
(AGENPARL) – mer 09 agosto 2023 UFFICIO STAMPA
COMUNICATO STAMPA
PISANI (PRESIDENTE CNG), “SE NON SI INTERVIENE,
GIOVANI IN PENSIONE A QUASI 74 ANNI”
Lo studio del Consiglio Nazionale dei Giovani e di EU.R.E.S.: “Assegno medio di 1.561 euro
lordi, ovvero 1.093 euro al netto dell’Irpef”.
• I giovani entrati nel mondo del lavoro nel 2020 all’età di 22 anni in Italia raggiungeranno l’età
pensionabile a 71 anni, il dato più alto tra i principali Paesi europei.
• Nel 2021, i lavoratori under 25 hanno ricevuto in media 8.824 euro, il 40% della retribuzione media
complessiva, mentre i lavoratori tra i 25 e i 34 anni hanno ricevuto in media 17.076 euro, l’78% della
retribuzione media.
• Nell’arco di dieci anni, è cresciuta l’incidenza dei contratti a tempo determinato e quella dei contratti
atipici passata dal 29,6% al 39,8%. Una realtà inconciliabile con un sistema che per consentire
trattamenti dignitosi necessita di carriere a contribuzione piena e con crescita retributiva.
Roma, 9 agosto 2023 – “La crescente precarizzazione e discontinuità lavorativa, associata a retribuzioni
basse e mancanza di garanzie sociali, colpisce in particolare i giovani e le donne, rendendo più difficile
il loro percorso di ingresso nel mercato del lavoro, la stabilità contrattuale e i livelli retributivi”. Lo ha
affermato, in occasione della presentazione della ricerca “Situazione contributiva e futuro pensionistico
dei giovani”, realizzata dal Consiglio Nazionale dei Giovani assieme a EU.R.E.S., la Presidente del CNG,
Maria Cristina Pisani, che ha espresso “la necessità di un dibattito più approfondito sulle questioni
previdenziali, che tenga conto anche delle esigenze delle giovani generazioni”.
“Tutto questo comporta un impatto significativo sulla situazione previdenziale futura dei giovani”, ha
sottolineato Pisani. “La questione demografica e il passaggio al sistema ‘contributivo puro’ mettono
ulteriormente a rischio la sostenibilità del nostro sistema pensionistico. Questa tendenza impone ai
cittadini di lavorare più a lungo per ricevere pensioni meno generose rispetto alle generazioni
precedenti.”
Secondo l’analisi di EURES, prosegue la Presidente del Consiglio Nazionale dei Giovani “la combinazione
di discontinuità lavorativa e retribuzioni basse per i lavoratori under 35 determinerà un ritiro dal lavoro
solo per vecchiaia, con importi pensionistici prossimi a quello di un assegno sociale. Una situazione che
sarà socialmente insostenibile”.
Queste le proiezioni originali sul valore delle pensioni atteso nei prossimi decenni per i lavoratori
dipendenti che oggi hanno meno di 35 anni: se la permanenza si protraesse infatti fino al 2057,
determinando così un ritiro quasi a 74 anni (73,6), l’importo dell’assegno pensionistico ammonterebbe
a 1.577 euro lordi mensili (1.099 al netto dell’Irpef), valore che equivale a 3,1 volte l’importo
dell’assegno sociale.
Per i lavoratori in partita iva (sempre con permanenza fino al 2057 e un ritiro a 73,6 anni) l’importo
dell’assegno pensionistico ammonterebbe a 1.650 euro lordi mensili (1.128 al netto dell’Irpef), valore
che equivale a 3,3 volte l’importo dell’assegno sociale.
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“Una stima – aggiunge Alessandro Fortuna, Consigliere di Presidenza con delega alle politiche
occupazionali e previdenziali – che evidenzia la grave distorsione del sistema pensionistico, così come
attualmente definito, che non soltanto proietta nel tempo le diseguaglianze reddituali, rinunciando a
qualsivoglia dimensione redistributiva, ma addirittura risulta punitivo verso i lavoratori con redditi più
bassi, costretti a permanere nel mercato del lavoro (al di là dell’anzianità contributiva) per tre o
addirittura sei anni più a lungo dei loro coetanei con redditi più alti e ad una maggiore stabilità
lavorativa”.
Secondo l’ultimo rapporto Eurostat, la spesa pensionistica in Italia rappresenta il 17,6% del PIL nel 2020,
il secondo più alto nell’UE27 dopo la Grecia, e molto superiore alla media dell’UE27 del 13,6%.
“Anche le stime OCSE confermano la tendenza di aumento dell’età pensionabile che allungherà sempre
di più la vita lavorativa dei giovani “, ha aggiunto Pisani. “Per i giovani entrati nel mondo del lavoro nel
2020 all’età di 22 anni in Italia si prevede raggiungeranno l’età pensionabile solo a 71 anni, il dato più
alto tra i principali Paesi europei”.
Pisani ha anche sottolineato il divario retributivo tra giovani lavoratori e la popolazione lavorativa
generale: “Nel 2021, i lavoratori under 25 hanno ricevuto in media 8.824 euro, il 40% della retribuzione
media complessiva, mentre i lavoratori tra i 25 e i 34 anni hanno ricevuto in media 17.076 euro, il 78%
della retribuzione media. Per di più, uno scarto retributivo consistente si manifesta tra le donne e gli
uomini giovani lavoratori, con un divario che si amplia nel tempo”.
La dimostrazione, in sostanza, di come il modello puramente contributivo sia sostenibile solo se inserito
in un mercato del lavoro basato su stabilità e crescita retributiva. Variabile che, invece, è smentita dai
dati secondo cui, nel 2021, più di un lavoratore under 35 su quattro abbia percepito una retribuzione
annua inferiore a 5.000 € e dalla riduzione, tra il 2011 e il 2021, della quota di giovani con contratto a
tempo indeterminato passata dal 70,3% al 60,1%. Al tempo stesso, sempre nell’arco di dieci anni, è
cresciuta l’incidenza dei contratti a tempo determinato e quella dei contratti atipici passata dal 29,6%
al 39,8%. Una realtà inconciliabile con un sistema che per consentire trattamenti dignitosi necessita di
carriere a contribuzione piena e con crescita retributiva.
“Alla luce di questi dati, come Consiglio nazionale dei giovani, – prosegue Fortuna – continuiamo ancora
una volta a rivendicare l’introduzione di una pensione di garanzia per i giovani che preveda strumenti
di sostegno e copertura al monte contributivo per i periodi di formazione, discontinuità e fragilità
salariale dei giovani.
Interventi cui dovranno accompagnarsi, se non si vuole ignorare il rischio di povertà cui sono esposte
intere generazioni, modifiche strutturali che consentano un acceso stabile e di qualità nel mercato del
lavoro restituendo, peraltro, sostenibilità a un modello previdenziale a scambio generazionale.
“Questa tendenza è inoltre preoccupante per la società nel suo complesso, minacciando la
competitività e il benessere futuro del nostro Paese nei prossimi anni”, ha concluso Maria Cristina
Pisani. “Abbiamo bisogno di un dibattito nazionale più aperto e inclusivo sulle pensioni. È una questione
di giustizia intergenerazionale e di sostenibilità del nostro sistema sociale”.
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La ricerca “Situazione contributiva e futuro pensionistico dei giovani. Quali risposte all’inverno
previdenziale” è stata realizzata dal Consiglio Nazionale dei Giovani in collaborazione con EU.R.E.S.
Ricerche Economiche e Sociali.
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ABSTRACT RICERCA
“SITUAZIONE CONTRIBUTIVA E FUTURO PENSIONISTICO DEI GIOVANI”
Finché c’è vita c’è speranza: nel 2070 in pensione a 71 anni – Negli ultimi anni il dibattito pubblico ha
affrontato il complesso tema del sistema previdenziale nell’ottica preminente della sostenibilità
finanziaria, ovvero della conciliabilità delle “uscite” previdenziali con la tenuta del bilancio pubblico.
Tale approccio, che nel contesto italiano rappresenta il filo guida che ha orientato il passaggio dal
sistema pensionistico retributivo a quello contributivo, coinvolge l’insieme dei Paesi europei e, in
particolare, quelli con il rapporto più elevato tra uscite previdenziali e PIL, quali Grecia e Italia, dove la
spesa pensionistica complessivamente intesa (inclusiva cioè delle prestazioni sociali solo
indirettamente legate alla vicenda retributiva/contributiva dei lavoratori) supera di 4 punti percentuali
il valore medio europeo (13,6%). Per contenere l’incidenza della spesa pensionistica sui bilanci degli
Stati – peraltro condizionata dai processi demografici della denatalità e dell’invecchiamento della
popolazione -, anche a livello europeo si è proceduto all’introduzione di condizioni sempre più stringenti
per accedere all’assegno pensionistico che, in termini generali, si traducono in un allungamento degli
anni di permanenza sul mercato del lavoro: in particolare, i dati di fonte Ocse prevedono per l’Italia, al
2070, un’uscita a 71 anni rispetto ai 62 indicati per il 2020 (quando peraltro era in vigore la finestra
d’uscita dell’opzione “quota 100”).
Incidenza e sostenibilità della spesa pensionistica – Concentrando l’attenzione sulla realtà italiana, sono
numerosi gli elementi di riflessione che dovrebbero riorientare il dibattito sulla sostenibilità della spesa
pensionistica, superando il paradigma prettamente ragionieristico all’interno del quale ancora oggi è
troppo spesso collocato. Innanzitutto, il fatto che la spesa per le sole pensioni di vecchiaia – vale a dire
quelle interamente correlate alla carriera lavorativa, pari a 227,3 miliardi di euro –, rappresenta non il
17,6% bensì il 12,7% del Pil (anno 2021, ultimo disponibile): un valore, questo, che scende al 9,3% se
considerato al netto dell’Irpef (“recuperato” dallo stato attraverso il prelievo sulle pensioni),
confutando ulteriormente l’argomento dell’insostenibilità del sistema.
Soltanto 3 lavoratori dipendenti su 10 con meno di 35 anni – Le criticità del quadro demografico
(denatalità e invecchiamento) e della struttura del mercato del lavoro (discontinuità e basse
retribuzioni), infatti, delineano uno scenario poco rassicurante per la sostenibilità del sistema
economico produttivo e per il futuro pensionistico dei giovani. Il progressivo invecchiamento della
popolazione e le crescenti uscite dal mercato del lavoro per vecchiaia, non hanno peraltro favorito il
ricambio generazionale: al contrario la percentuale di lavoratori dipendenti under35enni (del settore
privato) è passata dal 35,7% del totale nel 2011 al 31,5% nel 2021 (da 5,23 a 5,12 milioni di unità), cui
è corrisposta una contrazione di circa 110 mila unità in termini assoluti; contestualmente è cresciuta
l’incidenza dei lavoratori “maturi”, arrivando gli ultra45enni ad assorbire il 44,5% dei 16,2 milioni di
lavoratori del settore privato (+11,3 punti percentuali rispetto al 2011).
La trappola del contributivo tra basse retribuzioni e discontinuità lavorativa – I rischi sociali connessi al
passaggio al contributivo puro, ovvero la miopia di una riforma scarsamente attenta ai processi sociali
coinvolti, appaiono immediatamente chiari considerando la variabile centrale nel processo di calcolo
dell’assegno pensionistico, ovvero il livello retributivo dei giovani (da cui deriva, direttamente, il monte
contributivo), a sua volta direttamente correlato alla instabilità/discontinuità del rapporto di lavoro. Nel
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2021, infatti, la retribuzione lorda media annua dei lavoratori under35enni del settore privato ammonta
in Italia a 14.578 euro, un valore pari al 66,7% di quello complessivamente rilevato. Peraltro, se le
retribuzioni totali hanno registrato tra il 2011 e il 2021 una crescita nominale di 1.186 euro (+5,7%), cui
corrisponde tuttavia una flessione del 4,1% in termini reali, per gli under35 la crescita nominale negli
ultimi dieci anni è stata di appena 102 euro, ovvero pari a +0,7% che, al netto dell’inflazione, significa
una flessione dell’8,6%
Ancora più significativo appare il dato relativo alla stabilità contrattuale e alle classi di importo delle
retribuzioni: nel 2021, infatti, il 43,2% dei lavoratori under35 ha avuto una retribuzione annua inferiore
a 10 mila euro (a fronte del 28,9% per il totale dei lavoratori), una percentuale in crescita di 2,6 punti
rispetto al 2016; allo stesso modo, nel 2021, soltanto un giovane su tre (33,9%) ha lavorato per l’intera
annualità (17,7% tra i soli under25enni), mentre, sul fronte opposto, il 36,7% è stato retribuito per non
oltre 6 mesi (ed il restante 29,5%, tra 6 e 12 mesi). Osservando infine il tema della precarizzazione del
lavoro dei giovani sotto il profilo contrattuale, si segnala come la percentuale di under35enni con
contratti “atipici” (a termine, stagionali, in somministrazione, ecc.), abbia raggiunto nel 2021 il 39,9%
del totale, con una crescita di oltre dieci punti percentuali rispetto al 2011, quando rappresentavano
un già significativo 29,7%. Se si vuole scongiurare un futuro pensionistico in povertà per i giovani
lavoratori di oggi, appare quindi necessario apportare dei correttivi all’impianto del “contributivo puro”
o, comunque, strumenti di sostegno in itinere o ex post (contributi figurativi o pensione di garanzia).
Quale futuro pensionistico per 9 milioni di giovani lavoratori – L’esigenza di tenere aperto il dibattito
sulla questione pensionistica dei giovani è condivisa dalle numerose e autorevoli stime prodotte sulla
dimensione sociale del fenomeno e sui valori degli assegni attesi a conclusione del percorso lavorativo,
che trovano peraltro piena conferma anche nell’indagine condotta dall’Eures: quest’ultima muove dai
dati Inps relativi al monte retributivo dei giovani (15-35 anni) con almeno un contributo versato presso
le diverse gestioni (“Artigiani, Commercianti e CDCM”, “Dipendenti pubblici”, “Gestione separata”,
“Fondo Pensione Lavoratori Dipendenti” e “Altro”), vale a dire un universo di oltre 9 milioni di
“contribuenti”, di cui quasi la metà concentrato nella fascia “30-35 anni” (4,1 milioni di unità) e
composto per il 55,3% da lavoratori maschi e per il 44,7% da lavoratrici. L’81,1% del totale dei giovani
lavoratori fa riferimento al Fondo Pensione Lavoratori Dipendenti, il 5,9% alla Gestione Artigiani,
Commercianti e CDCM, il 5,8% alla Gestione Separata e il 4,3% alla Gestione Dipendenti Pubblici.
In pensione a 73,6 anni con un assegno di 1.090 euro – Le stime Eures sul futuro pensionistico sono
state calibrate sui giovani di 35 anni, considerando le tre gestioni “private” (Dipendenti, Artigiani e
Gestione separata che, complessivamente, assorbono il 92,8% dei giovani), un’età media di ingresso
nel mercato del lavoro a 20,8 anni (Fonte Istat) e un periodo di discontinuità lavorativa di 15 anni
(variabile a seconda delle diverse gestioni) seguito da una maggiore stabilizzazione (con 37 settimane
contributive medie annue). Infine, gli importi dei futuri assegni pensionistici sono stati indicizzati ai
valori del 2023, con riferimento sia al monte retributivo medio sia alla sua disaggregazione per quintili.
Ciò premesso, sempre considerando le ipotesi formulate e le numerose incognite che accompagnano
un lavoro di stima a lungo termine di un fenomeno multifattoriale, emerge in termini complessivi come
i giovani trentacinquenni di oggi avrebbero diritto nel 2050, cioè all’età di 66,3 anni, ad un assegno
pensionistico (indicizzato al potere d’acquisto di oggi) pari a 1.044 euro lordi (un valore equivalente a
2,1 volte l’assegno sociale), che tuttavia non consentirebbe un’uscita “anticipata” (per la quale il
moltiplicatore previsto è pari a 2,8). La prima possibilità di accedere alla pensione, dunque,
maturerebbe a 69,6 anni, con un importo dell’assegno di 1.236 euro lordi (1.319 per gli uomini e 1.134
per le donne), ovvero 979 euro al netto dell’Irpef. Per ottenere un assegno quanto meno “dignitoso” i
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giovani dovranno quindi attendere i 73,6 anni, quando l’importo della pensione dovrebbe ammontare
in media a 1.561 euro lordi, ovvero 1.093 euro al netto dell’Irpef (1.134 euro per gli uomini e 1.041 per
le donne).
La pensione dei giovani iscritti al Fondo Pensioni Lavoratori Dipendenti – Le proiezioni pensionistiche
dei 3,2 milioni di giovani iscritti al FPLD, sulla base del modello di stima proposto, mostrano infine come
a 69,6 anni (nel 2053) l’importo del loro assegno raggiungerebbe i 1.249 euro (951 euro mensili al netto
dell’Irpef), che salirebbero a 1.577 euro (1.099 al netto dell’Irpef), se l’uscita fosse posticipata a 73,6
anni, ovvero dopo oltre 52 anni di permanenza – in ampi tratti discontinua – nel mercato del lavoro.
Prendendo in considerazione il futuro pensionistico di coloro che percepiscono le retribuzioni più
esigue (il “primo quintile”) – ossia circa 641 mila giovani in valori assoluti, nel caso puramente teorico
di uscita “anticipata” dal mercato del lavoro, cioè a 66,3 anni, l’assegno pensionistico ammonterebbe a
957 euro lordi per gli uomini e a 858 euro lordi per le donne (quindi meno del doppio dell’assegno
sociale); attendendo invece il 2053 ed i quasi 70 anni di età, le loro pensioni nette mensili si
attesteranno a 864 euro per gli uomini ed a 777 per le donne (rispettivamente 1.132 e 1.016 euro lordi),
mentre uscendo dal mercato a 73,6 anni andranno a percepire rispettivamente 1.428 e 1.285 euro, che
scenderebbero a 1.039 e 978 euro al netto dell’Irpef.
La pensione dei giovani iscritti alla Gestione Separata – Per i 230 mila 30-35enni iscritti alla Gestione
Separata, lo scenario appare analogo a quello osservato per i giovani iscritti al FPLD: stante, in termini
medi, l’impossibilità di usufruire della “finestra d’uscita” anticipata (nel 2050, a 66,3 anni, l’assegno
ammonterebbe infatti a 1.083 euro lordi, pari a 2,2 volte l’assegno sociale), l’importo della pensione
raggiungerebbe i 1.293 euro – 985 euro al netto dell’Irpef – in caso di uscita a 69,6 anni e i 1.650 euro,
ovvero 1.128 euro una volta detratta l’imposta sul reddito delle persone fisiche, in caso di uscita a 73,6
anni. Anche in questo caso, i dati relativi al quintile più povero mostrano la necessità di adottare
interventi correttivi: nel 2053, dopo circa 50 anni di attività lavorativa (in larga misura discontinua),
l’assegno pensionistico ammonterebbe infatti a 796 euro lordi per gli uomini e a 769 euro lordi per le
donne, valori equivalenti ad appena 1,6 e 1,5 volte l’assegno sociale; anche qualora la fuoriuscita dal
mercato del lavoro avvenisse a 73,6 anni la crescita del compenso mensile sarebbe piuttosto marginale,
raggiungendo i 1.013 euro (774 euro al netto dell’Irpef) l’assegno per gli uomini, ed i 982 euro, ovvero
750 al netto dell’Irpef, quello delle donne.
La pensione dei giovani iscritti al fondo lavoratori autonomi – Il caso dei lavoratori autonomi, infine,
richiede particolare attenzione: dal momento che agli iscritti a tale gestione è consentito di versare il
valore di contributi minimo fissato per legge, la quota prevalente dei giovani lavoratori si colloca su
valori prossimi a quelli del “quintile” più svantaggiato. Ciò premesso, stimando un’iniziale ammontare
contributivo pari a 36 settimane annue per gli uomini e 33 annue per le donne, i giovani lavoratori
autonomi andranno a percepire assegni pensionistici addirittura inferiori a quelli considerati per le due
gestioni sopra osservate: la prima “finestra” utile per il pensionamento si aprirebbe infatti nel 2053, a
69,6 anni, e prevederebbe un assegno pensionistico di 1.055 euro, cui corrispondono 806 euro al netto
dell’Irpef. In caso di prolungamento dell’attività lavorativa fino a 73,6 anni, invece, l’importo della
pensione raggiungerebbe i 1.329 euro, valore che scende a 1.000 euro mensili una volta detratta la
quota di Irpef.