beni di consumo non durevoli, invece, hanno registrato un lieve rallentamento (-0,3%). La quota di spesa in servizi è tornata sopra il 50%, mantenendosi ancora sotto la media del 2019 (50,2% in T3 2022 rispetto ad una percentuale media del 52,6% nel 2019).
Per il 2022 si prevede un incremento dei consumi delle famiglie e delle ISP in termini reali (+3,7%) che si accompagnerebbe a riduzione della propensione al risparmio. Il miglioramento dei consumi è atteso rallentare nell’anno successivo (+0,4%) condizionato dagli alti livelli di inflazione. Nell’orizzonte di previsione i consumi della PA mostrano un miglioramento nell’anno corrente (+0,2%) per poi ridursi nel 2023 e -0,5%.
Figura 3. CONSUMI FAMIGLIE PER PAESE – TOTALE E SERVIZI
(variazioni congiunturali, dati trimestrali 2022) Figura 4. qUOTA INVESTIMENTI SU pIL PER TIPOLOGIA E PAESE
(media annuale 2019 e terzo trimestre 2022)
Fonte: EurostatFonte: EurostatInvestimenti in miglioramento
La fase di ripresa economica italiana è stata guidata dall’ampio recupero degli investimenti, la cui quota sul Pil, misurata a prezzi correnti, è aumentata nel terzo trimestre del 2022 di 3,6 punti percentuali rispetto alla media del 2019, attestandosi al 21,6%, un livello ancora inferiore a quello osservato in Francia e Germania (rispettivamente 25,2% e 22,8%) ma superiore a quello della Spagna (20,8%, Figura 4). L’aumento della quota di investimento in costruzioni (+2,7 p.p.) è in parte legato alle politiche di sostegno al settore. Nello stesso periodo è salita anche la quota di investimenti in impianti, macchinari e armamenti (+0,9 p.p.) e, in misura modesta, quella dei prodotti di proprietà intellettuale (+0,1 p.p.), aggregato che comprende la ricerca e sviluppo e software.
Nel terzo trimestre dell’anno in corso l’Italia ha evidenziato, rispetto ai principali paesi europei, una quota elevata di investimenti in impianti, macchinari e armamenti (36,1%, circa 7 p.p. in più rispetto alla media dell’area euro) e una contenuta presenza di quelli in prodotti di proprietà intellettuale (14,6%, circa 5 punti in meno rispetto alla media dell’area euro).
Nei primi tre trimestri del 2022 gli investimenti italiani hanno registrato un significativo progresso, rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente (+10,8%), decisamente superiore a quello osservato da Francia Germania e Spagna (rispettivamente +2,0%, +0,2% e +4,8%). La crescita italiana è stata trainata dagli investimenti in costruzioni (+12,8%) e in impianti macchinari e armamenti (+11,6%).
Il rinnovo da parte del governo delle misure di sostegno al settore delle costruzioni, la realizzazione del piano di investimenti pubblici previsti dal PNRR e i timidi segnali di ripresa della fiducia nelle imprese, sono elementi che dovrebbero compensare i segnali negativi provenienti dal peggioramento delle attese sulla liquidità tra le imprese manifatturiere, l’aumento dei costi di produzione e la politica monetaria meno accomodante prevista per il 2023.
Nel 2022 il processo di accumulazione di capitale è previsto in crescita del 10,0% per poi rallentare nell’anno successivo (+2,0%) pur mantenendo il ruolo di motore principale dell’aumento di Pil. Nel 2023 il rapporto tra investimenti e Pil si attesterebbe al 21,5%.
Dinamismo negli scambi con l’estero ma disavanzo commerciale in crescita
Nel periodo gennaio-settembre di quest’anno gli scambi con l’estero dell’Italia hanno mostrato una dinamica vivace, sia per le esportazioni sia per le importazioni rispetto ai principali paesi europei (Figura 5). Tuttavia, l’ampliamento del disavanzo commerciale, determinato dall’eccezionale incremento dei prezzi delle materie prime, ha rappresentato un fattore negativo.
Nei primi tre trimestri dell’anno, seppure in graduale rallentamento, le esportazioni di beni e servizi misurate in valori concatenati sono aumentate complessivamente di oltre il 10% grazie alla vivacità delle vendite di beni e al buon andamento dei flussi turistici.
Figura 5. esportazioni di beni in volume per paese
(variazioni tendenziali, dati trimestrali 2022, valori concatenati) Figura 6. saldo commerciale dell’italia per tipologia di beni
(valori in miliardi di euro,)
Fonte: EurostatFonte: Istat
I dati di commercio estero mettono in evidenza un recupero di quote di mercato delle esportazioni totali italiane, misurate in valore, rispetto all’aggregato costituito da Francia, Germania, Italia e Spagna. Il miglioramento delle quote risulta più accentuato verso i paesi extra Ue.
La crescita delle importazioni, favorite dall’andamento favorevole della domanda interna, ha interessato i beni di consumo, quelli intermedi e energetici. Pesa, tuttavia, sull’andamento degli scambi il deterioramento del saldo commerciale italiano che, negativo dal primo trimestre del 2022, ha registrato un graduale peggioramento nel corso dell’anno ed ha superato, secondo le statistiche sul commercio con l’estero i 16 miliardi di euro nel terzo trimestre (era pari a 9,9 miliardi nello stesso periodo dello scorso anno). Il forte aumento dei listini delle materie prime ha inciso negativamente soprattutto sul disavanzo energetico e su quello di beni intermedi, in particolare i prodotti chimici e della siderurgia e i metalli (Figura 6).
Nonostante il rallentamento, per il 2022 si prevede un aumento delle esportazioni di beni e servizi del 10,8% e delle importazioni del 13,2% mentre il contributo della domanda estera alla crescita del Pil risulterebbe negativo (-0,5 punti percentuali). Nel prossimo anno il marcato rallentamento del commercio mondiale porterebbe a una forte decelerazione sia per le importazioni sia per le esportazioni (+2,2% e +2,0% rispettivamente).
Miglioramenti sul mercato del lavoro
Nel terzo trimestre le condizioni del mercato del lavoro hanno mostrato una sostanziale stabilizzazione con una variazione nulla delle ore lavorate e una marginale riduzione delle unità di lavoro (ULA) per il totale dell’economia (-0,1% la variazione congiunturale), a sintesi di un miglioramento nell’industria in senso stretto (+0,9%), di una riduzione nell’agricoltura e nelle costruzioni (rispettivamente -2,5% e -1,1%) e di una stabilizzazione nei servizi.
A ottobre, il mercato del lavoro ha registrato un ulteriore segnale positivo: la crescita dell’occupazione (+0,4% rispetto al mese precedente, +82mila occupati) porta il tasso di occupazione al 60,5% (+0,2 punti), mentre la disoccupazione si è attestata al 7,8% (-0,1 punti in meno rispetto al mese precedente). Anche il numero di inattivi si è ulteriormente ridotto (-0,5%).
La fase di ripresa dell’attività economica italiana ha avuto un effetto sui differenziali con l’area euro in termini di tasso di occupazione e di disoccupazione. Nel primo caso, considerando l’intervallo tra il primo trimestre 2019 e il secondo trimestre 2022, la distanza si è moderatamente ampliata passando da 9 punti percentuali (67,8% e 58,8% rispettivamente) a 9,4 p.p. (69,7% e 60,3% rispettivamente) evidenziando come la crescita del tasso di occupazione dell’area euro sia stata superiore a quella italiana. Rispetto al tasso di disoccupazione la distanza si è invece ridotta passando, nello stesso periodo, da 3,1 p.p. (8,2% e 11,3%) a 1,4 p.p. (6,7% e 8,1%).
Le prospettive sull’occupazione mostrano una sostanziale tenuta. Nel terzo trimestre il tasso di posti vacanti per le imprese con almeno 10 dipendenti, si è mantenuto sui livelli del trimestre precedente (1,8%) a sintesi di un incremento nell’industria (+0,1 punti percentuali) e di un decremento nei servizi (-0,1 punti percentuali). A novembre le aspettative delle imprese sull’occupazione hanno evidenziato una eterogeneità con miglioramenti nella manifattura e nei servizi di mercato e un peggioramento nelle costruzioni.
In questo scenario la crescita delle ULA nel biennio di previsione (rispettivamente +4,3% e +0,5%) si manterrà superiore a quella del Pil. Il tasso di disoccupazione segnerà un deciso miglioramento nel corso dell’anno (8,1%) per poi mostrare un limitato rialzo nel 2023 (8,2%).
In presenza di una fase contrattuale caratterizzata da recenti rinnovi nel settore industriale ma con più di due terzi dei dipendenti dei servizi in attesa di rinnovo, le retribuzioni per ULA segnerebbero un aumento nel biennio di previsione (rispettivamente +2,5% e +3,4%) significativamente inferiore al deflatore della spesa delle famiglie.
Figura 7. Differenziali dei tassi del mercato del lavoro italiano con l’area euro
(dati trimestrali 2019, 2022) Figura 8. inflazione al consumo in italia per componenti
(Indice di prezzi al consumo per l’intera collettività, variazioni tendenziali, dati mensili 2021 e 2022)
Fonte: Istat Fonte: Istat
a) Calcolata al netto dell’energia, degli alimentari (incluse bevande alcoliche) e tabacchi
Prosegue la diffusione dell’inflazione.
Dopo una lunga fase di accelerazione che ha attraversato quasi tutto il 2022, a novembre l’inflazione si è stabilizzata. L’indice generale ha riportato una variazione tendenziale pari all’11,8% nel mese di ottobre e di novembre, dopo aver registrato una crescita tendenziale pari all’8,4% nel terzo trimestre. Il risultato di novembre sintetizza da un lato il rallentamento dei listini dei beni energetici non regolamentati (+69,9% da +79,4% di ottobre) e dei beni alimentari non lavorati (+11,3% da +12,9%), andamento legato alla decelerazione dei prezzi delle materie prime, dall’altro, nonostante le politiche adottate per contenere le tariffe delle bollette, i prezzi degli energetici regolamentati e dei beni alimentari lavorati hanno mostrato un’ulteriore crescita (+56,1% e +14,4% rispettivamente).
I prezzi degli altri beni continuano a mostrare un deciso aumento (+5% a novembre da +4,6% del mese precedente) mentre i listini dei servizi si mantengono sui livelli del mese precedente (+3,8%). In particolare, continuano a crescere i prezzi dei servizi per l’abitazione e quelli ricreativi e culturali, mentre rallentano i prezzi dei trasporti (+6,8% a novembre da +7,2%).
Nel corso del 2022 la diffusione della fase di crescita dei prezzi si è riflessa nelle misure dell’inflazione di fondo, e in particolare in quella al netto dei soli beni energetici (6,1% a novembre da 5,9% a ottobre, Figura 7).
L’andamento dell’inflazione italiana a ottobre e novembre, misurata dall’indice armonizzato dei prezzi al consumo IPCA, risulta superiore a quello dell’area euro con un ulteriore aumento del differenziale (rispettivamente +2,0 e +2,5 punti percentuali). A novembre l’IPCA al netto dei soli beni energetici mostra invece un differenziale negativo rispetto alla media dell’area (-0,5 punti percentuali), evidenziando come la dinamica tendenziale dei prezzi della componente energia risulti particolarmente sostenuta per l’Italia (+67,8% a novembre) rispetto a quella di Germania (+39,8%) e Francia (+19%).
Per il 2022 la variazione acquisita dell’IPCA al netto dei beni energetici risulta pari al 4,4%, un valore in linea con la previsione dell’indice IPCA al netto degli energetici importati diffuso dall’Istat il 7 giugno 2022 (+4,7%).
L’inflazione è attesa decelerare nei prossimi mesi, anche se con tempi e intensità ancora incerti. Nella media del 2022, il tasso di variazione del deflatore della spesa delle famiglie è previsto crescere (+8,2%, era +1,6% nel 2021) mentre il deflatore del Pil segnerà un incremento significativo ma più contenuto (+3,6%, era +0,5% nel 2021).
Sotto l’ipotesi che le pressioni al rialzo dei prezzi delle materie prime siano contenute nei prossimi mesi e in presenza di una stabilizzazione delle quotazioni del petrolio e del cambio, nel prossimo anno l’inflazione è attesa in parziale decelerazione. Nel 2023, il deflatore della spesa per consumi delle famiglie e quello del Pil sono previsti crescere rispettivamente del 5,4% e 3,6% in media d’anno.
Revisioni del precedente quadro previsivoL’attuale scenario previsivo fornisce un aggiornamento delle stime per il biennio 2022-2023 diffuse a giugno.
La revisione delle variabili esogene ha riguardato prevalentemente il commercio mondiale, -0.4 punti percentuali nel 2022 e -2.5 p.p nel 2023 rispetto alle ipotesi di giugno e il prezzo del petrolio, +2,3 dollari il barile nel 2022 e -15,4 nel 2023.
L’ aggiornamento delle esogene ha avuto un impatto sull’andamento del commercio estero con revisioni al rialzo sia delle importazioni che delle esportazioni (rispettivamente +4,7 p,p, e +4,1 p.p).
Il miglioramento del ciclo economico negli ultimi mesi ha portato anche a una revisione della stima del Pil per il 2022 di +1,1 punti percentuali (da 2,8% a +3,9), della spesa delle famiglie residenti e ISP (+1,4 punti percentuali) e degli investimenti (+1,1 p.p).
La revisione al ribasso del commercio e del Pil mondiale ha determinato una riduzione delle previsioni per il Pil nel 2023 (-1,5 punti percentuali, da 1,9% a 0,4%), degli investimenti (-2,4 p.p) e dei consumi (-1,3 p.p.). L’eccezionale andamento dei prezzi energetici ha determinato una revisione al rialzo dei deflatori del Pil (+2,2 p.p ) e della spesa delle famiglie (+2,7 p.p.) per il 2023 rispetto al precedente quadro previsivo.
Servizio per l’analisi dei dati e la ricerca
economica, sociale e ambientale
Servizio per l’analisi dei dati e la ricerca
economica, sociale e ambientale
Il Modello Macroeconometrico dell’ISTAT
Nota Metodologica
Introduzione
Questa nota descrive le caratteristiche principali del modello di previsione economica sviluppato dall’Istat: Macro Econometric Model for Italy (MEMo-It). Il modello contiene 66 equazioni stocastiche e 91 identità contabili con frequenza annuale e fornisce una rappresentazione del sistema economico italiano mediante la specificazione di equazioni di comportamento per gli operatori del sistema economico (Famiglie, Imprese, Amministrazioni Pubbliche e Resto del mondo). Le serie storiche delle variabili utilizzate dal modello sono riferite al periodo 1970-2021. Laddove i dati delle serie non erano presenti si è proceduto a ricostruzioni ad hoc dei dati mancanti.
L’approccio teorico utilizzato nella costruzione del modello è di tipo neo-keynesiano. Nel modello, la dinamica della crescita economica nel breve periodo è trainata da fattori di domanda, mentre nel lungo periodo il sistema tende a condizioni di equilibrio rappresentate dal prodotto potenziale. L’interazione fra domanda e offerta aggregate avviene mediante il sistema dei prezzi che reagiscono a scostamenti del tasso di disoccupazione effettivo rispetto al tasso di disoccupazione naturale (NAIRU) e a squilibri fra prodotto effettivo e potenziale (output gap). Il modello si articola in blocchi, in cui è stata definita a priori la direzione di causalità nelle equazioni di comportamento e l’intelaiatura delle identità contabili.
Le fasi di specificazione e stima del modello seguono tre momenti successivi: (a) analisi per singole equazioni o blocchi di esse delle proprietà di integrazione e cointegrazione delle variabili e valutazione dell’esogeneità debole per blocchi di variabili rilevanti; (b) stime uniequazionali a due stadi delle variabili del modello per dare conto di endogeneità e di errori di misura delle variabili esplicative; (c) unione delle singole equazioni e blocchi del modello con stima a tre stadi dei loro parametri per tenere conto della covarianza fra termini di disturbo appartenenti a diverse equazioni stocastiche.
Le proprietà dinamiche del modello sono valutate a livello di sistema mediante una sequenza prefissata di esercizi di shock ad alcune variabili esogene rispetto alla soluzione di base. Tali esercizi sono svolti mediante tecniche di simulazione deterministica e stocastica. Gli errori standard ottenuti nella fase di stima a tre stadi del modello completo generano la soluzione stocastica del modello che permette di quantificare l’incertezza della previsione.
Il modello nella sua versione attuale propone una descrizione aggregata del sistema economico. Le linee di ricerca per lo sviluppo del modello si concentreranno in futuro sia sulla esplicita rappresentazione del comportamento dei diversi settori economici, sia sulla estensione ai movimenti economici infrannuali.
Il resto di questa nota è organizzato come segue. Nel secondo paragrafo si descrivono le caratteristiche del blocco di offerta mentre il terzo e il quarto paragrafo, contengono la descrizione del sistema dei prezzi e del mercato del lavoro. Nel quinto paragrafo si illustra il blocco di domanda articolata per singoli operatori. Infine il sesto paragrafo è dedicato alla descrizione della banca dati del modello.
L’offerta
Il lato dell’offerta viene inserito nel modello facendo riferimento al “modello di Solow”, in base al quale gli stock di risorse produttive (capitale e lavoro) e il progresso tecnico costituiscono le determinanti principali della crescita economica. Ciò costituisce la base per la stima del livello di prodotto potenziale, definito come il livello di output sostenibile senza generare un aumento dell’inflazione. Nel lungo periodo il sistema economico converge verso il sentiero di crescita potenziale, determinato esclusivamente dalle forze di offerta, mentre nel breve periodo fluttua intorno ad esso a causa di shock generati dalle forze di domanda. Tali fluttuazioni sono colte dagli scostamenti del prodotto effettivo (YEFF) dal suo livello potenziale (YPOT) sintetizzabili attraverso l’output gap definito dalla seguente espressione:
GAP = YEFF / YPOT – 1
Il divario tra produzione effettiva e potenziale è inversamente correlato al divario tra disoccupazione effettiva (UR) e disoccupazione strutturale (NAIRU) in base alla seguente relazione (Okun, 1962):
GAP = -b (UR – NAIRU)
Gli squilibri tra disoccupazione effettiva e strutturale e tra prodotto effettivo e potenziale generano a loro volta variazioni nei prezzi tali da riequilibrare il sistema.
Nel modello il prodotto potenziale è misurato seguendo l’approccio della funzione di produzione, in analogia a quanto suggerito dalla Commissione Europea (si veda D’Auria et al., 2010). L’ipotesi principale è che l’offerta potenziale dell’economia possa essere rappresentata da una funzione di produzione di tipo Cobb-Douglas. In termini formali:
YPOT = fPOT (K, LP, HTFP)
dove LP rappresenta l’input di lavoro potenziale, K lo stock di capitale e HTFP è la componente di trend della produttività totale dei fattori (residuo di Solow). L’input di lavoro potenziale viene ottenuto depurando l’occupazione effettiva dalla componente ciclica. Lo stock di capitale potenziale K è ottenuto con il metodo dell’inventario permanente (Goldsmith, 1951). L’assunzione principale è che lo stock di capitale potenziale coincide con quello effettivo nell’ipotesi che esso rappresenti l’utilizzo di pieno impiego dei beni capitali.
Prezzi e salari
Il meccanismo di formazione di prezzi e salari spinge la domanda effettiva in beni e servizi e l’occupazione ad aggiustarsi rispettivamente al livello di offerta (prodotto potenziale) e all’occupazione potenziale, definita a sua volta dall’interazione fra NAIRU e una combinazione di tasso di partecipazione alle forze di lavoro e dinamica demografica della popolazione in età da lavoro.
Utilizzando la stilizzazione del “triangolo” proposta da Gordon (1981, 1988), sia la variabile prezzo di riferimento del sistema economico (pivot), sia i redditi da lavoro dipendente pro capite risentono di tre effetti principali: (1) la persistenza, misurata dalla loro dinamica negli anni precedenti; (2) gli shock di domanda, misurati dall’output gap e dall’eccesso del livello effettivo di disoccupazione rispetto al NAIRU; (3) altri shock di rilievo, nel contesto economico italiano come quelli derivanti dai i prezzi all’importazione, da shock di produttività del lavoro e da tensioni sul mercato del lavoro nelle fasi di rinnovo contrattuale.
Il deflatore del valore aggiunto al costo dei fattori (PV) è il prezzo pivot del modello:
dlogPV = fPV (dlogPV-1, GAP, WB/YU)
dove dlogPV-1 misura l’inerzia, GAP misura gli shock di domanda, WB/YU (costo reale del lavoro per unità di prodotto ottenuto dal rapporto fra redditi da lavoro dipendente e PIL a prezzi correnti) misura shock di produttività e costo del lavoro. L’equazione per PV può anche essere interpretata come una curva di Phillips neokeynesiana (NKPC, Galì e Gertler, 1999) in cui si ipotizza che le aspettative sono backward-looking.
La crescita del salario nominale è spiegata dal deflatore dei consumi delle famiglie nell’anno precedente (che implica aspettative di inflazione backward-looking), dal tasso di disoccupazione, dalla produttività del lavoro e da una variabile che misura le tensioni sul mercato del lavoro nelle fasi di rinnovo contrattuale.
Il deflatore delle importazioni è determinato dall’indice di prezzo in dollari dei manufatti sui mercati internazionali, dalle quotazioni in dollari del Brent e dal tasso di cambio nominale del dollaro rispetto all’euro. A questi fattori si unisce una componente di persistenza misurata dal tasso di inflazione del deflatore delle importazioni nell’anno precedente.
I deflatori delle componenti della domanda dipendono da queste variabili e dalle aliquote effettive medie di imposizione indiretta distinte per: imposta sul valore aggiunto, altre imposte indirette e contributi alla produzione.
Il mercato del lavoro
Il blocco del mercato del lavoro è rappresentato attraverso tre gruppi di equazioni che definiscono rispettivamente la domanda di lavoro, l’offerta di lavoro e i salari. La specificazione della domanda di lavoro deriva direttamente dalla funzione di produzione (Hamermesh 1996 e 1999). In tale contesto, nell’ipotesi di concorrenza perfetta in cui il fattore lavoro è remunerato in base al prodotto marginale, si deriva l’equazione della domanda di lavoro che dipende positivamente dall’output e negativamente dal salario reale. Di conseguenza la domanda del settore privato (LDP), espressa in termini di unità di lavoro standard (ULA), è definita dalla seguente espressione:
LDP=fLD(Y, PY,WBLDD,PV)dove Y è il valore aggiunto a prezzi correnti, PY è il deflatore del PIL, WB rappresenta l’ammontare dei redditi da lavoro dipendente a prezzi correnti al lordo dei contributi sociali, LDD definisce le unità di lavoro dipendenti espresse in funzione della capacità produttiva, PV il deflatore del valore aggiunto al costo dei fattori.
L’input di lavoro del settore pubblico (LDG) è esogeno. Ne segue che il totale dell’input di lavoro (LD) utilizzato nel processo produttivo è costituito da:
LD?(LDP+LDG)L’equilibrio del mercato del lavoro si ottiene attraverso l’interazione tra domanda e offerta. Nel modello si tiene conto dei fattori demografici e della relazione tra fluttuazioni del ciclo economico e dei tassi di partecipazione (Lucas e Rapping, 1969) utilizzando la variabile forza di lavoro nella definizione della funzione di offerta.
L’offerta di lavoro è definita in termini di tassi di partecipazione disaggregati per genere (i = F, M). Più precisamente il tasso di partecipazione (PARTi) è specificato nel modo seguente:
PARTi=fLS(POPi,WIPC,EMPRi, PCH)dove POPi è la popolazione dai 15 ai 64 anni distinta per genere, WIPC/PCH sono le retribuzioni pro capite reali (PCH è il deflatore dei consumi privati), EMPRi è il tasso di occupazione, che fornisce una misura sintetica delle condizioni del mercato del lavoro (Bodo e Visco 1987). Le due misure del lavoro utilizzate nel modello, le unità di lavoro standard e l’occupazione residente sono rese coerenti mediante una equazione di raccordo. Combinando le informazioni sull’occupazione residente e le forze di lavoro (funzione di offerta) si deriva come identità il tasso di disoccupazione.
La domanda
Il lato della domanda del modello fa riferimento al comportamento degli operatori economici: Famiglie, Imprese, Amministrazioni Pubbliche e Resto del mondo. Le Famiglie spendono per consumi e investimenti residenziali ed accumulano ricchezza reale e finanziaria; le imprese acquistano tutte le altre tipologie di beni di investimento (macchine ed attrezzature, e altro); la spesa delle Amministrazioni Pubbliche influenza direttamente la domanda finale attraverso i consumi e gli investimenti pubblici; il Resto del mondo determina la componente estera della domanda data dalle esportazioni al netto delle importazioni.
Le Famiglie
L’approccio teorico alla determinazione del consumo delle famiglie si riconduce alla teoria del reddito permanente (Friedman, 1957). Un approccio simile per l’Italia è stato seguito, tra gli altri, in Rossi e Visco (1995) e, più recentemente, in Bassanetti e Zollino (2008). Il consumo a prezzi costanti (CHO) risulta quindi funzione del reddito disponibile, della ricchezza (reale e finanziaria) e del tasso di interesse:
CHO=fCHO(YDH, HWFA,HWDW,PCH, IRN)dove YDH è il reddito disponibile a prezzi correnti, HWFA e HWDW sono rispettivamente le ricchezze finanziaria e reale anch’esse espresse a prezzi correnti, PCH è il deflatore dei consumi e IRN è il tasso di interesse nominale a lungo termine.
La parte di reddito disponibile non consumata va ad alimentare l’accumulazione della ricchezza reale, mentre la quota di reddito disponibile non allocata in consumi e investimenti residenziali (IRO), contribuisce all’accrescimento dello stock di ricchezza finanziaria. I due stock di ricchezza, valutati ai prezzi di mercato, sono modellati seguendo una specificazione coerente con l’approccio dell’inventario permanente (Goldsmith, 1951). Le equazioni per gli investimenti residenziali, la ricchezza reale e finanziaria sono rispettivamente:
IRO=fIRO(YDH, PIR, IRN)HWDW=fHWDW(YDH, IRO, PIR, IRN) HWFA=fHWFA(YDH,CHO,IRO, IRN, COMIT)dove PIR è il deflatore degli investimenti residenziali e COMIT è l’indice azionario che lega la dinamica della ricchezza finanziaria, oltre che al reddito risparmiato e non investito in beni reali, ai guadagni/perdite in conto capitale dei titoli mobiliari.
Il reddito disponibile è ottenuto, come identità, dalla somma di diverse componenti riferite al settore istituzionale delle famiglie, in particolare:
YDH=GOSH+WBH+IDH+SBH+OCTH-(SSH+DTH)dove GOSH è il margine operativo lordo, WBH è il totale delle retribuzioni al netto di quelle provenienti dal resto del mondo, IDH sono i redditi da interessi e dividendi, SBH sono le prestazioni sociali nette, OCTH altri trasferimenti, SSH i contributi sociali netti e, infine, DTH le imposte dirette versate.
Le Imprese
Le imprese partecipano alla realtà economica stilizzata dal modello realizzando investimenti in macchine e attrezzature e altri beni produttivi che, espressi come quota sul prodotto potenziale, sono caratterizzati da un fattore di persistenza, dal costo d’uso del capitale, dal risultato lordo di gestione (inteso come una misura di sintesi di profitti e autofinanziamento) e dal grado di incertezza (misurato dalla volatilità condizionale dei disturbi del ciclo economico).
Il costo d’uso misura il prezzo di servizi produttivi generati da un bene capitale. Si ipotizza che esso sia funzione del costo di finanziamento (o il costo opportunità di rinunciare ad un investimento alternativo nel caso di autofinanziamento), del deprezzamento economico che il bene capitale subisce nel periodo di utilizzo e dei guadagni o le perdite in conto capitale dovuti ad aumenti/diminuzioni del prezzo d’acquisto del bene.
Le Amministrazioni Pubbliche
La descrizione del settore pubblico all’interno del modello MEMo-It segue un approccio di tipo istituzionale, caratterizzato da identità e relazioni algebriche che riproducono in modo stilizzato le regole contabili (SEC95) e le normative che definiscono gli andamenti dei principali aggregati del conto economico consolidato delle Amministrazioni Pubbliche (AP).
Le relazioni dirette tra AP ed il resto del sistema economico si esplicano attraverso gli effetti sulla domanda totale esercitati dalla spesa per consumi finali delle AP, dagli investimenti pubblici e dai redditi erogati dal settore pubblico. Le AP agiscono anche sui prezzi (mediante le aliquote delle imposte indirette nette), sul costo del lavoro unitario (mediante le aliquote dei contributi sociali), sul reddito disponibile (mediante prelievo fiscale diretto ed i trasferimenti).
Le uscite totali delle AP sono disaggregate in spesa per consumi finali, contributi alla produzione, interessi passivi, investimenti fissi lordi, contributi agli investimenti e una variabile residuale esogena che raccoglie le rimanenti voci di spesa del conto delle AP. L’aggregato della spesa per consumi finali è dato dalla somma di due componenti: la spesa diretta e i redditi da lavoro dipendente, questi ultimi ottenuti dalla retribuzione media pro-capite riferita al settore pubblico e stimata nel blocco relativo al mercato del lavoro e dal numero dei dipendenti pubblici.
La spesa diretta in volume e il numero di dipendenti sono considerate esogene e costituiscono variabili strumento della politica fiscale. Gli investimenti pubblici sono considerati esogeni in termini reali ed il relativo deflatore è ottenuto nel blocco relativo alla formazione dei prezzi. Le prestazioni sociali in termini nominali, infine, sono collegate alla struttura per età della popolazione e a un indicatore di prezzo. I contributi alla produzione ed i contributi agli investimenti sono legati rispettivamente al valore aggiunto ed agli investimenti del settore privato mediante un coefficiente che esprime la percentuale di contribuzione al settore privato.
Le entrate totali sono disaggregate in contributi sociali, imposte indirette, imposte dirette ed una voce residuale esogena. I contributi sociali sono calcolati come somma dei contributi pagati dai datori di lavoro, quelli a carico dei lavoratori dipendenti e quelli versati dai lavoratori autonomi. Alla base di calcolo si applicano specifiche aliquote media effettive.
Le imposte indirette sono date dalla somma dei gettiti derivanti dall’Imposta sul valore aggiunto (IVA), dall’Imposta sulle attività produttive (IRAP) e dalle accise sugli oli minerali e derivati, cui si aggiunge una voce residuale esogena. Anche in questo caso si definiscono appropriate aliquote medie effettive che il modello considera esogene. Il gettito dell’imposta sugli oli minerali e derivati viene calcolato mediante due equazioni: nella prima si quantifica l’intensità energetica del prodotto interno lordo (in funzione di persistenza e del prezzo in euro del barile); nella seconda si calcola il gettito moltiplicando un’aliquota media effettiva (esogena) per il consumo energetico.
A partire da aliquote medie effettive esogene, le imposte dirette vengono calcolate come somma dei gettiti derivanti dall’Imposta sul reddito delle persone fisiche, dall’Imposta sul reddito delle società, dall’imposta sostitutiva sugli interessi e su altri redditi da capitale, e da una voce residuale esogena. Infine, l’imposta sostitutiva sugli interessi e sugli altri redditi da capitale è stimata in funzione del relativo gettito dell’anno precedente, del prodotto, della variazione dei tassi di interesse e delle nuove attività finanziarie, approssimate dal risparmio delle famiglie.
Il saldo del conto economico delle AP è ottenuto dalla differenza tra entrate totali e uscite totali. Lo stock del debito pubblico è calcolato sottraendo dalla consistenza dell’anno precedente il saldo del conto economico delle AP ed aggiungendo una variabile di aggiustamento, esogena, per tener conto di tutti quei fattori che incidono direttamente sul debito senza influenzare il saldo del conto economico (operazioni finanziarie, modifiche di valore degli strumenti finanziari, privatizzazioni, ecc.). Gli interessi passivi sono calcolati moltiplicando il costo medio alla consistenza del debito. Il costo medio del debito pubblico è stimato in funzione di tassi di interesse a breve e a lungo termine.
Il settore estero
La specificazione del blocco estero si basa sull’identità contabile che definisce il saldo delle transazioni con il resto del mondo:
ROWSALDO=(XO×PX-MO×PM)+ (WB–WBH)+(APETIND-APUCP–TINDN)+ROWDT+ROWID+ROWSB+ROWOTHdove (XO×PX-MO×PM) rappresenta il saldo della bilancia commerciale in valore (XO e MO sono le esportazioni e le importazioni in quantità PX e PM i rispettivi prezzi); (WB–WBH) sono i redditi da lavoro netti dall’estero; (APETIND-APUCP–TINDN) sono le imposte indirette nette; ROWID sono i redditi netti da capitale; ROWDT sono le imposte correnti sul reddito sul patrimonio; ROWSB sono le prestazioni sociali; ROWOTH sono gli altri trasferimenti.
L’approccio teorico alla determinazione del saldo con il resto del mondo adottato nel modello fa riferimento alla letteratura più recente (Lane e Milesi-Ferretti, 2011; Obstfeld e Rogoff, 2010). In particolare, l’equazione delle importazioni di beni e servizi in volume ha la seguente specificazione:
MO=fMO(DDO,PM, GAP)dove DDO è la domanda interna in termini reali, PM è il deflatore delle importazioni e GAP misura gli effetti delle fluttuazioni cicliche di breve periodo.
L’equazione delle esportazioni in volume è espressa come segue:
XO=fXO(WDXXTR, ITXRXER)dove WDXXTR rappresenta il valore delle esportazioni mondiali e ITXRXER il tasso di cambio reale effettivo.
I redditi da capitale netti (che includono principalmente utili e dividendi) sono derivati attraverso la seguente funzione:
ROWID=fROWID(APSALDO)dove APSALDO è il saldo del conto delle Amministrazioni Pubbliche. L’introduzione di tale variabile è giustificata dal fatto che un miglioramento del saldo delle AP è atteso ridurre il premio al rischio (Lane e Milesi-Ferretti, 2011; Caporale e Williams, 2002) e per questa via migliorare il saldo dei redditi da capitale (principalmente attraverso una riduzione della componente di interessi).
Infine, l’equazione degli altri trasferimenti (che accorpano il saldo dei trasferimenti pubblici e privati sia in conto corrente sia in conto capitale) è data da:
ROWOTH=fROWOTH(ITALIA)dove ITALIA approssima la quota di export italiano, che si ipotizza abbia una relazione inversa con i trasferimenti in entrata.
Le serie storiche utilizzate per la stima del modello e il trattamento delle variabili esogene
Il modello è sviluppato a partire da un input di 142 serie storiche di base a frequenza annuale riferite ad un periodo temporale che va dal 1970 al 2021. Il processo di stima del modello genera in tutto 222 variabili, di cui 157 endogene (66 stocastiche e 91 identità) e 65 esogene (di cui 9 di scenario).
Un’ampia parte delle variabili di input sono di fonte contabilità nazionale che, a settembre 2019, ha rilasciato le stime relative alla revisione generale dei Conti Economici Nazionali, concordata in sede europea a cinque anni dal passaggio al SEC 2010 e che ha introdotto innovazioni e miglioramenti di metodi e di fonti.
