
(AGENPARL) – Roma, 23 febbraio 2020 – Il mondo sta diventando meno occidentale? Anche l’Occidente stesso sta diventando meno occidentale? Cosa significa per il mondo se l’Occidente lascia il palcoscenico agli altri?
Dal 14 al 16 febbraio, più di 500 decisori internazionali di alto livello si sono incontrati alla 56a Conferenza sulla sicurezza di Monaco, presieduta dall’ambasciatore Wolfgang Ischinger. A Monaco, questi leader nei settori della politica, degli affari, del mondo accademico e della società civile hanno discusso delle crisi attuali e delle future sfide alla sicurezza.
A giudicare dalle strette della mano alla «potente conferenza sulla sicurezza di Monaco» avvenuta lo scorso fine settimana, l’unico consenso sul potere occidentale in questo momento è che non c’è consenso.
C’è un diffuso sentimento di disagio ed irrequietezza di fronte alla crescente incertezza sul futuro dell’Occidente. Ed è esattamente quello che emerge dal Rapporto sulla sicurezza di Monaco del 2020, una moltitudine di sfide alla sicurezza sembra essere diventata inseparabile da ciò che alcuni descrivono come il decadimento del progetto occidentale.
Inoltre, le società e i governi occidentali sembrano aver perso una comprensione comune di ciò che significa anche far parte dell’Occidente.
Sebbene sia forse la sfida strategica più importante per i partner transatlantici, sembra incerto se l’Occidente possa elaborare una strategia comune per una nuova era di competizione di grande potenza.
La Conferenza sulla sicurezza di Monaco è un evento interessante. In un piccolo hotel bavarese, leader mondiali seguiti da delegazioni e dettagli di sicurezza grandi quanto le loro personalità passano davanti a ex personaggi globali e sicofanti, ambasciatori e legislatori, burocrati di oggi e di ieri, funzionari dei partiti di opposizione che aspettano pazientemente, accademici e studiosi, giornalisti appartenenti alla stampa globale molto scettica e giovani professionisti con gli occhi spalancati.
Tutti parlano. Tutta la faccenda sembra una scena dei sussurri cortigiani nel film «Relazioni pericolose (1989)». Mancano solo le parrucche bianche e il volto incipriato.
Invece di alleanze, le due questioni che incombevano su ogni conversazione in corridoio erano: Cosa facciamo con la Cina? E cosa siamo noi (l’Occidente)?
Interviene il sottosegretario americano, Mike Pompeo, con il suo discorso «The West is Winning» con l’obiettivo di confutare le tesi dei piagnucoloni dell’intellighenzia in servizio permanente effettivo che dubitano della leadership globale degli Stati Uniti d’America e dell’amministrazione di Trump. «Noi andiamo dritti – ha detto Pompeo e gli Stati Uniti sono là fuori a combattere al tuo fianco per la sovranità e la libertà. Dovremmo avere fiducia nelle nostre alleanze e nei nostri amici. Il libero Occidente ha un futuro molto più luminoso delle alternative illiberali. Stiamo vincendo e lo stiamo facendo insieme».
Nel suo discorso Pompeo ha detto ben otto volte la parola «vincere». È una delle parole preferite da Trump. Un chiaro messaggio all’Unione europea.
Rincalza la dose l’intervento del segretario statunitense alla Difesa Mark Esper che afferma «sotto il governo del presidente Xi, il Partito Comunista Cinese sta andando ancora più veloce e nella direzione sbagliata: più repressione interna, più pratiche economiche predatorie, più maniere pesanti e più preoccupanti per me, una postura militare più aggressiva. Continuo a sottolineare ai miei amici in Europa – e solo la scorsa settimana al Ministero della Difesa della NATO a Bruxelles – che le preoccupazioni dell’America per l’espansione commerciale e militare di Pechino dovrebbero essere anche le loro preoccupazioni».
Il discorso di Esper non fa altro che ribadire la serietà della preoccupazione dell’amministrazione americana per la disunità occidentale, mentre il segretario alla difesa passava da una questione all’altra, dal potenziamento militare della Cina al questione del Mar Cinese Meridionale, sulla Belt, sul 5G, sui diritti umani, sulla libertà di parola, sulla stampa libera, sul furto di proprietà intellettuale e così via.
Dopo il discorso di Esper è arrivata la bella del ballo, cioè il presidente francese Emmanuel Macron, con l’elogio tutto pro-europeo.
«Quando guardo il mondo così com’è», ha dichiarato Macron al presidente della conferenza Wolfgang Ischinger in una lunga intervista dal vivo , «c’è davvero un indebolimento dell’Occidente». La NATO e l’unità transatlantica sono buone, ha detto, ma ha chiesto maggiore «libertà d’azione europea», in settori come la difesa (anche con armi nucleari) e la necessità di rilanciare l’indipendenza strategica e politica europea. Ha parlato di soluzioni per soli europei ai problemi eurocentrici della regione.
«Oggi nei nostri paesi, le persone dubitano dell’Europa, a volte anche dell’idea di democrazia – gli estremisti stanno aumentando – e anche sulla nostra capacità di rispondere insieme. Quindi, quali sono le prospettive per l’Europa nei prossimi 20-30 anni. Questo è ciò che è in gioco», ha detto, in francese.
«Non possiamo essere un partner junior degli Stati Uniti d’America», ha aggiunto. «Se gli europei hanno già una strategia comune, possono quindi affermare di avere una strategia con gli americani».
La visione europea della Cina è molto diversa da quella di Washington. Giusto o sbagliato, il trattamento del colosso cinese delle telecomunicazioni Huawei è la cartina di tornasole di Washington per stabilire se gli altri paesi siano seri riguardo alla minaccia cinese.
I leader europei e statunitensi della sicurezza non possono concordare sul fatto che i presunti backdoor e spyware di Huawei siano un disturbo accettabile del moderno mondo in rete, o se la società sia una grave minaccia alla sicurezza che ruba la tecnologia occidentale per svelare i segreti più sensibili dell’Occidente direttamente nelle forze armate cinesi e servizi di intelligence.
Alcuni pensano che Washington potrebbe aver già perso la battaglia di Huawei. La Germania ha recentemente rifiutato le richieste dell’amministrazione Trump di vietare le attrezzature 5G di Huawei. Anche il Regno Unito rimane diviso sull’opportunità di procedere con Huawei. Chiaramente, gli americani non credono che la Cina abbia vinto, altrimenti non avrebbero ancora fatto valere le proprie ragioni.
Contro la Cina si è espressa la portavoce degli Stati Uniti alla Camera, Nancy Pelosi (Democratica). Per lei, il problema non riguarda solo la sicurezza, la condivisione delle informazioni o una competizione sulla purezza tecnologica affermando che «le nazioni non possono cedere la nostra infrastruttura di telecomunicazione alla Cina per convenienza finanziaria». «Una concessione così mal concepita incoraggerà Xi e mina i valori democratici, i diritti umani, l’indipendenza economica e la sicurezza nazionale».
Pelosi ha invitato l’Europa e gli Stati Uniti a lavorare insieme per trovare una soluzione tecnologica internazionale, qualsiasi soluzione, purché non sia cinese.
«Questo è così prevedibile, non so perché non sia evidente a tutti che Voi non vogliate dare quel potere a un’entità creata dall’Esercito popolare di liberazione», ha detto la Pelosi.
L’autostrada dell’informazione è essenziale per la democrazia, ha sostenuto la Pelosi perchè «mentre Internet ha democratizzato le comunicazioni in qualche modo in meglio», ora non potrebbe essere più così, visto che «se stai espandendo quelle comunicazioni e lo stai facendo in modo incline all’autocrazia, allora stai ostacolando la democrazia».
Più tardi la sera, le vedute americane e cinesi si sono affrontate in una cena privata.
L’ex segretario di Stato John Kerry era in piedi accanto all’ex ministro degli Esteri cinese Fu Ying e ha pronunciato un monotono degno della sua campagna presidenziale del 2004.
Ha avvertito che studiosi, commentatori e media occidentali stavano spingendo gli Stati Uniti e la Cina verso inevitabili conflitti che – ha detto – sarebbero stati «stupidi» e devastanti come la prima guerra mondiale. «Dico ai miei amici cinesi: dobbiamo essere molto intelligenti e molto attenti».
Kerry, che come segretario di Stato era a conoscenza dei segreti più profondi della moderna tecnologia di comunicazione, ha anche messo in guardia contro il 5G di Huawei. «Ci sono cose come backdoor. Esistono», ha dichiarato.
Kerry ha affermato di voler sviluppare il 5G il più rapidamente e conveniente possibile, ed ha anche chiesto: «perché non parliamo davvero di come possiamo farlo? Di come possiamo garantire la responsabilità, la trasparenza e la reciprocità, in modo che tutti noi siamo sicuri che nessuno stia cercando di ottenere un vantaggio?».
Ovviamente nessuno attorno al tavolo ha risposto.
«Ho sempre creduto che la Cina e gli Stati Uniti non dovessero guidare il mondo verso una nuova guerra fredda», ha affermato.
Fa sorridere che proprio a Bruxelles, vicino la sede dell’epicentro dell’esperimento sovranazionale ci sono due vie: rue de Tongres e rue des Eburons. Due strade che celebrano i primi indizi della resistenza nazionali al dominio dell’Impero romano.
E’ la vittoria di Ambiorix che si ribellò a Cesare e sconfisse i romani ad Atuatuca Tungrorum nel 54 a.C.
Mi sono ricordato il discorso che Tacito nell’Agricola mette in bocca al capo britannico Calgacus e del suo appello alle antiche libertà, dopo che ha descritto con la consueta, penetrante asciuttezza l’indole orgogliosa di quelle genti «Esse sono pronte ad accettare leve, tasse e ogni altro onore imposto dalla sudditanza, a patto che non si eserciti ingiustizia; questa sola non sopportano, ormai abbastanza sottomessi per obbedire, ma non per far da servitori».
«Tutte le volte che io considero le cause della guerra e la nostra ardua situazione, nutro grande speranza che oggi la vostra concordia debba segnare per tutta la Britannia il principio della libertà. Infatti – prosegue il comandante barbarico – voi siete tutti quanti qui uniti, ignari di ciò che sia servitù, e non ci sono terre alle nostre spalle, mentre neppure il mare è sicuro, poiché siamo sempre sotto la minaccia della flotta romana. In tali condizioni armi e combattimenti, ragione di gloria per i valorosi, sono nel tempo stesso la più sicura difesa anche per gli inetti».
Impensabile continuare ad avere un’Unione europea a trazione francese che ha come obiettivo solo quello di realizzare la Grande Francia.
Come hanno fatto le persone di quell’epoca a condividere un’identità europea comune – un’identità romana – quando la troviamo così difficile da raggiungere oggi?
Ai burocratici e i leader di Bruxelles suggerisco di tornare sui banchi delle Università ma soprattutto di far tornare a studiare nelle scuole la storia e l’identità romana con il suo Impero che non è durato qualche elezione europea ma dal I secolo a.C. al V secolo d.C.
Impensabile continuare a sradicare le radici dell’Europa che nascono dall’Impero romano, continuando ad imporre a tavolino modelli fallimentari che non appartengono alla nostra cultura.