
“Le donne mediatrici di pace hanno un ruolo cruciale, anche se spesso sottovalutato o ostacolato dai sistemi politici e culturali. Quando le donne partecipano ai processi di pace, non solo aumentano le probabilità che un accordo venga raggiunto, ma anche che questo duri nel tempo. Perché le donne fanno la differenza nella mediazione grazie alla loro prospettiva inclusiva, il loro orientamento alla riconciliazione, e la loro esperienza diretta dei conflitti. Insomma le donne spesso privilegiano un approccio collaborativo e relazionale e mostrano una maggiore propensione all’ascolto attivo, all’empatia e alla costruzione di fiducia. Qual è la situazione attuale? Secondo dati ONU, meno del 20% dei negoziatori di pace a livello globale sono donne. Le risoluzioni come la 1325 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite sottolineano l’importanza del ruolo femminile nei processi di pace, ma l’attuazione concreta ancora è lenta. Cosa servirebbe per aumentare le opportunità? Formazione specifica per donne mediatrici a livello locale e internazionale; riforma delle strutture negoziali, che spesso sono esclusive e poco trasparenti, e riconoscimento formale del ruolo delle donne nella sicurezza e nella costruzione della pace. Non dimentichiamo infatti che ci sono alcuni esempi di donne che hanno contribuito grandemente alla pace: Leymah Gbowee in Liberia o i movimenti femminili che hanno influenzato i colloqui di pace in Colombia. La loro presenza ha portato cambiamenti tangibili in questa direzione. In definitiva, secondo Accademia Iniziativa Comune, promuovere la partecipazione delle donne nella mediazione non è solo una questione di equità, ma una scelta strategica per società più giuste e durature”.
Così, in una nota stampa, il portavoce nazionale di Accademia Iniziativa Comune e presidente della associazione Bandiera Bianca, Carmela Tiso.