
(AGENPARL) – mer 22 novembre 2023 Favorire l’inclusione occupazionale
per contrastare la violenza sulle donne
Novembre 2023
A cura di
Ester Dini e Danilo Trippetta
UFFICIO STUDI DEI CONSULENTI DEL LAVORO
Favorire l’inclusione occupazionale per contrastare la violenza sulle donne
Sommario
LA VIOLENZA DI GENERE IN ITALIA: NUMERI E TENDENZE …………………………………………………………….. 2
CONDIZIONE OCCUPAZIONALE E VIOLENZA SULLE DONNE: ALCUNE EVIDENZE ………………………………… 4
PIÙ LAVORO E REDDITO PER CONTRASTARE LA VIOLENZA CONTRO LE DONNE ………………………………… 8
L’ASSEGNO DI INCLUSIONE PER LE DONNE VITTIME DI VIOLENZA ………………………………………………… 11
IL QUADRO NORMATIVO ……………………………………………………………………………………………………….. 14
LA CONVENZIONE DI ISTANBUL E LA PROPOSTA DI DIRETTIVA DEL PARLAMENTO EUROPEO ………………………………. 14
L’EVOLUZIONE DELLA NORMATIVA IN ITALIA ……………………………………………………………………………………… 16
Favorire l’inclusione occupazionale per contrastare la violenza sulle donne
1. La violenza di genere in Italia: numeri e
tendenze
La violenza contro le donne si presenta come un fenomeno molto complesso e
articolato, di cui i femminicidi rappresentano solo la punta dell’iceberg di
comportamenti che, dalle persecuzioni, ai maltrattamenti alle violenze di carattere
sessuale risultano ancora estremamente diffusi nella nostra società.
Secondo il Ministero dell’Interno, il numero degli omicidi volontari con vittime di
genere femminile, è in progressivo aumento: nel 2022 si sono infatti registrati 125
femminicidi, a fronte dei 119 commessi nel 2021 e 112 del 2019. Nel 2022, su 100
omicidi commessi, 39 hanno avuto come vittima una donna. Nel 2019, la percentuale
era del 35% (tab. 1).
Nel corso del 2023, i dati forniti dal dipartimento della Pubblica Sicurezza evidenziano
una tendenziale stabilità del fenomeno: tra il primo gennaio e il 12 novembre ci sono
stati 102 omicidi con vittime donne, un numero pressocché identico a quello riferito
allo stesso periodo del 2022 (101 omicidi).
Tab. 1 – Andamento degli omicidi volontari con vittime donne, 2019-2022 (val. ass. e var.
Var. % 2019-2022
Omicidi volontari
di cui vittime donne
% donne su totale vittime
Fonte: Ministero dell’Interno
Anche sul versante dei reati sottostanti, le tendenze emerse negli ultimi anni risultano
preoccupanti. Tutti i reati spia, quei delitti ritenuti possibili indicatori di una violenza
di genere, poiché espressione di violenza contro una donna in quanto tale, registrano
infatti un incremento significativo tra il 2019 e il 2022. Aumentano gli atti persecutori
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(+4,6%), i maltrattamenti famigliari (+8,6%), ma soprattutto le violenze sessuali
(+22,7%) (tab. 2).
Tab. 2 – Andamento dei reati spia con vittime donne, 2019-2022 (val. ass. e var. %)
Var. % 2019-2022
Atti persecutori
12.209
12.772
Maltrattamenti contro famigliari e conviventi
17.306
18.789
Violenze sessuali
4.444
5.452
Fonte: elaborazione Fondazione Studi Consulenti del Lavoro su dati Ministero dell’Interno
Tale tendenza è presumibilmente da collegare anche ad una maggiore propensione a
denunciare episodi di violenza, dovuta sia alla maggiore informazione sull’esistenza
di misure dedicate che all’intensificazione delle campagne di comunicazione sugli
strumenti in aiuto delle vittime di violenza.
Secondo i dati rilasciati dall’Istat1, nel 2022 vi sono state 32.430 chiamate al numero
1522 promosso dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento Pari
Opportunità e dedicato ad accogliere le richieste di aiuto e sostegno delle vittime di
violenza e stalking. Rispetto al 2019, quando le stesse erano state 21.290, si registra
un incremento significativo (+52,3%), riconducibile alla maggiore conoscenza del
numero verde, ma anche, presumibilmente, ad una maggiore propensione a
richiedere aiuto da parte delle vittime.
Istat, Il sistema della protezione per le donne vittime di violenza, 2023
Favorire l’inclusione occupazionale per contrastare la violenza sulle donne
2. Condizione occupazionale e violenza
sulle donne: alcune evidenze
La violenza sulle donne è un fenomeno, come mostrato dai dati, di difficile contrasto,
anche perché trova ragione in un complesso di cause molto articolate, che
abbracciano la dimensione culturale, economica e psicologica degli individui.
Le politiche attuate negli ultimi anni hanno mirato a fornire alle donne vittime di
violenza una serie di strumenti volti ad accrescere la consapevolezza rispetto alla
gravità dei reati perpetrati ai loro danni e alla capacità di tutela e risposta, attraverso
percorsi mirati di sostegno e reinserimento.
L’autonomia economica rappresenta da questo punto di vista uno strumento
fondamentale per supportare le donne che sono state vittime di violenza nel percorso
di uscita. Ma è imprescindibile per tutte quelle donne che volessero sottrarsi a tutte
quelle forme di violenza che, il più delle volte, si consumano negli ambienti domestici.
Secondo i dati divulgati dall’Istat in occasione dell’Audizione relativa alle Disposizioni
per l’inserimento lavorativo delle donne vittime di violenza di genere, su 15.559 donne
che nel 2020 hanno iniziato il percorso personalizzato di uscita dalla violenza, solo il
35,5% risultava occupata in forma stabile (tab. 3).
Tab. 3 – Condizione delle donne che hanno iniziato nel 2020 il percorso personalizzato di
uscita dalla violenza per condizione professionale (val. ass. e var. %)
Val. %
Occupata in forma stabile
Occupata in forma saltuaria
Disoccupata
Ritirata dal lavoro
Studentessa
Casalinga
Altro
Totale
100,0
Fonte: elaborazione Fondazione Studi Consulenti del Lavoro su dati Istat
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La maggioranza risultava non avere alcun tipo di occupazione, in quanto ancora in
cerca di occupazione (25,2%), casalinga (8,7%), studentessa (5,2%) mentre il 14,4% ha
dichiarato di avere un’occupazione saltuaria. Tra le 30-39enni risulta particolarmente
elevata la quota di donne che, al momento della violenza, era disoccupata (29,8%)
oppure lavorava in forma saltuaria (16%).
Circa la metà delle donne intervistate (48,7%) risulta, di conseguenza, non autonoma
da un punto di vista economico. Se si escludono le occupate in forma stabile e le
pensionate, dove la maggioranza ha mezzi sufficienti al proprio sostentamento, negli
altri casi, le donne vittime di violenza esprimono una condizione di dipendenza
economica verso altri soggetti (partner o famiglia) che finisce per condizionare talvolta
anche la tipologia delle violenze subite. Tra le giovanissime, questa appare
particolarmente accentuata, mentre all’aumentare dell’età, cresce il livello di
autonomia economica (fig. 1).
Fig. 1 – Condizione economica delle donne che hanno iniziato nel 2020 il percorso
personalizzato di uscita dalla violenza per età (val. ass. e var. %)
40-49 anni
50-59 anni
60-69 anni
16-29 anni
30-39 anni
Autonoma
Non autonoma
Fonte: elaborazione Fondazione Studi Consulenti del Lavoro su dati Istat
Totale
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Del resto, le ragazze fino a 18-24 anni che si sono rivolte al 1522 sono
prevalentemente studentesse, mentre a partire dalla fascia di età 25-34 anni
aumentano le donne occupate e le disoccupate o in cerca di occupazione.
Se si guarda alla frequenza delle violenze, mediamente le donne economicamente
dipendenti dichiarano di aver avuto un numero di violenze superiori (il 14,6% più di 4
episodi) rispetto alle donne che hanno un proprio reddito: tra queste ultime il 42,8%
afferma di essere stata vittima di 1 o 2 episodi di violenza (contro una percentuale del
34,8% tra le donne senza reddito) e il 9,1% dichiara più di 4 episodi (tab. 4).
Tab. 4 – Numero di violenze subite dalle donne che hanno iniziato nel 2020 il percorso
personalizzato di uscita dalla violenza condizione economica (val. ass. e var. %)
Numero di violenze subite
Autonome
Non autonome
Totale
5 e oltre
Totale
Fonte: elaborazione Fondazione Studi Consulenti del Lavoro su dati Istat
Similmente, oltre il 60% riferisce di violenze subite per anni, quota che supera il 75% per
le casalinghe e il 70% per le pensionate, le ritirate dal lavoro, le lavoratrici in nero. Il dato
è comunque al di sopra della media anche per le donne prive di lavoro. La situazione è
“relativamente” migliore per le occupate e le studentesse che subiscono violenze da
minor tempo: prevale la frequenza “da mesi” per il 32% delle prime e per il 29,3% delle
seconde.
Anche rispetto alla tipologia di violenza, le donne non autonome economicamente sono
più frequentemente vittime di violenza fisica (71,8% contro il 63,7% delle donne con
reddito), stupro (11,6% contro 6,7%) e soprattutto violenza economica (47,6% contro il
29,5%). Di contro, tra le donne che lavorano è più frequente lo stalking (tab. 5).
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Tab. 5 – Tipologia di violenze subite dalle donne che hanno iniziato nel 2020 il percorso
personalizzato di uscita dalla violenza condizione economica (val. ass. e var. %)
Autonome
autonome
Totale
Violenza psicologica
Violenza fisica
Violenza economica
Stalking
Altra violenza sessuale
Stupro
Tipologia di violenza
Minaccia
Fonte: elaborazione Fondazione Studi Consulenti del Lavoro su dati Istat
Le donne che non hanno autonomia economica presentano inoltre più
frequentemente casi di violenza da parte del partner con cui vivono: su 100 episodi
segnalati, causati dal convivente, nel 53,6% dei casi la vittima non ha reddito, mentre
nel 46,4% è economicamente autonoma. Di contro, tra queste ultime, sono più
frequenti violenze da parte di conoscenti e soprattutto ex partner (tab. 6).
Ad aggravare la situazione economica di queste vittime è anche l’onere di avere dei
figli a carico: il 48,3% delle casalinghe e il 41,6% delle lavoratrici in nero ha figli
minorenni. Per le occupate, disoccupate e le donne in cerca di prima occupazione, la
percentuale è pari rispettivamente a 33,6%, 29,2% e 28,5%.
Tab. 6 – Relazione con autore delle violenze subite dalle donne che hanno iniziato nel 2020 il
percorso personalizzato di uscita dalla violenza condizione economica (val. ass. e var. %)
Autonome
autonome
Totale
Partner
100,0
Ex partner
100,0
Familiare
100,0
Conoscente
100,0
Totale
100,0
Relazione con autore della violenza
Fonte: elaborazione Fondazione Studi Consulenti del Lavoro su dati Ista
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3. Più lavoro e reddito per contrastare la
violenza contro le donne
In questo scenario, l’incremento dei tassi di partecipazione delle donne al lavoro
appare un obiettivo urgente, anche ai fini di potenziare gli strumenti di difesa delle
donne rispetto ai comportamenti di violenza che possono essere adottati contro di
loro.
Ancora troppo numerose sono le donne nel nostro Paese che restano lontane dal
lavoro. Nel 2022, tra la popolazione femminile di età compresa tra i 25 e 64 anni, erano
6 milioni 773 mila quelle che non lavoravano, pari al 42,7% del totale delle donne
residenti (tab. 7).
Di queste, 842 mila risultavano disoccupate, mentre 1 milione 238 mila erano forze di
lavoro potenziali (non in cerca, ma disponibili a lavorare) e 4 milioni 692 mila
indisponibili al lavoro. La metà circa (3 milioni 290 mila), è residente al Sud. In
quest’area, il 61% delle donne tra i 25 e 64 anni, non lavora.
Tab. 7 – Distribuzione della popolazione femminile 25-64 anni per condizione e area
geografica, 2022 (val. ass.)
Condizione professionale europea
Centro
Italia
Lavorano
Non lavorano
Disoccupati
Forze lavoro potenziali
Non cercano e non disponibili
Totale
4.932
2.351
1.773
7.282
2.050
1.133
3.183
2.101
3.290
2.128
5.391
9.082
6.773
1.238
4.692
15.855
Fonte: elaborazione Fondazione Studi Consulenti del Lavoro su dati Istat
Sono dati che si accompagnano alla fotografia dello strutturale divario dell’Italia
rispetto al resto d’Europa e del permanere, anche tra le giovani generazioni, di livelli
occupazionali estremamente bassi.
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Tra le 25-29enni, a fronte di un tasso occupazionale medio EU del 72,1 e del 77,8 in
Germania, l’Italia si colloca al 53,9, quasi 20 punti percentuali in meno dei partner
europei. Di poco meglio va nelle fasce d’età successive, dove il divario tende a ridursi,
collocandosi tuttavia su livelli sempre elevatissimi: 59,8 contro 75,3 Media Eu tra le 3034 enni, 62,7 contro 75,9 tra le 35-39enni e 65,2 contro 77,8 tra le 40-44enni (tab. 8).
Tab. 8 – Tasso di occupazione femminile 25-64 anni, nei principali Paesi europei, per classe
d’età, 2022 (val. %)
25-29 anni
30-34 anni
35-39 anni
40-44 anni
45-49 anni
50-54 anni
55-59 anni
60-64 anni
Germania
Spagna
Francia
Italia
Euro area (da
2023)
Fonte: elaborazione Fondazione Studi Consulenti del Lavoro su dati Eurostat
La bassa partecipazione al lavoro si accompagna anche alla maggiore vulnerabilità
delle donne rispetto agli uomini. Il che spiega come spesso, pur in presenza di un
lavoro, questo non sia in grado di garantire a molte donne un reddito dignitoso.
Secondo le elaborazioni recentemente fornite dall’Istat in occasione dell’Audizione
sulla proposta di introduzione di un salario minimo legale, il 27,8% delle donne
occupate nel nostro Paese presenta almeno un elemento di “vulnerabilità lavorativa”,
riconducibile alla sussistenza di un contratto a termine o collaborazione (autonomo
senza dipendente), o presenza di part time involontario, o entrambe le condizioni. Tra
gli uomini, la quota di lavoratori vulnerabili è del 16,2% (fig. 2).
Tale condizione risulta particolarmente diffusa tra le giovanissime (45,7%), tra le
straniere (40,7%) e tra le residenti al Sud (36,2%).
Favorire l’inclusione occupazionale per contrastare la violenza sulle donne
Fig. 2 – Condizione di vulnerabilità delle occupate, per caratteristiche socio anagrafiche,
2022 (val. %)
Fonte: elaborazione Fondazione Studi Consulenti del Lavoro su dati Istat
Favorire l’inclusione occupazionale per contrastare la violenza sulle donne
4. L’assegno di inclusione per le donne
vittime di violenza
Un aiuto per favorire l’inclusione economica e lavorativa delle vittime di violenza è
dato dall’assegno di inclusione, introdotto dal D.L. n. 48/2023, convertito in Legge n.
85/2023, che entrerà in vigore dal 1° gennaio 2024.
Questo prevede infatti un sostegno economico mensile per un periodo continuativo
non superiore a 18 mesi (rinnovabile, previa sospensione di un mese, per ulteriori 12
mesi) ai soggetti inseriti nei percorsi di protezione relativi alla violenza di genere; sono
previsti inoltre significativi sgravi contributivi per i datori di lavoro che assumono i
beneficiari dell’assegno di inclusione.
L’importo dell’Assegno di inclusione è composto da una integrazione del reddito
familiare fino a euro 6.000 annui, ovvero euro 7.560 annui se il nucleo familiare è
composto da persone tutte di età pari o superiore a 67 anni ovvero da persone di età
pari o superiore a 67 anni e da altri familiari tutti in condizioni di disabilità grave o di
non autosufficienza, moltiplicati per il corrispondente parametro della scala di
equivalenza.
A tale importo, può essere aggiunto un contributo per l’affitto dell’immobile dove
risiede il nucleo per un importo pari all’ammontare del canone annuo previsto nel
contratto in locazione (ove regolarmente registrato) fino ad un massimo di euro 3.360
annui, ovvero 1.800 euro annui se il nucleo familiare è composto da persone tutte di
età pari o superiore a 67 anni ovvero da persone di età pari o superiore a 67 anni e
da altri familiari tutti in condizioni di disabilità grave o di non autosufficienza.
La misura prevede per le donne vittime di violenza, inserite in percorsi di protezione,
alcune specifiche novità che dovrebbero facilitare l’accesso alla misura da parte di tale
platea.
In particolare, l’articolo 2, comma 6, del Decreto Lavoro specifica che soggetti inseriti
nei percorsi di protezione relativi alla violenza di genere costituiscono sempre un
nucleo familiare a sé. Tale precisazione, che riguarda l’Indicatore della Situazione
Economica Equivalente (ISEE), costituisce un elemento di novità importante, dal
momento che l’accesso alla misura è legata proprio al rispetto della soglia di 9.360
euro: le donne vittime di violenza saranno considerate come nuclei familiari
Favorire l’inclusione occupazionale per contrastare la violenza sulle donne
indipendenti, tenendo conto soltanto delle proprie condizioni patrimoniali e
reddituali. Tale disposizione rappresenta una tutela importante per tutte le donne
vittime di violenza, agevolando l’accesso a strumenti di sostegno e agevolazioni che
possono essere fondamentali nel percorso di indipendenza e che, al contrario,
sarebbero inaccessibili se venissero considerate anche le forze economiche e
patrimoniali delle persone presenti all’interno del proprio nucleo.
Sempre nel Decreto Lavoro, inoltre, viene previsto che le persone inserite nei percorsi
di protezione relativi alla violenza di genere e le donne vittime di violenza, prese in
carico da centri antiviolenza riconosciuti dalle Regioni o dai servizi sociali nei percorsi
di fuoriuscita dalla violenza, vengano sollevate dall’obbligo di partecipazione
ai percorsi personalizzati di inclusione sociale o lavorativa e dalla relativa necessità di
accettare le proposte di lavoro eventualmente offerte.
I correttivi inseriti rappresentano un primo passo importante verso il riconoscimento
e la rimozione di alcuni ostacoli all’accesso delle misure di sostegno che potrebbero
favorire il percorso di autonomia delle donne vittime di violenza.
L’assegno di inclusione, quale misura di sostegno economico, si unisce alla previsione
di un canale privilegiato di ingresso nel mercato del lavoro. Il Decreto Lavoro dispone
infatti che ai datori di lavoro privati che assumono i beneficiari dell’Assegno di
inclusione con contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, pieno o
parziale, o anche mediante contratto di apprendistato, è riconosciuto, per un periodo
massimo di dodici mesi, l’esonero dal versamento del 100% dei complessivi contributi
previdenziali a carico dei datori di lavoro, nel limite massimo di importo pari a 8.000
euro su base annua. L’esonero è riconosciuto anche per le trasformazioni dei contratti
a tempo determinato in contratti a tempo indeterminato.
In caso di assunzione con contratto di lavoro subordinato a tempo determinato o
stagionale, pieno o parziale, è invece riconosciuto, per un periodo massimo di dodici
mesi e comunque non oltre la durata del rapporto di lavoro, l’esonero dal versamento
del 50% dei complessivi contributi previdenziali a carico dei datori di lavoro, nel limite
massimo di importo pari a 4.000 euro su base annua.
Per avere un’idea della possibile platea interessata, si consideri che l’Istat stima in circa
21 mila donne le vittime di violenza che hanno iniziato un percorso di uscita presso i
servizi specializzati e che potrebbero beneficiare degli strumenti di inclusione
economica loro destinati. La stima offre tuttavia solo un’indicazione parziale della
platea di riferimento potenziale delle misure destinate all’inclusione delle donne
Favorire l’inclusione occupazionale per contrastare la violenza sulle donne
vittime di violenza, sia perché le informazioni a disposizione sono parziali, sia perché
la componente seguita dai servizi territoriali non è nota, e più in generale, perché il
fenomeno della violenza di genere è sottostimato.
Favorire l’inclusione occupazionale per contrastare la violenza sulle donne
5. Il quadro normativo
5.1. La Convenzione di Istanbul e la Proposta di Direttiva
del Parlamento Europeo
La Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro
le donne e la violenza domestica, nota anche come Convenzione di Istanbul, è un
trattato internazionale contro la violenza sulle donne e la violenza domestica,
approvata dal Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa il 7 aprile 2011 ed aperta
alla firma l’11 maggio 2011 a Istanbul. Essa rappresenta la cornice di riferimento per
le norme internazionali in questo settore.
È infatti il primo documento a contenere linee guida giuridicamente vincolanti con il
preciso scopo di creare “un quadro giuridico e un approccio globale per combattere
la violenza contro le donne” incentrato sulla prevenzione della violenza domestica,
sulla protezione delle vittime e sul perseguimento dei colpevoli. Essa afferma inoltre
che la “violenza contro le donne è una violazione dei diritti umani e una forma di
discriminazione”.
Nella Convenzione viene, infatti, stabilita per la prima volta la definizione di “violenza
nei confronti delle donne”; definizione che verrà poi utilizzata da tutti i successivi atti
e documenti a livello nazionale e comunitario.
Con l’espressione “violenza nei confronti delle donne” si intende designare una
violazione dei diritti umani e una forma di discriminazione contro le donne,
comprendente tutti gli atti di violenza fondati sul genere che provocano o sono
suscettibili di provocare danni o sofferenze di natura fisica, sessuale, psicologica o
economica, comprese le minacce di compiere tali atti, la coercizione o la privazione
arbitraria della libertà, sia nella vita pubblica, che nella vita privata” (Art. 3
Convenzione di Istanbul).
In particolare, nella Convenzione:
la violenza contro le donne viene riconosciuta quale violazione dei diritti
umani e come forma di discriminazione;
atti quali la mutilazione genitale femminile, il matrimonio forzato, lo stalking,
l’aborto forzato e la sterilizzazione forzata vengono configurati come reato
perseguibile penalmente;
Favorire l’inclusione occupazionale per contrastare la violenza sulle donne
Le parti si impegnano a:
adottare misure legislative per la predisposizione di servizi di supporto
immediato, nel breve e lungo periodo, per tutte le vittime di violenza;
garantire la creazione di case rifugio adeguate e facilmente accessibili e
l’attivazione di linee telefoniche di sostegno a livello nazionale operanti tutti i
giorni 24 ore su 24;
garantire un supporto sostanziale alle vittime di violenza sessuale con la
creazione di centri di prima assistenza facilmente accessibili in cui vengano
assicurate visite mediche specialistiche e una consulenza medico-legale. In
questi centri saranno presi debitamente in considerazione i diritti e i bisogni
dei bambini testimoni di ogni forma di violenza;
creare un Osservatorio Statistico europeo permanente che abbia accesso ai
dati relativi alle denunce e alle conseguenti misure adottate dai singoli Stati;
rafforzare la formazione di figure professionali che si occupino delle vittime e
degli autori degli atti di violenza.
Nel 2011, i firmatari originali del trattato erano Austria, Finlandia, Francia, Germania,
Grecia, Islanda, Lussemburgo, Montenegro, Portogallo, Slovacchia, Svezia e Turchia.
L’accordo è poi stato firmato da 45 paesi, ma ratificato (e dunque realmente entrato
in vigore) solo da 20 di questi, tra cui l’Italia nel 2013. Il trattato inoltre è aperto alla
ratifica anche dell’Unione europea e di Paesi che non fanno parte del Consiglio
d’Europa, ma che a vario titolo hanno partecipato alla stesura del testo, come Stati
Uniti, Canada, Kazakistan, Giappone, Messico e Santa Sede.
Ad oggi, oltre all’adesione formale alla Convenzione di Istanbul, non esiste alcun atto
legislativo specifico dell’Unione Europea che si occupi di violenza contro le donne e
di violenza domestica.
Ma, vista l’importanza dell’argomento e i crescenti numeri delle denunce in molti Stati
membri, l’8 marzo 2022 la Commissione Europea ha proposto una nuova Direttiva
sulla lotta alla violenza contro le donne e alla violenza domestica, che mira a garantire
a livello comunitario un livello di protezione minimo da tale violenza, in pieno rispetto
degli obiettivi previsti dalla Convenzione di Istanbul.
La Proposta di Direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio sulla lotta alla violenza
affronterà specificamente questo argomento, con lo scopo di stabilire norme minime
che consentano agli Stati membri di introdurre norme di livello più elevato.
Favorire l’inclusione occupazionale per contrastare la violenza sulle donne
In particolare, la Proposta di Direttiva propone di attuare misure per far configurare
come reato alcune forme di violenza (ad esempio il reato di stupro con assenza di
consenso, le mutilazioni genitali femminili, la violenza on-line) che non sono
sufficientemente contrastate dalle legislazioni nazionali dei Paesi membri.
Ha, inoltre, tra gli obiettivi quello di potenziare l’accesso delle vittime alla giustizia e
adeguati diritti a una protezione specifica, come, ad esempio, l’emanazione più veloce
di provvedimenti di allontanamento degli autori delle violenze o misure che
garantiscano alle vittime la possibilità di far richiesta di risarcimento a carico
dell’autore del reato.
Gli Stati dovranno mettere in atto tutte le misure di garanzia per la rimozione da
internet dei contenuti connessi a reati di violenza on-line.
Con la Direttiva gli Stati si dovranno impegnare a prestare alle vittime di violenza di
genere e di violenza domestica l’adeguata assistenza con piani di sostegno specifici
alla tipologia di reato subito, l’accesso a linee di assistenza telefonica nazionali, un più
facile accesso alle case rifugio e un sostegno giuridico e psicologico alle vittime di
violenza sui luoghi di lavoro.
Infine, per creare una nuova cultura europea per contrastare il fenomeno, gli Stati
dovranno garantire piani di prevenzione attraverso azioni di sensibilizzazione nelle
scuole e attraverso i mass-media e la formazione di professionisti o gruppi
multidisciplinari di loro che possano assistere a 360° le vittime ed entrare in contatto
con gli autori dei reati con appositi programmi di recupero.
5.2. L’evoluzione della normativa in Italia
L’evoluzione della normativa italiana in materia di violenza sulle donne prende le mosse
dalla ratifica della Convenzione di Istanbul sulla prevenzione e sulla lotta contro la violenza
nei confronti delle donne e la violenza domestica (legge n. 77 del 2013); a seguito della
ratifica, l’Italia ha compiuto una serie di interventi volti a istituire una strategia integrata per
combattere la violenza nel solco tracciato dalla Convenzione.
Il primo intervento in tal senso è stato operato dal Decreto-Legge n. 93 del 2013, adottato
a pochi mesi di distanza dalla ratifica della Convenzione, che ha apportato rilevanti
Favorire l’inclusione occupazionale per contrastare la violenza sulle donne
modifiche in ambito penale e processuale ed ha previsto l’adozione periodica di Piani
d’azione contro la violenza di genere.
Nella XVIII legislatura il Parlamento ha proseguito nell’adozione di misure volte a
contrastare la violenza contro le donne, perseguendo in via principale gli obiettivi di
prevenzione dei reati e di protezione delle vittime e prevedendo parallelamente un
inasprimento delle pene per la commissione dei c.d. reati di genere.
Il provvedimento che più ha inciso nel contrasto alla violenza di genere è la Legge n. 69 del
2019 (c.d. codice rosso), che ha rafforzato le tutele processuali delle vittime di reati violenti,
con particolare riferimento ai reati di violenza sessuale e domestica, ha introdotto alcuni
nuovi reati nel codice penale (tra cui il delitto di deformazione dell’aspetto della persona
mediante lesioni permanenti al viso, quello di diffusione illecita di immagini o video
sessualmente espliciti e quello di costrizione o induzione al matrimonio) ed aumentato le
pene previste per i reati che più frequentemente sono commessi contro vittime di genere
femminile (maltrattamenti, atti persecutori, violenza sessuale).
Anche la legge di riforma del processo penale (legge n. 134 del 2021) ha previsto
un’estensione delle tutele per le vittime di violenza domestica e di genere, mentre la Legge
n. 53 del 2022 ha potenziato la raccolta di dati statistici sulla violenza di genere attraverso
un maggiore coordinamento di tutti i soggetti coinvolti.
Nella legislatura corrente sono state approvate la legge n. 12 del 2023, che prevede
l’istituzione di una Commissione bicamerale d’inchiesta sul femminicidio, nonché su ogni
forma di violenza di genere (la Commissione si è costituita nella seduta del 26 luglio 2023)
e la legge n. 122 del 2023, che interviene su uno degli aspetti caratterizzanti la procedura
da seguire nei procedimenti per delitti di violenza domestica e di genere, ovvero l’obbligo
per il pubblico ministero di assumere informazioni dalla persona offesa o da chi ha
denunciato i fatti di reato entro tre giorni dall’iscrizione della notizia di reato; la citata legge
n. 122 prevede che, qualora il p.m. non abbia rispettato il suddetto termine, il procuratore
della Repubblica possa revocare l’assegnazione del procedimento al magistrato designato
ed assumere senza ritardo le informazioni dalla persona offesa o da chi ha presentato
denuncia direttamente o mediante assegnazione a un altro magistrato dell’ufficio.
Attualmente è in corso di esame alla Camera un disegno di legge governativo (A.C. 1294)
volto ad introdurre ulteriori disposizioni per contrastare la violenza sulle donne e la
violenza domestica, attraverso norme che incidono sia sul rafforzamento della tutela delle
vittime, sia sulla prevenzione del fenomeno.