
Di seguito l’intervento integrale di Uriel Perugia, Uriel Perugia, Segretario Generale dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane.
Gentili Organizzatori, Stimate Autorità presenti, Presidente Cozzolino,
grazie per l’invito e l’iniziativa.
La scorsa settimana mi sono imbattuto in una intervista del 1972 fatta a Sirimavo Bandaranaike, Presidente di quel paese che oggi chiamiamo Sri Lanka, e che allora si chiamava Ceylon.
Era da poco avvenuta una rivolta studentesca che, a distanza di mesi, si portò dietro massacri, un numero imprecisato, tra 1000 e 5000 morti, e decine di migliaia di arresti tra chi aveva un’età compresa tra i 16 e i 25 anni.
In quel paese, a differenza di India e Pakistan che sono a due passi dallo Sri Lanka, nessuno moriva di fame, la sanità era gratuita, l’istruzione garantita e gratis fino alla laurea.
Perché, là, una rivolta tanto arrabbiata ed una repressione così spietata?
Vorrei riportarvi qualche passaggio che, nonostante la distanza, geografica e temporale, risuona così tanto con alcune situazioni a cui assistiamo oggi:
“Ho scoperto solo ragazzi inquieti, scontenti, avviliti, e colmi di rabbia per la società in cui vivono. Sembrava che avessero subito un lavaggio celebrale”
“Essi non si ribellano mai quando dovrebbero, e cioè nei regimi totalitari, di destra o di sinistra. Si ribellano sempre nei regimi che consentono loro di vivere e organizzarsi”
“Il particolare più doloroso, un particolare che vale non solo per i giovani estremisti di Ceylon, ma per tutti gli estremisti del mondo, Europa compresa: Il prezzo della democrazia si chiama tolleranza, pazienza. La democrazia è lenta; non conosce bacchette magiche, non conosce miracoli.
E infine: “O questi giovani li lasciamo andare e così tornano dentro la giungla a preparare un’altra rivolta, oppure li teniamo dentro e così priviamo il paese della sua gioventù, dei suoi futuri leader “
Ecco alcuni punti che vorrei qui toccare:
- L’educazione dei nostri giovani, dei futuri leader delle nostre società
- Il valore che diamo alle libertà di cui godiamo in occidente e la capacità che abbiamo di mantenerle
- L’influenza, reale o meno, di potenze straniere dietro ai sommovimenti della società
Qual è la nostra comune posizione in merito e quale contributo, assieme, possiamo dare; e che c’entra tutto questo con la sicurezza?
La sicurezza è il terminale ultimo dei comportamenti, delle politiche che attuiamo e degli insegnamenti che diamo. Perché il contrario del rispetto per l’uomo in quanto tale, il contrario della democrazia, è la legge del più forte; e quando vige la legge del più forte, sono le minoranze e le categorie più deboli a pagarne per prime il prezzo. I totalitarismi sono un ambiente sicuro solo per chi è al potere; oltretutto a carattere temporaneo, considerato che tutte le dittature prima o poi cadono.
Di contro, Occidente non è automaticamente sinonimo di giustizia. L’occidente non ha una storia meno sanguinosa e prepotente di altre realtà; l’occidente moderno piuttosto, a caro prezzo, ha conquistato alcune libertà, a cui non vogliamo rinunciare.
Va poi detto che più passa il tempo, più si dà per scontata la libertà di cui godiamo e più ci si dimentica delle tragedie e dei sacrifici fatti per averla.
Così come è vero che gli stessi punti di forza delle nostre libertà costituzionali, la libertà di parola e di espressione, possono diventare un’arma nelle mani di chi queste libertà vorrebbe togliercele, intossicandoci con informazioni false e messaggi di odio, volte a far perdere la fiducia nelle nostre istituzioni. L’abbiamo visto con la fake news durante il Covid. Lo stiamo vedendo in questi giorni con ciò che sta accadendo in Romania.
A dare un po’ di ottimismo intervengono un paio di esempi:
- Il primo riguarda proprio Il Covid. Nonostante la quantità di fake news, comprovate anche dalla Commissione Europea, con cui siamo stati inondati, alla prova dei fatti, l’unico vaccino realmente funzionante è stato sviluppato nelle democrazie;
- La scorsa settimana c’è stato un tentativo di introduzione della legge marziale in Corea del Sud, con conseguente sollevazione parlamentare e popolare e ritiro dell’iniziativa. Evidentemente, chi ha assaporato per un po’ di tempo la democrazia, non se la fa sottrarre tanto facilmente.
I valori alla base delle nostre religioni possono rappresentare un argine in difesa delle libertà costituzionali che le nostre società hanno raggiunto. Dovremmo, dobbiamo rappresentare sempre più un baluardo contro le distorsioni e i messaggi di odio e allo stesso tempo essere una voce importante, autorevole, propositiva, volta a migliorare il mondo e sanare le ingiustizie che anche la nostra società si porta dietro.
Le nostre Sinagoghe, Moschee, Chiese, sono luoghi dove si fa educazione, ci si forma; le nostre religioni, le nostre regole religiose, sono stili di vita.
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Come fare dunque in modo che le naturali aspirazioni dei nostri giovani per un mondo più giusto non abbiano caratteristiche violente e non mettano a repentaglio le libertà che le generazioni precedenti alle nostre si sono conquistate con il sangue?
A questo proposito, in aiuto all’ebraismo viene un preciso precetto religioso, chiamato “Dinà demalkhuta Dinà”, che in italiano si potrebbe tradurre con “la legge dello Stato è legge”. Alle regole religiose ebraiche si aggiunge, o per meglio dire, fa parte delle regole religiose ebraiche, la regola per cui “la legge del tuo governo è la tua legge”. Potremmo dunque dire che la Costituzione italiana è parte della mia legge, civile e religiosa. Un esempio per banalizzare un po’: noi abbiamo degli animali che possiamo mangiare e altri no, a seconda delle loro caratteristiche; i pesci devono avere pinne e squame, i quadrupedi essere erbivori, ruminanti, avere lo zoccolo spaccato in due. Esistono delle regole anche per gli insetti, ma poiché, fino a poco tempo fa, mangiare insetti era considerato spregevole in Europa, quegli insetti che sarebbero stati leciti in altri contesti, in Europa non erano comunque considerati Kasher per la legge ebraica.
Un approccio di questo tipo non favorisce l’assimilazione, ma al contempo facilità l’integrazione.
Credo che messaggi simili ci siano anche nelle altre religioni e credo sia di aiuto darne il giusto rilievo.
Con questo spirito qualche anno fa, assieme al COREIS e all’ARPA, abbiamo ideato e realizzato il progetto, finanziato dalla Presidenza del Consiglio, “Not in my name. Ebrei, Cattolici e Musulmani in campo contro la violenza sulle donne”.
Con un simile intento lo scorso anno abbiamo lanciato un progetto denominato “art.3”, in cui diversi esperti dibattono e cercano di fornire risposte alle maggiori sfide della contemporaneità, fornendo un contributo e un punto di vista ebraico.
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Credo che attraverso queste azioni possiamo essere utili ad una società più giusta. Lo siamo se le nostre religioni fungono da stimolo per la politica, si pongono in dialettica con essa; non se si mettono, per così dire, al suo servizio.
Cosa altro fare per aumentare la sicurezza delle nostre Comunità?
Dobbiamo evitare di scimmiottare e importare conflitti che avvengono altrove. Noi, al caldo, dai nostri divani, dovremmo usare la nostra condizione privilegiata per facilitare, mitigare, disinnescare, proporre modelli positivi, non importarli sui nostri territori e rompere modelli di convivenza faticosamente costruiti. Loro, con le tragedie di cui sono carichi, hanno molte più giustificazioni di noi, qui, che siamo fuori dalla portata dei missili.
Dovremmo creare le condizioni affinché si intervenga, assieme, con una voce sola, di fronte ad atteggiamenti pericolosi:
La scorsa settimana un noto giornalista ha dichiarato in un’intervista: “Non mi vergogno affatto di considerare i musulmani delle razze inferiori”. A protestare non dovrebbero essere i musulmani, a protestare dovrebbero essere tutti gli uomini che si riconoscono nei valori costituzionali.
Dovremmo porre attenzione all’utilizzo di parole velenose come genocidio, apartheid; specialmente tenendo conto delle ricadute e dei cortocircuiti che queste parole possono avere su un pubblico che poi si fa idee e assume atteggiamenti consequenziali. Se si lascia passare senza indignarsi il messaggio per cui gli “ebrei sono i nuovi nazisti” diventa possibile che qualcuno giustifichi un pogrom, che arrivi a chiamare rivoluzione quanto accaduto in Israele il 7 ottobre, senza che si elevi una voce indignata
Delicato è anche vedere rappresentato Gesù con una Keffiah; il rischio in questo caso è quello di indurre a credere che Gesù non fosse ebreo; o che si possa involontariamente stuzzicare un riflesso condizionato vecchio di millenni e le cui basi la stessa chiesa ha rimosso col Concilio Vaticano II°: gli ebrei stanno uccidendo i palestinesi, così come hanno ucciso Gesù 2000 anni fa.
Purtroppo, di vignette e meme, come si chiamano oggi, di questo tipo, se ne vedono parecchie.
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Assieme alla CEI, negli ultimi anni è stato fatto un lavoro importante su come l’ebraismo viene rappresentato nei dei libri testo; una collaborazione tra esperti della tradizione cristiana ed esperti della tradizione ebraica che ha prodotto 16 schede a supporto degli insegnanti, tesa ad una corretta conoscenza e trasmissione dell’ebraismo.
Momenti e progetti come questo diventano preziosi anche perché ci permettono di confrontarci; ascoltare cose a cui potremmo non aver pensato, non essendo direttamente coinvolti. E per questo, ancora più importante è che quanto qui condiviso sia riportato ai nostri iscritti, esca da queste stanze per così dire, “illuminate”, per portare luce tra i nostri rispettivi membri. In un periodo in cui le istituzioni vengono sfidate e talvolta sfiduciate, la nostra voce di guida alla convivenza diventa sempre più cruciale.
