
(AGENPARL) – Roma, 22 ott 2020 – In un contesto così difficile come l’attuale, gli ulteriori 400 milioni di euro reperiti in legge di Bilancio portano la dote complessiva per il rinnovo dei contratti pubblici a 3,8 miliardi a regime per le amministrazioni dello Stato e a 6,7 miliardi sull’intera Pubblica amministrazione.
Solo per fornire un semplice metro di paragone, lo scorso triennio contrattuale 2016-2018 si è chiuso garantendo un incremento contrattuale del 3,48% medio, stanziando a regime nel bilancio dello Stato risorse per 2,85 miliardi di euro.
Per il triennio 2019-2021 il beneficio contrattuale medio è del 4,15% circa, con un aumento retributivo medio di circa 107 euro contro gli 85 dello scorso triennio. Il tabellare 2019-21 è, quindi, sicuramente superiore a quello 2016-18.
Si tratta, peraltro, di un incremento che va ben oltre l’inflazione. L’Ipca, al netto dei beni energetici, cumulata nel triennio 2019-2021 è cifrata all’1,8%. Quindi gli incrementi riconosciuti sono di oltre il doppio.
Con l’ulteriore stanziamento, poi, si è colmato il valore dell’elemento perequativo della retribuzione, che avrebbe inciso, in mancanza di interventi, sull’incremento contrattuale dei lavoratori con i redditi più bassi che lo percepivano, andandosi parzialmente a compensare con quest’ultimo. Per lo Stato la copertura di questo elemento retributivo vale 250 milioni di euro circa.
Alcune poste che i sindacati chiedono di considerare a parte rispetto agli aumenti contrattuali, come l’indennità di vacanza contrattuale, hanno la natura di anticipo dei benefici contrattuali (corrisposti nel caso di slittamento del rinnovo rispetto al triennio di competenza) e, quindi, rientrano a pieno titolo nel novero delle risorse finanziarie stanziate per i rinnovi contrattuali.
Dunque, le risorse stanziate garantiscono comunque un recupero, dato che potranno essere riconosciuti incrementi in misura doppia rispetto all’inflazione, con una crescita dei salari non solo in termini nominali, ma anche in termini “reali”. In un momento di straordinaria difficoltà del Paese è un risultato di grande rilievo.
Sul fronte del decreto smart working, innanzitutto i sindacati sbagliano bersaglio, perché la deroga rispetto alla necessità di un accordo individuale è stata fissata dal decreto Cura Italia e non è stata introdotta dall’ultimo decreto ministeriale. Inoltre, temi come l’orario di lavoro restano totalmente nella disponibilità del dialogo con le rappresentanze dei lavoratori. Tuttavia, ricordiamo che le norme affidano ai datori pubblici un potere di organizzazione finalizzato a garantire “la rispondenza al pubblico interesse dell’azione amministrativa”. In particolare, l’articolo 5 del decreto legislativo 165/2001 dice, tra l’altro, che “le determinazioni per l’organizzazione degli uffici (…) e in particolare la direzione e l’organizzazione del lavoro (…) sono assunte in via esclusiva dagli organi preposti alla gestione con la capacità e i poteri del privato datore di lavoro”. Così da fonti della Funzione Pubblica