
Un controverso progetto economico dal valore stimato di oltre 300 miliardi di dollari per la trasformazione della Striscia di Gaza sta attirando l’attenzione internazionale e sollevando forti polemiche. Sostenuto da investitori israeliani e figure occidentali di spicco, il cosiddetto “Piano Riviera” promette la costruzione di resort di lusso, isole artificiali, un porto in acque profonde e una zona industriale intelligente supervisionata da multinazionali. Tuttavia, secondo esperti ed economisti, il piano rischia di mascherare un tentativo di “pulizia demografica” sotto la facciata di investimenti infrastrutturali.
Tra i punti più controversi vi è un’indennità finanziaria proposta a oltre 500.000 palestinesi in cambio dell’abbandono della Striscia. Il prof. Nasr Abdel Karim ha definito l’iniziativa “illegittima, immorale e priva di trasparenza”, sottolineando come persino l’amministrazione statunitense sembri prenderne le distanze.
La realtà economica di Gaza, secondo la Banca Mondiale, è disastrosa: l’economia ha subito un collasso dell’83% nel 2024, con perdite superiori ai 29,9 miliardi di dollari, un tasso di disoccupazione vicino all’80% e infrastrutture completamente devastate. Abdel Karim avverte che qualsiasi progetto di ricostruzione che ignori le cause politiche del conflitto è destinato a fallire.
A fronte di questo, è stato presentato un piano alternativo arabo del valore di 53 miliardi di dollari, basato su un cessate il fuoco, il ritiro militare israeliano, la revoca del blocco e la creazione di un’autorità palestinese unificata. Questo piano, secondo gli analisti, offre maggiori garanzie di legittimità e sostenibilità politica.
Nel frattempo, secondo Ynet, Israele ha accettato in linea di principio di permettere al Qatar e ad altri paesi di finanziare la ricostruzione della Striscia durante una tregua negoziata, che includerebbe anche uno scambio di prigionieri. Gli Stati Uniti, con la mediazione diretta del presidente Donald Trump, stanno esercitando forti pressioni su Netanyahu affinché accetti un accordo provvisorio di 60 giorni.
Tuttavia, le trattative rimangono in bilico a causa della volontà di Netanyahu di mantenere il controllo militare sul corridoio Morag (Filadelfia 2), in contrasto con le raccomandazioni degli stessi servizi di sicurezza israeliani. Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti hanno fatto sapere che non contribuiranno alla ricostruzione senza garanzie sull’interruzione permanente del conflitto.
Come ha affermato il prof. Abdel Karim:
“Gaza può essere ricostruita, ma non sulle rovine della dignità del suo popolo o sui corpi delle sue vittime”.