
La chiamano “economia d’argento”, quella riferita al business dell’assistenza agli anziani, comparto assai appetibile in un Paese come il nostro che conta circa 18 milioni di ultra sessantenni. Non a caso sulle strutture di assistenza e accoglienza per anziani si sta concentrando l’interesse di gruppi imprenditoriali e finanziari privati che, evidentemente ne hanno ben compresa l’alta redditività, Tanto più che, a partire dal 2007, si è assistito ad una decurtazione dei finanziamenti pubblici superiore al 33%.
Secondo dati non del tutto aggiornati, ad oggi in Calabria sono censite 226 strutture – di cui circa 80 nella Provincia di Cosenza – con una disponibilità di 5.744 posti letto, con due specificità: si tratta nella maggioranza dei casi di strutture con meno di 20 posti letto ed il 96,6 % delle stesse è in mano ai privati, contro una media nazionale del 68%.
La vicenda di Villa Torano, ormai troppo e troppo tristemente nota, si inserisce in questo contesto. Una vicenda caratterizzata da una serie di eventi tuttora incomprensibili. – ad iniziare dalla pantomima dell’effettuazione dei tamponi – e dall’adozione di interventi che appaiono, a voler essere buoni, maldestri ed intempestivi e che hanno avuto come unico effetto quello di provocare confusione e allarme. Resta il fatto che continua lo stillicidio quotidiano dei nuovi contagi in costante aumento, senza che alla struttura venga revocato l’accreditamento regionale – come era invece accaduto a quella Chiaravalle – nell’apprensione crescente e tutt’altro che ingiustificata di amministratori e cittadini dell’intero comprensorio e nel silenzio omertoso, invece, di gran parte della politica regionale. E’ da mettere in evidenza, inoltre, che, su impulso della Procura di Cosenza è stata avviata una indagine dei NAS, dalla quale però ad oggi non è scaturito alcun provvedimento.
Come Cgil avevamo lanciato l’allarme, ancora a fine marzo, con una nota al Prefetto per sollecitare uno screening delle strutture di accoglienza degli anziani nel territorio provinciale e sottoporre ospiti e personale agli accertamenti del caso, alla luce di quanto già avvenuto a Bocchigliero e Chiaravalle. Al momento sono due i decessi riconducibili a Villa Torano, ma anche a tale proposito i ma ed i forse creano una cortina fumogena, a seguito anche della stretta imposta dalla Presidente Santelli all’informazione sul Coronavirus in Calabria. Una coincidenza? La speranza forse che, tacendo, comunque tutto si sarebbe sistemato, senza fuga di notizie e senza polemiche.
I comportamenti assunti, in questa fase, da Giunta Regionale, Dipartimento Regionale della Salute e dal Commissario Straordinario svelano insipienza e inadeguatezza. Infatti, al di là di proclami, non solo non si sta mettendo in campo una qualsivoglia iniziativa per accompagnare questa fase così drammatica, ma ci viene sottratto un bene prezioso quale la corretta informazione su una vicenda che, con i suoi contorni opachi e confusi, ripropone la situazione di degrado della vita politica calabrese e i confini sempre incerti tra il lecito e l’illecito. In questi giorni da più parti si paventano possibili infiltrazioni della criminalità organizzata in una situazione economica già tanto compromessa da questa emergenza. Anche su questo tema non una sola parola abbiamo sentito dai massimi vertici regionali, più che mai votati a praticare la politica del “tacere e sopire”.
Quanto avvenuto nelle RSA, e in particolar modo a Villa Torano, rimanda alle scelte del tutto insufficienti e inefficienti compiute negli ultimi anni rispetto al modello di welfare e ai bisogni assistenziali legati all’invecchiamento della popolazione. Dobbiamo, da subito, ripensare i modelli organizzativi delle RSA, perché in strutture dove vengono accolte decine di persone, spesso fragili, non autosufficienti, nonostante l’impegno e la professionalità degli operatori, diventa impossibile garantire percorsi di assistenza individualizzati, personalizzati, che mettano al centro la relazione, la persona ed i suoi bisogni.
Dobbiamo pretendere linee guida per gli accreditamenti, che non guardino solamente i requisiti strutturali, ma valorizzino la qualità del lavoro, stabiliscano dotazioni organiche minime, la presenza di tutte le professionalità necessarie, la formazione continua degli operatori. Dobbiamo ripensare il modello assistenziale, privilegiando percorsi basati non solo sulla residenzialità, ma di presa in carico sul territorio, in grado di mantenere il più a lungo possibile le persone nel proprio ambiente, nel proprio tessuto sociale.
Ce lo impone la prossima uscita dalla Fase 1, la necessità per tutti di tornare ad una vita normale. Ma, soprattutto, ce lo impone il rispetto della dignità e della salute delle persone anziane. (News&Com)