[lid] Il convegno “Lupo e Uomo: insieme si Può!” tenutosi a Casoli, in Abruzzo, lo scorso 25 Agosto ha innescato un animoso dibatto tra allevatori, esponenti del WWF e rappresentanti delle istituzioni comunali, dando luogo ad un acceso scambio di botte e risposte, consumatosi su diverse testate regionali e nazionali. Come antropologo, e difensore dei diritti umani, anch’io ero lì, a documentare l’intero dibattito con la mia cinepresa. Dopo aver visionato accuratamente l’intera documentazione audio-visiva (ora disponibile online https://vimeo.com/laziopastorizia, vorrei tentare di fare una sintesi e, se possibile, offrire un po’ di chiarezza su un argomento che continua a surriscaldare gli animi di vari portatori d’interesse, sfociando spesso in una polarizzazione ed in un’ incompatibilità di vedute che inibisce il dialogo. Tra le varie cose che il convegno ha messo in evidenza è la reale impossibilità a comparare i dati quantitativi (statistici) presentati dai relatori del WWF e i dati qualitativi, quelli basati sulle esperienze dirette dei pastori.
Secondo uno dei relatori più influenti, lo zoologo Marco Antonelli https://vimeo.com/860292041?share=copy la popolazione di cinghiali in Italia si aggirerebbe tra 1,5 e 2 milioni di esemplari mentre quella dei lupi, secondo i dati ISPRA, sarebbe composta di circa 3,300 esemplari. Appare quindi evidente, data la discrepanza numerica tra popolazione di cinghiali e lupi, che quest’ultimo non può certo ridurre il numero dei cinghiali ma, in qualche modo, come ha detto lo stesso Antonelli “può aiutarci a regolarne la popolazione”. Gli allevatori presenti al convegno, hanno riferito che, in molti casi, i cinghiali sono organizzati in gruppi molto numerosi e riescono, così, a tenere letteralmente a bada i lupi. Quindi, l’impatto del lupo sull’incidenza di questi ungulati sarebbe assolutamente irrisorio. A questo riguardo sono state riportate le testimonianze di alcuni allevatori, come quella di Dino Rossi del COSPA Abruzzo (https://vimeo.com/860232530?share=copy) che ha dichiarato di aver visto branchi di cinghiali mettere in fuga i lupi che tentavano di sottrargli la prole.
Personalmente, durante le mie ricerche sul campo, ho visto, io stesso, cinghiali che hanno imparato ad inseguire perfino capretti ed agnelli, esibendo caratteristiche proprie del predatore, apparentemente non riscontrate in precedenza. Che i cinghiali si nutrissero anche della placenta del bestiame, eliminata dopo il parto, era ben noto, ma che attaccassero direttamente gli ovi-caprini, sembra costituire una modificazione comportamentale quanto mai unica. Inoltre, come lo stesso Antonelli ha dichiarato, il lupo prende il bestiame quando trova nella predazione di questo un qualcosa di vantaggioso, insomma “va a predare quello che gli comporta il miglior rapporto costi-benefici”. Quindi, nella predazione di una capra, una pecora, di un puledro o di un vitello il lupo impiega meno energie, ed anche meno rischi, che nella cattura di un cinghiale o di un altro ungulato selvatico. Questo spiegherebbe anche il crescente numero di predazioni da lupo nei confronti del bestiame. Cosa fare dunque per dissuadere il lupo dall’attaccare mandrie e greggi o almeno per ridurne l’impatto? Lo zoologo Marco Antonelli suggerisce che le tecniche di prevenzione “servono ad alzare l’asticella di questo rapporto costi-benefici” ovvero hanno lo scopo “di rendere al lupo la vita più difficile, riportandolo a predare fauna selvatica”.
Questo è uno dei punti che ha riscontrato notevole perplessità da parte degli allevatori presenti, molti dei quali hanno dichiarato che alcune delle tecniche di prevenzione proposte dal WWF, e da altre organizzazioni (es. il confinamento del bestiame in recinti elettrificati) sono inapplicabili per chi, come loro, ha mandrie numerose di equini e bovini allo stato brado, dispersi su centinaia di ettari di terreno. Ovviamente, tali mandrie non possono essere radunate insieme ogni sera ed in un luogo specifico, come si fa – invece – per gli ovi-caprini. Altri dati statistici presentati dal Dott. Antonelli sono tratti da recenti studi ISPRA, secondo cui l’impatto delle predazione da lupo sulle aziende zootecniche italiane sarebbe molto esiguo https://www.isprambiente.gov.it/public_files/StimaImpattoLupoAattivitaZootecniche.pdf.
Tuttavia anche l’affidabilità dei dati ISPRA dovrebbe essere messa in discussione, visto che, anche secondo ciò che ho riscontrato personalmente sul campo, una buona percentuale di allevatori non denuncia più i casi di predazione subiti, in quanto gli indennizzi sono estremamente esigui, in particolare nelle aree al di fuori dei parchi nazionali. Spesso, nonostante il versamento di marche da bollo e il tempo perso nello svolgimento delle pratiche burocratiche necessarie, gli indennizzi restano del tutto irrisori o, addirittura, non vengono neppure elargiti. In alcuni casi, quando le predazioni avvengono in aree non lontane da strade e centri abitati, gli allevatori che hanno subito il danno sono costretti a pagare loro le spese dello smaltimento delle carcasse che, nel caso di bovini predati, è significativo. Quindi per evitare tutto questo, molti pastori non denunciano più le perdite, soprattutto quando le carcasse degli animali predati non sono più rinvenute, perché divorate da branchi di cinghiali che cancellano quasi ogni evidenza della predazione subita. Durante il convegno, i dati circa la bassissima incidenza delle predazioni da lupo sul bestiame hanno scatenato la reazione emotiva di molti pastori che lamentano, invece, un’incidenza molto più rilevante sul proprio bestiame.
Significativa, a questo riguardo, è stata la testimonianza di Giuseppe Ferrari di Sora (https://vimeo.com/860224237?share=copy), presidente dell’Alleanza dei Pastori Aurunci e Ciociari (APAC). Questi ha dichiarato che, intorno a Ferragosto, ha perso, in un sola notte, 32 capre e due cani da guardiania, circa 1/6 dell’intera mandria, a causa di una predazione da lupi. In riferimento a casi del genere, lo zoologo Antonelli ha, però, dichiarato che “per una singola azienda che non adotta misure di prevenzione adeguate, il lupo può rappresentare un problema ma, al livello totale, non rappresenta il problema principale”. Anche quest’affermazione ha innescato una reazione di disappunto da parte degli allevatori presenti (in particolare il Ferrari), il quale ha dichiarano di possedere ottimi cani da guardiania, ma – nonostante tutto – anche questi sono stati ‘sbranati’ durante l’ultimo attacco sferrato dai lupi. Inoltre, gli allevatori presenti si sono meravigliati dell’enfasi posta dal relatore circa la vulnerabilità della specie lupo. Secondo Antonelli, infatti, ogni anno, almeno 3/400 esemplari di lupo sarebbero uccisi a causa del bracconaggio, armi da fuoco e a causa di altri atti illegali, in aggiunta ad incidenti stradali. Tuttavia, i pastori lamentano che delle centinaia e migliaia di capi bovini, equini e ovi-caprini – uccisi ogni anno nel corso delle predazioni – non ne parli invece nessuno; persino i Media restano spesso indifferenti di fronte a tutto questo.
Va rilevato che molte delle specie predate appartengono anche a razze antiche a rischio di erosione genetica. Questa diversità biologica, frutto di una selezione durata centinaia d’anni, andrebbe protetta nella stessa misura in cui si protegge il lupo! La disparità tra eccessiva enfasi in riferimento alle morti di lupi e la quasi totale indifferenza rispetto alle morti per predazione di bestiame domestico, ha creato non poca contrarietà tra gli allevatori presenti al convegno. Si è parlato anche d’ibridazione tra lupo e cane che, sicuramente, minaccia l’integrità genetica del primo. Antonelli ha valuto rassicurare i presenti che “l’ibridazione non è un problema per la convivenza con l’uomo ed i lupi ibridi, studiati in natura, hanno esattamente la stessa identica elusività verso l’uomo, dei lupi puri”. Se da un punto di vista etologico, tale affermazione ha dei fondamenti, non rifletterebbe necessariamente l’esperienza diretta di alcuni pastori che io stesso ho intervistato, come l’allevatore di Pony di Esperia Franco Mattei che, più volte mi ha detto di essere entrato in contatto con alcuni ibridi che – invece di abbandonare la carcassa – l’hanno difesa al punto di esibire un comportamento aggressivo nei suoi confronti. Lo stesso Dino Rossi di COSPA-Abruzzo, nel corso del suo intervento, ha dichiarato di aver visto ‘lupi’ di grande stazza e certamente superiore al peso medio dei 35/40 kg.
Altri pastori hanno riportato esperienze analoghe e, alcune di queste, sono visionabili nel documentario “I Giorni del Lupo” https://vimeo.com/677754515?share=copy: un ritratto puntuale della situazione drammatica che molti allevatori vivono oggi a causa dell’espansione del lupo. Va comunque chiarito che i pastori non posseggono una nomenclatura o una categoria culturale per definire gli ‘ibridi’ ed, eccetto per i cani, tutti gli altri canidi che predano sul loro bestiame sono classificati indistintamente come ‘lupi’, indipendentemente se siano ‘ibridi’ o ‘veri lupi’. Purtroppo, come lo stesso Antonelli ha informato “la normativa sull’ibrido è ancora un marasma da sbrigliare e, al livello internazionale, l’ibrido di lupo è considerato alla stessa stregua del lupo puro”. Quindi, giuridicamente. l’uccisione di un ibrido è comunque considerata un atto di bracconaggio verso il lupo. Tuttavia, come spiega Antonelli, la Comunità Europea ha dato agli stati membri delle direttive per la rimozione riproduttiva degli esemplari ibridi ma, nella stragrande maggioranza dei casi, tali direttive non sono ancora state tradotte in azioni concrete. La presenza sempre più frequente di lupi all’interno di centri abitati, con la conseguente predazione di animali d’affezione è stato un altro degli argomenti discussi nell’ambito del convegno. Tale presenza ha destato non poche preoccupazioni da parte di cittadini dei vari comuni abruzzesi (e non solo) che, in generale, non sono propensi ad una convivenza così ravvicinata con il lupo. A questo riguardo lo zoologo ha affermato che “la presenza dei lupi in paesaggi antropizzati non è sinonimo di comportamento problematico o di rischio per l’uomo ma è la testimonianza dell’altissimo livello di adattabilità di questa specie”. Un tale livello di adattabilità, però, avrebbe incoraggiando alcuni esemplari ad assumere atteggiamenti particolarmente confidenti verso l’uomo. In quest’ambito, la conversazione si è più volte focalizzata sul caso del lupo/canide della ‘spiaggia di Vasto’ https://www.youtube.com/watch?v=TDsYl4JhP6w responsabile di aver già messo in atto undici tentativi di aggressione verso l’uomo. Mario Troilo (allevatore nell’anima ma veterinario di professione) https://vimeo.com/860203370?share=copy ha messo in guardia il pubblico sul fatto che “etologicamente parlando, quel lupo ha preso consapevolezza che l’uomo è una preda alla sua portata e se non si prendono provvedimenti seri ed immediati, quell’esemplare combinerà di peggio”. Peccato che una discussione così importante, sia stata poi svilita da una dichiarazione, alquanto discutibile del vice-sindaco Barbaro di Lauro che ha messo in discussione non tanto il livello di aggressività del lupo (o canide) di Vasto, ma l’incapacità di alcuni genitori di custodire i propri figli sulla spiaggia.
In considerazione del fatto che il lupo non è più una specie in via di estinzione, il veterinario Troilo ha poi chiesto allo zoologo Antonelli se sarebbe stato favorevole a rivedere giuridicamente le norme di protezione dei confronti del lupo. Marco Antonelli, di tutta risposta, ha fatto intendere che, in realtà, non ci sarebbe alcuna convenienza ad abbattere degli esemplari di lupo. Troilo, però, come molti allevatori la pensa diversamente, e ha affermato che ai pastori dovrebbe essere data la possibilità di difendersi. Il lupo contemporaneo, infatti, sembra aver perso parte di quell’atavica paura verso l’uomo, non sentendosi più minacciato da questo. Il pensiero di Troilo sembra essere perfettamente in linea non solo con quello degli allevatori presenti al convegno, ma anche con quello di rappresentanti del mondo pastorale provenienti da 11 nazioni del continente europeo che il 29 Novembre 2022 si sono incontrati in Francia proprio per discutere e richiedere il declassamento del livello di protezione della specie lupo, nell’ambito della direttiva europea 92/43/CEE “Habitat” https://leloupdanslabergerie.fr/wp-content/uploads/2023/04/Motion-signee-version-italienne.pdf
Nel corso del convegno, due relatori (Andrea Gallizia https://vimeo.com/860240484?share=copy e Francesca Trenta https://vimeo.com/860236182?share=copy del Centro Studi per l’Ecologia e la Biodiversità degli Appennini) hanno illustrato i dati della loro ricerca effettuata in tre aree pilota: 1) la Riserva Naturale Oasi WWF Calanchi di Atri (Abruzzo), 2) in Puglia e 3) nelle Marche (Monti Sibillini). In tutte queste aree è stato messo in atto il protocollo PAN (Progetto Allevatori Natura) che – come riportato dagli stessi autori in una loro pubblicazione scientifica https://www.mdpi.com/2073-445X/12/7/1316 ha permesso l’attuazione di misure anti-predatorie innovative, che combinano strategie di difesa passiva (reti elettrificate) con strategie di difesa attiva (cani da guardiania). In realtà, non c’è nulla di originale in tali strategie. Infatti, almeno tra i pastori dell’Appennino centrale, l’uso di cani da guardiania (la loro selezione e addestramento) è una pratica ampiamente diffusa e, probabilmente, antica quanto i ‘Sanniti’!. L’uso di recinti elettrificati e anch’essa una strategia ben nota sia in Italia, che all’estero, ma – generalmente – è praticabile soltanto in alcuni contesti (piccoli/medi greggi di ovi-caprini) e non certo per grandi mandrie di bovini e equini allevati allo stato brado. La presentazione dello studio e delle strategie d’intervento attuate nelle aree pilota dai due ricercatori ha messo, immediatamente in evidenza la cattiva gestione del bestiame da parte delle aziende prescelte: ad esempio cavalle ‘murgesi’ erano fatte pascolare al di fuori di ricoveri protetti e non erano presenti cani da guardiania ben addestrati. Secondo i ricercatori, queste carenze avevano causavano già la perdita di circa 7/10 animali all’anno, nell’ambito di greggi formati da un numero totale di circa 30/40 capi. E’ ovvio che, in contesti come questi, dove la gestione del gregge da parte degli allevatori era del tutto carente, l’introduzione combinata di strategie di difesa passiva e attiva è riuscita, in larga parte, ad annullare gli eventi predatori. Tuttavia l’applicazione del protocollo PAN in altri contesti (es. dove cani da guardiania sono già ampiamente presenti e dove l’uso delle reti elettrificate è impraticabile) non porterebbe alcun beneficio agli allevatori.
I vari pastori presenti al convegno, ed in particolare Guglielmo Lauro, vice-presidente del Comitato Allevatori e Agricoltori del Territorio – Molise (https://vimeo.com/860216314?share=copy) hanno evidenziato che le reti elettrificate possono talvolta trasformarsi in trappole mortali per gli stessi animali, soprattutto quando i lupi imparano ad oltrepassarle predando il bestiame impazzito, al loro interno. Giuseppe Ferrari, allevatore di Sora, ha anche ribadito che i cavalli allo stato brado hanno bisogno di pascolare giorno e notte e non possono mai essere separati dai figli; se ciò avviene, anche per alcune ore, le madri potrebbero non accettare più il puledro. Ciò rende impraticabile l’uso dei recinti elettrificati, soprattutto quando le mandrie sono distribuite su un vasto territorio. Come lo stesso Ferrari ha raccontato, la presenza del lupo sta costringendo gli allevatori a separare i vitelli dalle mamme e chiuderli in recinti, lasciando che le fattrici (libere) ritornino alla stalla solo per allattarli. Questo, secondo Ferrari, comporta non pochi problemi, ad esempio le madri – istintivamente – tendono a non allontanarsi mai troppo dai piccoli e quindi non beneficiano dei pascoli migliori che si trovano, invece, a più alta quota. Inoltre, allevare i vitelli all’interno delle stalle – e non al pascolo – comporta costi aggiuntivi non indifferenti ed un dispendio notevole di fieno e mangimi. Ciò vanifica, in buona parte, i guadagni della vendita. Ecco perché i vitelli, come spiega Ferrari, invece di essere venduti all’età di circa 10 mesi (ottenendo un guadagno che generalmente si aggirerebbe intorno agli 800 euro a capo) vengono spesso veduti in età prematura (20 giorni/un mese) percependo, così, un guadagno nettamente inferiore (circa 350 euro a capo). Anche l’allevatore transumante Michele Minchella ha affermato (https://vimeo.com/860220322?share=copy) che l’espansione del lupo sta snaturando le caratteristiche fondamentali dell’allevamento brado/transumante, ovvero quelle di possedere un numero significativo di bestiame che si nutre prevalentemente di biomassa vegetale spontanea, anziché di mangimi e foraggi importati dall’esterno. Venendo meno queste caratteristiche, l’allevamento estensivo non è più economicamente sostenibile per gli allevatori che tendono, così, ad abbandonare la loro antichissima professione.
Oggigiorno gli allevatori sono visibilmente preoccupati di quanto potrebbe succedere alle loro aziende negli anni a venire, visto che i relatori del WWF sembrano sostenere che la colonizzazione del territorio nazionale da parte del lupo non va ostacolata, nonostante la specie abbia già raggiunto un livello soddisfacente di conservazione, come lo stesso Antonelli ha ammesso. Quindi, in sintesi, la domanda più impellente che ci si pone è la seguente: cosa dobbiamo aspettarci in futuro, per quanto riguarda la conservazione della specie lupo? Su questo quesito le affermazioni dello zoologo Antonelli sembrano non lasciare adito a dubbi. A suo avviso, bisognerebbe “da un lato mantenere una popolazione vitale (di lupi) e continuare il trend demografico attuale; dall’altro…la vera sfida è la convivenza… (ovvero) consentire alle attività umane di svolgersi in maniera pacifica sugli stessi territori dove vive il lupo”. Come la stessa vice-sindaco ha dichiarato, per coesistere con il lupo “ognuno deve cedere un po’ del suo”. In altre parole (se la mia interpretazione non è errata) il costo sociale della presenza del lupo dovrebbe essere equamente condiviso da tutti, e ‘spalmato’ sull’intera società civile. Allora viene naturale porsi una domanda: il cittadino comune, l’impiegato statale, il personale di un’organizzazione ambientalista, i rappresentanti del mondo rurale e coloro che praticano l’allevamento estensivo, stanno tutti pagando questo ‘costo’ e allo stesso modo?
La risposta è decisamente NO. L’onere e i sacrifici riguardanti la salvaguardia della specie lupo ricadono, in una forma infinitamente più impattante su una categoria specifica: i pastori e su tutti coloro che, secondo modalità diverse, praticano ancora l’allevamento brado. E allora, al netto di tutto questo, cosa offrirebbe lo Stato Italiano, i Parchi ed l’intero mondo ambientalista agli allevatori, per farsi carico dell’espansione del lupo, a nome dell’intera collettività? In realtà, il sacrifico che i pastori devono oggi affrontare a causa delle crescenti predazioni da lupi ed ibridi, non è compensato da un bel nulla, eccetto per alcuni indennizzi elargiti dai parchi nazionali, in caso di rinvenimento effettivo della carcassa. Al contrario, la burocrazia (nazionale ed europea) in merito all’uso dei pascoli, alla vendita e produzione di carni, latte e formaggi, alla gestione fisica e amministrativa delle stalle e degli allevamenti in generale, sta diventando sempre più cavillosa, insopportabile ed opprimente, e rischia – così – di mettere in ginocchio l’intero comparto. In questo contesto, per gli allevatori, l’espansione del lupo è quella fatidica goccia che fa traboccare un vaso già stracolmo e che rende ancora più difficile il tentativo di portare avanti, in modo sereno, un’attività antichissima ma osteggiata da molti. Non c’è quindi da meravigliarsi se oggi, l’economia intensiva rischia di soppiantare definitivamente altre economie come la pastorizia (erroneamente identificate come marginali). Quest’ultima, in effetti, è una delle pochissime attività ancora in grado di garantire un rapporto bilanciato tra sostenibilità ambientale, qualità alimentare e identità culturale. Mentre la politica dorme sonni profondi, gli allevatori chiedono a squarciagola la sospensione di ogni iniziativa volta a promuovere attivamente la diffusione del lupo sul territorio nazionale. Richiedono, inoltre, normative regionali ‘ad hoc‘ e relative ‘deroghe’ per affrontare tempestivamente gli eventi predatori anche con interventi di dissuasione e contenimento diretto dei predatori, come già avviene in altri paesi d’Europa. Purtroppo nulla, al momento, fa presagire che le istanze dei pastori italiani saranno accolte. A testimonianza di tutto questo è il nuovo ‘Piano di Azione sul Lupo’ che dovrebbe essere presto approvato nell’ambito della Conferenza Stato-Regioni e che disattende, ancora una volta, le aspettative del mondo rurale.
Per almeno un millennio, la pastorizia con le sue transumanze, ha rappresentato il perno dell’economia delle popolazioni dell’intera Italia. Siamo stati da sempre anche un popolo di pastori ma lo abbiamo dimenticato. Così, continuano a persistere una serie di pregiudizi legati alla figura del pastore, spesso identificati come degli abusivi del suolo pubblico e, nella peggiore delle ipotesi, come dei delinquenti responsabili per il degrado ambientale del territorio. Ma alla fine dei conti, i veri nemici del territorio non sono gli allevatori (e neppure i cacciatori) ma una ‘politica volta-bandiera’ incapace di scelte coraggiose, i luminari della conservazione completamente scollegati dalla realtà locale, il mondo animalista oltranzista che interpreta qualsiasi tentativo di gestione della fauna come un oltraggio a ‘madre natura’, quell’ambientalismo arroccato su posizioni super-protezioniste che non ha ancora imparato a dialogare con la gente locale, i Parchi Nazionali e Regionali asserviti alla politica e, più in generale, tutti coloro che credono che la pastorizia debba essere necessariamente rimpiazzata da sistemi di produzione più redditizi e tecnologicamente avanzati. Sono questi i nemici giurati del nostro bellissimo territorio. Dunque, in che modo è possibile uscire da questo impasse? Una soluzione forse ci sarebbe: basterebbe attuare in modo serio e deciso tutta una serie d’indicazioni e dichiarazioni internazionali, già ratificate dall’Italia e che pongono al centro della conservazione ambientale i diritti e le conoscenze delle comunità locali. Basterebbe rendere vive tali dichiarazioni per iniziare a ripensare, nell’ambito dell’applicazione di queste, la conservazione del lupo, innescando – così – un processo dal basso che coinvolga veramente la gente del territorio, in primis allevatori e contadini. In effetti, non bisogna inventarsi nulla di nuovo, ma semplicemente mettere in atto quei principi fondamentali, già patrimonio indissolubile del nostro ordinamento giuridico.
Ad esempio, la Convenzione sulla Diversità Biologica (CBD), firmata da 150 governi e ratificata dall’Italia con legge no. 124 del 14 Feb. 1994, parla espressamente “della necessita di assicurare alle popolazioni e comunità locali le piena partecipazione ai benefici che derivano dall’uso delle loro conoscenze tradizionali e delle pratiche correlate alla conservazione della biodiversità”. Invece la Convenzione dell’UNESCO sulla ‘Promozione e Protezione della Diversità Culturale’, ratificata anche questa dall’Italia il 3 Gennaio 2007 riconosce ‘la necessità di adottare misure volte a proteggere la diversità delle espressioni culturali, soprattutto quando queste possano essere minacciate’. Lo stesso UNESCO, nel 2019, ha inserito la transumanza nella lista del patrimonio culturale immateriale. Non per ultimo, l’Organizzazione Internazionale per la Conservazione della Natura (IUCN) – a cui l’intero mondo ambientalista dovrebbe far riferimento – ‘promuove una conservazione degli ecosistemi che sappia coniare equità sociale e sostenibilità ecologica, promuovendo ‘capacity building‘ delle popolazioni locali per la co-gestione delle risorse naturali’. Ripensare la conservazione del lupo, tenendo in considerazione tutto questo, potrebbe essere già un enorme passo in avanti. Mi domando allora se per gli organizzatori del Convegno WWF, tenutosi a Casoli, non sarebbe stato meglio apportare una piccola modifica al titolo, sostituendo quel punto esclamativo con uno interrogativo: ‘Lupo e Uomo: Insieme – si puo! o ‘si puo?. Tra certezze assolute e dubbi irrisolti esiste un cono d’ombra, dove la presunta compatibilità tra espansione del lupo e salvaguardia della pastorizia andrebbe radicalmente ripensata, senza perdere – ovviamente – altro tempo prezioso.