
(AGENPARL) – mar 14 novembre 2023 CeCAP Centro di ricerca
Amministrazioni Pubbliche
Cambiamento
delle
EXECUTIVE SUMMARY
“UNIONE EUROPEA E STATI NAZIONALI (Francia, Germania, Spagna e
Italia) NEL CONTRASTO AI RISCHI DI DISOCCUPAZIONE DERIVANTI DALLE
EMERGENZE”
Indice
1. La ricerca: obiettivi, metodologia, team di ricercatori. ………………………………….. 3
2. I sistemi di sistemi di contrasto alla disoccupazione e di tutela del reddito
mediante la riduzione dell’orario di lavoro prima della pandemia. ………………………. 4
3. Il punto di avvio della ricerca: l’azione dell’Unione europea e -l’istituzione del
Fondo SURE. ………………………………………………………………………………………………… 5
4. La pandemia COVID 19 e l’’adattamento dei precedenti sistemi di contrasto alla
disoccupazione e di tutela del reddito……………………………………………………………… 7
5. Dall’emergenza COVID alle “emergenze -ricorrenti”. ………………………………….. 12
6. La seconda fase: le misure adottate dagli Stati membri per fare fronte alla crisi
bellica, energetica e climatica e contrastarne gli effetti sull’occupazione. …………… 14
Gli insegnamenti acquisiti …………………………………………………………………. 18
I nodi da sciogliere. ………………………………………………………………………….. 19
8. Spunti per ulteriori approfondimenti ……………………………………………………….. 21
1. La ricerca: obiettivi, metodologia, team di ricercatori.
Il percorso svolto dal gruppo di ricerca si è sviluppato nel tentativo di dare continuità
al dialogo avviato nel novembre del 2020 quando, nel pieno della pandemia ed agli
inizi della operatività di SURE, abbiamo presentato, proprio in un Convegno
dell’INAPP, il progetto volto a monitorare la legislazione di contrasto delle crisi
occupazionali causate dal COVID 19 in quattro dei principali Paesi dell’Unione
(Francia, Germania, Spagna ed Italia). Da questo convegno ha poi preso le mosse il
cammino di studio e ricerca, promosso dall’INAPP e realizzato dal CECAP (Centro per
il Cambiamento delle Amministrazioni Pubbliche dell’Università Cattolica del Sacro
Cuore) e qui sintetizzato. La ricerca è stata svolta da un gruppo di studiosi e ricercatori
appartenenti a Università ed Istituzioni di ricerca di quattro Paesi europei (Francia,
Germania e Spagna ed Italia,). Più precisamente si tratta di: – Silvaine LAULOM –
Université Lunière LYON 2, Insitut d’études du travail de Lyon – Judith BROCKMANN –
Università di Kassel – Sonia FERNANDEZ SANCHEZ – Università degli Studi di Cagliari Piera LOI – Università degli Studi di Cagliari – Angelo PANDOLFO – Università degli
Studi di Roma “La Sapienza” – Francesca DE MICHIEL – Università degli Studi di Pavia
– Pier Antonio VARESI – Università Cattolica del Sacro Cuore, Massimo DE MINICIS –
INAPP e Manuel MAROCCO – INAPP. Il coordinamento generale dell’attività di ricerca
è stato svolto dal Prof. Pier Antonio Varesi. Il coordinamento della parte di diritto
comparato dell’attività di ricerca è stato svolto dalla Prof.ssa Piera Loi.
Lo studio ha preso in esame il periodo 2020 – primo semestre 2023 ed ha portato
all’elaborazione di due rapporti intermedi (luglio 2022 e dicembre 2022) e ad un
primo seminario, aperto al mondo accademico ed a rappresentanti di istituzioni
pubbliche, svoltosi nell’aprile del 2023. La sintesi finale sacrifica necessariamente
alcuni elementi dell’elaborazione svolta e costringe a rinviare il lettore interessato ad
un’analisi più articolata ai due Rapporti intermedi ed al Rapporto finale.
2. I sistemi di sistemi di contrasto alla disoccupazione e di tutela del reddito mediante
la riduzione dell’orario di lavoro prima della pandemia.
Prima della pandemia molti Stati membri dell’UE avevano già istituito forme di
politiche passive finalizzate a ridurre i rischi della disoccupazione, consistenti nella
creazione o nell’ estensione di regimi di riduzione dell’orario di lavoro, con il
contemporaneo intervento di sussidi pubblici a tutela del reddito.
Queste forme specifiche di politiche passive denominate Short Time Work
Arrangement (STWA), comportano l’erogazione di sussidi pubblici associati alla
riduzione dell’orario di lavoro per tutti i lavoratori o solo per quelli di specifiche unità
produttive. Si tratta di politiche passive in alternativa al licenziamento collettivo con
una riduzione dell’orario accompagnata da una corrispondente (pro-rata) riduzione
della retribuzione, cosicché i sussidi pubblici compensano la riduzione della
retribuzione dei lavoratori. Tali misure hanno una durata temporanea e possono
prevedere l’accompagnamento di misure di formazione (politiche attive). Quanto al
finanziamento di tali strumenti, in alcuni Stati membri essi sono finanziati sia
attraverso contributi ordinari dei datori di lavoro, sia attraverso interventi del sistema
previdenziale e assistenziale, con un conseguente aumento della spesa pubblica.
Quest’ultimo aspetto, ovvero il notevole aumento della spesa pubblica negli Stati
Membri dovuto alle politiche passive dell’occupazione, è una delle ragioni più
importanti del tradizionale ridotto intervento di coordinamento delle politiche
passive, da parte dell’Unione Europea, nell’ambito della Strategia Europea per
l’occupazione.
In tutti gli Stati membri esaminati il ricorso a sistemi di riduzione dell’orario di lavoro
con interventi di sostegno al reddito era già presente anche prima della pandemia: si
pensi al chômage partiel in Francia (istituito nel 1919 e che dal 2013 ha cambiato
denominazione in activité partielle), al Kurzarbeit in Germania (istituito fin dal 1910)
o alla lunga tradizione della cassa integrazione guadagni in Italia o, ancora, al sistema
degli ERTE (istituito in Spagna nel 1980 sebbene in una forma diversa).
La pandemia da COVID19 e gli altri rischi globali, come il rischio climatico e bellico,
tuttavia, hanno posto l’Unione Europea di fronte all’urgenza di definire con maggior
chiarezza un ruolo di coordinamento e di supporto alle politiche passive degli Stati
membri, anche dal punto di vista economico. A questo fine l’Unione ha promosso
uno specifico strumento denominato “SURE” (acronimo di Support to mitigate
Unemployment Risks in an Emergency) finalizzato al “sostegno temporaneo per
attenuare i rischi di disoccupazione derivanti dall’emergenza provocata dalla
pandemia di coronavirus”.
3. Il punto di avvio della ricerca: l’azione dell’Unione europea e -l’istituzione del Fondo
SURE.
L’intuizione iniziale di accendere i riflettori su SURE e di monitorarne l’attuazione,
avendone colto immediatamente il suo potenziale rilievo sul piano istituzionale,
economico e sociale, è stata indubbiamente felice. La portata innovativa di questo
nuovo strumento dell’Unione è progressivamente emersa con evidenza sotto più
profili, a partire dall’efficacia della promozione di schemi di orario di lavoro ridotto
al fine di evitare licenziamenti (c.d. short-time work schemes). SURE ha infatti
indotto molti Paesi a rafforzare gli schemi ad orario ridotto già presenti nella
legislazione nazionale ed ha indotto altri Paesi (che invece ne erano privi) a legiferare
in tale direzione, contribuendo ad attutire in misura significativa gli effetti negativi
della crisi pandemica sul mercato del lavoro (le stime della Commissione affermano
che le misure adottate, tra cui hanno assunto un particolare rilievo gli interventi
sostenuti da SURE, solo nel 2020 avrebbero evitato la disoccupazione ad un milione
e mezzo di persone). I quattro Paesi oggetto della ricerca si sono mossi in modo
uniforme nel solco di questa strategia, pur con le peculiarità derivanti dalle diverse
tradizioni ed in alcuni casi anche con misure straordinarie (v. ad esempio, per l’Italia,
il blocco temporaneo dei licenziamenti).
Non può, inoltre, non essere richiamata l’attenzione sulla “efficienza” di SURE sotto il
profilo della riduzione del costo per il reperimento sui mercati finanziari delle risorse
necessarie a sostenere questi interventi: la Commissione calcola in circa 8,2 miliardi
di Euro il risparmio degli Stati beneficiari di cui 3,7 miliardi di Euro sarebbero i
risparmi di cui ha beneficiato l’Italia).
E’ da sottolineare il valore sul piano politico-sociale del programma SURE. Una parte
della dottrina ha infatti rimarcato che dietro SURE, in primo luogo, vi è la scelta di
emettere sui mercati finanziari titoli di debito comune e, inoltre, questa scelta è
messa in atto per obiettivi di carattere sociale (siamo in presenza di una forma di
social-bonds). Infine, va sottolineato che è stato anche un importante esempio di
politica solidale all’interno della Comunità. In proposito merita segnalazione il fatto
che alcuni Paesi hanno contribuito al finanziamento di Sure senza accederne ai
benefici (v. Francia e Germania).
È dunque un giudizio positivo quello che riteniamo di esprimere sull’esperienza di
SURE nell’azione di contrasto alle crisi occupazionali durante la pandemia, in sintonia
peraltro con quanto affermato da autorevoli centri di ricerca internazionali, da
osservatori istituzionali (v. le analisi del MEF) e dai periodici Rapporti della stessa
Commissione europea.
SURE, sebbene sia giunta al termine, ha segnato un percorso da non abbandonare:
non solo in quanto ha rafforzato la solidarietà tra Stati ma in quanto ha garantito la
continuità dell’attività delle imprese e dell’occupazione a fronte di un rischio, come la
pandemia, che difficilmente gli Stati avrebbero potuto affrontare da soli, senza
produrre spill over effects anche sugli Stati meno colpiti.
4. La pandemia COVID 19 e l’’adattamento dei precedenti sistemi di contrasto alla
disoccupazione e di tutela del reddito.
Nella maggior parte dei casi i sistemi di contrasto alla disoccupazione e tutela del
reddito, tradizionalmente, facevano fronte a crisi temporanee di mercato o a
ristrutturazioni e riconversioni generate da rischi del mercato. A partire dalla crisi
finanziaria del 2008 gli Stati Europei si sono confrontati con un diverso tipo di crisi (e
quindi di rischio) di dimensione globale, cioè non collegata a specifici territori, specifici
settori o specifiche attività produttive. La crisi finanziaria è stata una crisi globale che
ha prodotto i suoi effetti prima sui mercati finanziari e poi sui mercati del lavoro
nazionali, ed è stata causa di altri rischi come il rischio di disoccupazione. Già in
quell’occasione i c.d. STWA hanno svolto la loro funzione di ammortizzazione sociale,
a fronte di un rischio globale, evitando in molti casi licenziamenti di massa. La
pandemia COVID ha mostrato, con maggiore gravità, l’impatto dei rischi globali sui
sistemi nazionali di tutela dell’occupazione: l’Unione Europea, mediante SURE, è
riuscita tuttavia a mobilitare l’uso di risorse utili agli Stati per apprestare, e in molti
casi rafforzare, le misure di contrasto alla disoccupazione generata dal rischio
pandemico. Innanzitutto, sembra importante sottolineare il fatto che l’UE e gli Stati
membri, sia quelli che hanno avuto accesso ai fondi SURE, sia quelli che, come Francia
e Germania, non hanno ritenuto necessario accedere a tali fondi, hanno comunque
utilizzato gli strumenti di STWA per fare fronte a rischi imprevisti e di dimensione
globale. In tutti i casi gli Stati che avevano già istituito sistemi di STWA, hanno reagito
rapidamente attraverso interventi legislativi e/o regolamentari che hanno consentito
un adeguamento molto rapido degli strumenti esistenti alle necessità imposte dalla
pandemia. Sembra interessante notare che negli ordinamenti considerati si fa
riferimento alle nuove tipologie di rischi che gli originari strumenti devono affrontare
nei tempi più recenti e che, in qualche modo, impongono un cambiamento o un
adattamento degli stessi. In Francia, ad esempio, negli interventi legislativi e
regolamentari del 2020 sull’Activité partielle, si fa riferimento alle imprese “che
affrontano crisi di una certa durata, non insormontabili, ma che non siano
semplicemente congiunturali”; anche in Spagna sono state introdotte specifiche
misure orientate alla difesa dei livelli di occupazione in presenza di qualunque
situazione che provochi una emergenza occupazionale.
Un altro aspetto di grande rilievo è che, nelle modifiche che sono state apprestate dai
legislatori agli strumenti di sostegno al reddito e all’occupazione mediante la
riduzione dell’orario di lavoro, non solo si riconosce un carattere permanente e non
temporaneo a tali strumenti, ma si riconosce altresì una funzione di stabilizzazione e
di risposta agli shock del mercato, in una parola si assegna a tali strumenti una
funzione di gestione dei rischi. Per chiarire meglio questi concetti è significativo il fatto
che in Spagna nel punto 23 del PNRR approvato a luglio del 2021 si fa riferimento a
“un sistema di stabilizzazione economica che garantisca alle imprese una flessibilità
interna e stabilità nell’impiego in caso di riduzioni, transitorie o cicliche, dell’attività
[…] consistente nella riduzione della giornata lavorativa o nella sospensione del
contratto in caso di crisi, (che) dovrebbe consentire […] di minimizzare il ricorso al
licenziamento, salvaguardando la conservazione del vincolo contrattuale e facilitando
la sua riattivazione al termine dello shock”.
È interessante notare che, in linea generale, in tutti gli ordinamenti esaminati,
l’adattamento degli strumenti esistenti alle urgenze determinate dalla pandemia o
dalle successive crisi climatiche e belliche, è stato giustificato esplicitamente negli
interventi regolativi, dalle crisi: dapprima quella pandemica e, più di recente, da
quella climatica e bellica. Inoltre, gli adattamenti sono consistiti, in primo luogo,
nell’estensione del campo di applicazione degli STWA a lavoratori o imprese
inizialmente non compresi. In tutti gli ordinamenti giuridici considerati gli interventi
di estensione del campo di applicazione dal punto di vista dei soggetti destinatari,
hanno riguardato i lavoratori subordinati, sia in Francia, in Italia, in Spagna e in
Germania: in quest’ultima anche un’impresa con almeno un dipendente può avere
accesso al regime di Kurzarbeit.
Inoltre, in molti casi si è intervenuti aumentando la durata degli strumenti di
sostegno al reddito preesistenti: in Germania, ad esempio, prima della pandemia la
durata massima del Kurzarbeit era di 12 mesi ed è stata portata fino a 24 mesi. Al
contempo, sempre in Germania, vi è stato un aumento della percentuale
dell’ammontare del sussidio rispetto alla retribuzione: si è passati da una iniziale
copertura pari al 60% della retribuzione perduta a causa della riduzione dell’orario
fino all’80%, con l’obbligo per il datore di lavoro di coprire la restante parte della
retribuzione mancante, in caso di firma di un accordo collettivo. In altri Paesi, come
l’Italia e la Francia, la percentuale di copertura della retribuzione perduta da parte dei
lavoratori non è stata, al contrario, modificata nella sostanza (70% in Francia, 80% in
Italia) Questo porta a mettere in evidenza la doppia natura dei sistemi di contrasto
alla disoccupazione e tutela del reddito attraverso la riduzione dell’orario di lavoro,
specialmente quando si tratta di affrontare rischi globali come la pandemia, in quanto
rischi che possono colpire sia i lavoratori che le imprese. A fronte di questa doppia
natura, alcuni Stati hanno dimostrato di avere una particolare attenzione nei
confronti delle imprese: in Francia l’introduzione di uno strumento come l’Activité
partielle de longue durée (in sigla APLD), nuovo nel nome ma non nel contenuto
rispetto al precedente Chômage partiel, ha comportato una riduzione dei costi
contributivi sostenuti dalle imprese per l’Activité partielle, costi che sono stati in gran
parte sostenuti dallo Stato. Lo stesso tipo di attenzione nei confronti delle imprese è
reso evidente da quegli interventi che incidono sulla distribuzione dei costi di
copertura del rischio di disoccupazione, come la riduzione dei contributi per il
Kurzarbeit da parte delle imprese in Germania, compensato, tuttavia, da un
corrispondente aumento nella durata e nella misura dei sussidi per i lavoratori. Anche
in Italia l’accesso alla Cassa integrazione “in deroga” è stato “agevolato”, esonerando
le imprese dal contributo addizionale e “neutralizzando” i periodi di utilizzo della
disciplina speciale rispetto ai limiti massimi di durata generalmente applicati.
La pandemia ha imposto agli Stati la necessità di reagire in modo tempestivo;
pertanto, in tutti gli ordinamenti giuridici si è proceduto alla semplificazione e
accelerazione delle procedure per l’accesso ai STWA, in molti casi facendo a meno di
procedure di contrattazione collettiva, precedentemente ritenute come condizioni di
accesso alle misure in questione. Il ruolo dei sindacati, tuttavia, si è solo
apparentemente ridotto a causa dell’accelerazione delle procedure. In Germania,
infatti, nonostante la firma di un accordo collettivo non sia una condizione per
l’accesso al Kurzarbeit, l’esistenza di un accordo collettivo può facilitare l’attivazione
del beneficio e, soprattutto, può comportare l’obbligazione del datore di lavoro di
corrispondere ai lavoratori la parte restante della retribuzione non coperta dal
sussidio pubblico. In ogni caso, anche in mancanza di un accordo collettivo resta
rilevante il ruolo dei rappresentanti dei lavoratori in seno al Betriebsrat, organo in cui
i rappresentanti dei lavoratori esercitano i loro diritti alla consultazione, cogestione e
codeterminazione. Altrettanto determinante è stato il ruolo dei sindacati in Spagna:
con il I° e II° Accordo di Defensa del Empleo (ASDE) le parti sociali hanno trasformato
l’ERTE, facendone uno strumento di ammortizzazione sociale in presenza di crisi non
solo contingenti per le imprese. In Francia, invece, la sottoscrizione di un contratto
collettivo continua ad essere la condizione per attivare l’Activité partielle de longue
durée. Anche in Italia l’accesso alla cassa integrazione in deroga per fronteggiare la
crisi del 2008-2009 è stata subordinata alla sottoscrizione di un accordo sindacale.
Nella fase di contrasto alle emergenze più recenti (Covid-19, crisi energetica, crisi
climatica) vi sono state semplificazioni procedurali: in alcuni casi è stata consentita
un’informativa successiva alle OO.SS. (e non preventiva); in altri casi (v. l’alluvione in
Emilia-Romagna) è stata omessa la fase di informazione/consultazione sindacale.
Un ultimo aspetto su cui intendiamo richiamare l’attenzione è la previsione (o
meno) di norme che hanno imposto l’intreccio tra gli strumenti di contrasto alla
disoccupazione e di tutela del reddito con politiche attive del lavoro e/o con attività
di formazione professionale. Ci si chiede se, in questo caso, il problematico rapporto
tra politiche passive e politiche attive, possa trovare una conciliazione nell’ottica del
rischio. La formazione professionale, infatti, è da considerarsi come uno dei principali
strumenti per affrontare i rischi della disoccupazione prodotti del mercato.
In alcuni ordinamenti come la Germania la pandemia è stata l’occasione per
introdurre l’obbligo di formazione continua in capo ai lavoratori aventi accesso al
Kurzarbeit, nella convinzione che essa sia uno strumento utile ad affrontare le crisi: le
misure in favore della formazione consistono in incentivi per i datori di lavoro, come
il rimborso del 50% contributi previdenziali e il rimborso dal 15% fino al 100% dei costi
sostenuti dal datore di lavoro per la formazione, in relazione al numero dei
dipendenti. In ogni caso la formazione continua nell’ambito della recente riforma del
2023 (Weiterbildungsgesetz) assume in Germania un ruolo chiave nella tutela
dell’occupazione, in caso di crisi strutturali o di professionalità maggiormente a rischio
a causa dell’impatto delle tecnologie digitali. Anche in Spagna si sottolinea l’esigenza
di coniugare gli ERTE con politiche di formazione innovatrici a favore degli interessati,
e nella legislazione del 2022 relativa alla disciplina del RED si introduce un
meccanismo incentivante in virtù del quale le aziende che realizzino azioni di
formazione dirette a migliorare le competenze professionali dei propri dipendenti,
specialmente quelle digitali, riceveranno contributi, commisurati alla dimensione
dell’impresa. In questo senso la formazione in Spagna diventa elemento centrale del
sistema degli ERTE come strumento per affrontare le crisi globali. In Francia gli ultimi
interventi del legislatore sono diretti a rafforzare la formazione per i destinatari
dell’Activité partielle de longue durée, anche se l’intreccio non è obbligatorio: il tema
deve essere incluso negli accordi collettivi che accompagnano la richiesta di
attivazione di questo istituto.
Nel periodo considerato, anche il legislatore italiano ha manifestato grande
attenzione per l’aggancio di alcune forme di sostegno al reddito con politiche attive
del lavoro – ed in specie con attività di formazione professionale continua dei
lavoratori. Basti pensare alla promozione dei Fondi paritetici nazionali
interprofessionali per la formazione continua ed alla istituzione del Fondo Nuove
Competenze. A questo si aggiunga, inoltre, la previsione di obblighi di formazione per
i percettori della Cassa integrazione straordinaria (CIGS). Ciò ha comportato anche
rilevanti impegni finanziari della Pubblica Amministrazione. Queste attività formative
sono state però indirizzate in larga parte all’aggiornamento o alla riqualificazione di
dipendenti in attività o sospesi dal lavoro in quanto dipendenti da aziende in crisi od
in ristrutturazione e, più recentemente, estese ai lavoratori beneficiari di proroghe
della CIGS oltre i termini massimi di durata previsti o nel caso di CIGS per cessazione
di attività.
La normativa sulla Cassa integrazione in deroga concessa per cause di emergenza non
ha previsto, invece, il collegamento con attività formative.
5. Dall’emergenza COVID alle “emergenze -ricorrenti”.
Già nel secondo Rapporto di ricerca (2022) il team di ricercatori ha però dovuto
prendere atto di rilevanti novità. Sono emerse nel corso del 2022 nuove emergenze
che si sono aggiunte al COVID 19:
– l’emergenza climatica;
l’emergenza derivante dall’innalzamento del costo del gas e dell’elettricità (c.d. crisi
energetica) conseguente alle vicende belliche in Ucraina;
– la carenza di componenti essenziali per la produzione di alcuni beni (si pensi alle
difficoltà vissute dal settore automotive).
Anche a seguito di questi fenomeni (che sono andati quindi ad aggiungersi al
COVID19, senza che la pandemia fosse definitivamente debellata), i sistemi produttivi
dei Paesi europei hanno accusato gravi difficoltà con il rischio di nuove ricadute