
(AGENPARL) – Roma, 03 maggio 2022 – Gli Usa rimangono una superpotenza ed un punto di riferimento per l’Occidente, anche se la realtà mondiale sta cambiando e gli Stati Uniti d’America devono rivedere alcune strategie, in primis il loro appeal per continuare ad attrarre ‘cuore e menti’ per quel grande sogno che è sempre stata l’America.
Oggi con la guerra in Ucraina e la sfida con la Cina, la realtà è che al mondo ci sono delle medie potenze che hanno interessi indipendenti in materia di sicurezza, in materia economica e regionale e che contrastano con la visione del mondo e gli obiettivi degli Usa.
Mentre la guerra russo-ucraina continua, Washington ha chiesto al mondo di schierarsi nella disputa, come se fosse una partita di calcio, meglio un derby Lazio-Roma.
E chi meglio degli italiani può capire cosa significa essere tifosi. Le parole di sir Winston Churchill suonano familiari: «Gli italiani perdono le partite di calcio come se fossero guerre e perdono le guerre come se fossero partite di calcio».
Torniamo agli Usa.
Il presidente degli Usa, Joe Biden, a seguito dei dettagli emersi da Bucha, in Ucraina, ha ribadito la sua convinzione che Putin sia un criminale di guerra e chiede un vero processo per crimini di guerra.
Biden utilizza un attacco verbale molto aggressivo per giustificare la posizione statunitense alla crisi Ucraina, alla Russia e a Vladimir Putin. Toni che vanno oltre il solito livello di discussione della politica ufficiale degli Stati Uniti.
Biden ha spinto la sua retorica verso una nuova Guerra Fredda , chiedendo addirittura un cambio di regime arrivando anche al punto di dichiarare che le azioni russe costituiscono “genocidio”.
Una retorica che ricorda per certi aspetti, quella moralistica del presidente George W. Bush dopo gli attacchi terroristici dell’11 settembre 2001.
Quando Bush ha annunciato una «guerra globale al terrore» e ha giurato vendetta contro gli autori degli attacchi terroristici dell’11 settembre, ha anche dato al mondo un ultimatum: «o sei con noi, o sei con i terroristi».
Ed è proprio quel 20 settembre 2001 che segna l’inizio di quella che si è rivelata essere una campagna di guerra senza confini per Washington.
A quell’epoca gli Stati Uniti avevano gli auspici del mondo per questa nuova battaglia di giustizia.
Erano stati uccidi dei civili inermi e l’America ‘aveva ragione’.
Tuttavia, anche gli Stati storicamente alleati con gli Stati Uniti, ad esempio Francia e Germania, sono stati presi alla sprovvista dallo smisurato militarismo di Washington.
Il manicheismo dell’amministrazione Bush e il comportamento da falco, anche se utopico, in Medio Oriente e altrove ha ridotto però la posizione e la sicurezza americana, ha rafforzato i rivali regionali come l’Iran e ha creato nuove sfide.
Questo è stato un momento critico, sia perché il presidente ha garantito che l’America si sarebbe impegnata nel cambio di regime, nella costruzione della nazione e in guerre impossibili da vincere in Medio Oriente, sia perché ha chiarito agli Stati di tutto il mondo che la cooperazione con gli Stati Uniti potrebbe non essere desiderabile o addirittura possibile su determinate questioni.
Decenni dopo, sulla scia dell’atroce guerra di Mosca contro l’Ucraina, l’atteggiamento retorico in gran parte vacuo di Washington sulla crisi (guidato da molti degli stessi artefici della guerra in Iraq del 2003) sembra stranamente familiare.
Questa volta, tuttavia, vincere la guerra dell'”oltraggio morale” avrà scarso significato pratico e strategico.
L’America è cambiata.
Gli Stati Uniti non hanno l’interesse e la volontà per schierare la potenza militare americana in Ucraina, anche se alcuni nell’establishment americano potrebbero benissimo desiderare un tale intervento. Ma il mondo è cambiato.
La Pax Americana è alla fine e il sistema internazionale è più multipolare di prima.
Inoltre, le sfide che un approccio idealistico alla geopolitica creerebbe per Washington sembrano essere molto più sostanziali, data l’ascesa delle medie potenze nel corso degli anni.
Osservando le varie regioni del mondo, questi Stati sono rimasti molto meno potenti all’apice del primato globale americano nel 2001.
Un recente rapporto dell’Institute for Peace & Diplomacy offre un quadro importante per valutare questo problema, intitolato «Le potenze medie nel mondo multipolare».
Il rapporto sostiene «dato il declino dell’unipolarità, le crescenti interruzioni e i contraccolpi alla globalizzazione, e la frattura e il riallineamento del sistema finanziario e politico-economico globale, è probabile che le dinamiche economiche e politiche regionali diventino sempre più centrali per la politica internazionale».
Quindi, la centralità delle potenze medie, «occupano una posizione intrinsecamente dinamica nel mandala geopolitico emergente». Sebbene siano confinati a regioni particolari dal loro “radicamento geografico” e da altre ragioni storiche e culturali, che informano e limitano anche i loro obiettivi strategici, sono particolarmente influenti nei rispettivi complessi di sicurezza regionale (RSC) a causa del loro potere comparativo nei confronti dei loro vicini che sfruttano per raggiungere i loro obiettivi.
Il risultato è che le potenze medie all’interno degli RSC sono difficili da obbligare e sottomettere, poiché perseguono tenacemente i loro interessi concreti all’interno delle loro sfere d’influenza.
E hanno il potere di aiutare a sostenere l’ordine esistente (status quo) se lo trovano vantaggioso o di sfidarlo se non lo fanno (revisionisti).
La conclusione è che mentre le medie potenze devono essere tenute in considerazione dai loro pari vicini, le grandi potenze – più lontane- che cercano di invadere queste lontane RSC devono anche riconoscere l’autonomia strategica di questi Stati centrali.
In breve, le medie potenze richiedono attenzione e meritano una seria considerazione da parte dei politici statunitensi.
La guerra in Ucraina ha dissipato il mito della Russia come una grande potenza, un pregiudizio importante rimasto dall’era della Guerra Fredda.
In realtà, Mosca è una chiara potenza media – forse la più potente potenza media – con immense risorse, un considerevole arsenale militare e la capacità di rafforsarsi nella sua sfera d’influenza , ma con evidenti limiti e l’incapacità di proiettare il potere a livello globale come ai tempi dell’URSS.
Eppure, nonostante il suo status all’interno del suo RSC, Washington imprudentemente non ha riconosciuto quella realtà.
Di conseguenza, ha rifiutato di concedere a Mosca qualsiasi tipo di deferenza durante tutti questi decenni.
La Russia è una potenza regionale di lunga data, con profondi legami culturali con i suoi Stati vicini, molti dei quali ortodossi e slavi. Quando Mosca ha articolato le sue chiare linee rosse, Washington avrebbe dovuto ascoltare con attenzione.
Nel non riconoscere o affrontare i problemi di sicurezza della Russia (ad esempio l’espansione della NATO), gli Stati Uniti e i loro stretti alleati europei hanno commesso un grave errore – un grave errore di calcolo per il quale dei civili innocenti stanno ora pagando con la vita – quando Putin ha abbandonato la via diplomatica ed ha iniziato a percorrere quella militare, invadendo l’Ucraina.
Gli Stati Uniti sono ancora scioccati dall’invasione della Russia e non sono disposti a riconoscere il motivo per cui lo hanno fatto, non ammettendo l’errore.
Detto questo, l’America avrebbe potuto perseguire più efficacemente il proprio interesse nazionale se fosse stata più consapevole delle dinamiche a cui la Russia risponde all’interno del rispettivo RSC. Inoltre, anche altre medie potenze stavano prestando molta attenzione alla gestione della crisi ucraina da parte degli Stati Uniti e all’ostinata insistenza dell’Occidente della porta aperta della NATO.
Dopo l’invasione, Washington ha espresso indignazione morale nei confronti di Putin e ha cercato di arruolare i suoi alleati per amplificare le sue proteste. Gli Stati Uniti sono rimasti sorpresi nell’apprendere che molti Paesi, inclusi i partner, hanno assunto una posizione più ambivalente piuttosto che schierarsi dalla parte di Washington. A un esame più attento, ciò che unisce molti di questi Stati non allineati – India, Brasile, ecc. – nel loro rifiuto di andare con Washington nel condannare l’aggressione russa o nell’unirsi alle sanzioni occidentali è la loro uguaglianza strutturale: sono tutte medie potenze.
La realtà è che le medie potenze hanno interessi indipendenti di sicurezza, economici e regionali che contrastano con la visione del mondo manichea e gli obiettivi astratti dell’America. Considerano con preoccupazione l’ingerenza delle Grandi Potenze nelle RSC distanti.
Dopotutto, questi Stati hanno senza dubbio notato come gli Stati Uniti abbiano ignorato le preoccupazioni per la sicurezza della Russia per decenni mentre spingono l’Ucraina, un presunto partner, in una situazione pericolosa e ad un escalation che ha portato a una guerra distruttiva dalla quale Kiev potrebbe non riprendersi mai.
Oggi è la Russia, domani potrebbero essere una di loro. Un simile precedente non è quello che desiderano incoraggiare.
Sia per le medie potenze alleate, in status quo (Brasile) che per quelle revisioniste (Turchia), così come per altre che stanno nel mezzo (India), le azioni di Washington nei confronti di Mosca e Kiev inviano segnali molto chiari.
A proposito della Russia, queste azioni mostrano che gli Stati Uniti non prenderanno sul serio gli interessi delle potenze medie nei loro RSC (a meno che non si sovrappongano con gli stessi di Washington).
Per quanto riguarda l’Ucraina, il comportamento dell’America: spingere uno Stato debole verso il disastro portare avanti i suoi obiettivi utopici e strategicamente dubbi è ugualmente istruttivo per le potenze minori come l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti che tradizionalmente agiscono come “bilanciatori regionali” contro le medie potenze vicine come Iran e Turchia.
Dall’invasione di febbraio, questi Stati hanno osservato come il sostegno donchisciottesco, anche se ben intenzionato, dell’Occidente all’Ucraina è stato l’effettivo prolungamento di una guerra che la parte appoggiata dagli Stati Uniti non può ragionevolmente vincere.
Nel loro insieme, le tattiche coercitive di Washington e la riluttanza di molte medie potenze a seguire l’esempio degli Stati Uniti suggeriscono un modello strategico generale per le medie potenze: il raggiungimento di obiettivi strategici essenziali nel proprio RSC è di gran lunga superiore al costo delle proprie relazioni con Washington.
Per quanto riguarda gli Stati periferici, il loro punto di partenza è che imparare a convivere e lavorare a fianco delle potenze regionali è preferibile piuttosto che seguire ciecamente la linea americana.
Per Washington, la lezione principale da apprendere è che la diplomazia dovrebbe essere la prima (e la sola strada) strategia operativa per lottare con le medie potenze nei loro RSC.
Altro aspetto da non sottovalutare è che nel 2022 come nel 2001, gli Stati Uniti, impegnati in una rumorosa crociata per la giustizia, hanno sacrificato l’interesse nazionale americano mentre univano le medie potenze in opposizione ai loro progetti internazionali liberali.
Washington ha contribuito alla crisi e poi ha aggravato i suoi errori una volta iniziata la guerra proponendo il conflitto in termini semplicistici tra bianco e nero, a cui altri Stati, tra cui le medie potenze, hanno finora risposto con realismo e sfumature, minando l’idealismo di Washington ed avendo un atteggiamento ‘binario’.
Ciò che rende la situazione attuale diversa e più rischiosa è che, a differenza del 2001, il sistema internazionale è ora multipolare, con la Cina che si sta affermando come una super potenza e uno Stato in grado di capitalizzare l’arroganza e l’eccedenza strategica dell’America.
Pechino sta già predisponendo un nuovo sistema finanziario parallelo che potrebbe avvantaggiare la Russia e minare il regime sanzionatorio guidato dagli Stati Uniti.
Questi sviluppi rafforzeranno l’economia e il peso globale della Cina; le medie potenze frustrate dagli Stati Uniti beneficerebbero anche di un perno finanziario verso Pechino e saranno più tentate di farlo più l’establishment di Washington insisterà nell’armare il dollaro, forse anche sacrificando lo status del dollaro come valuta di riserva mondiale a lungo termine—nel perseguimento delle sue delusioni liberali come è stato illustrato nel libro «La grande illusione: sogni liberali e realtà internazionali».
«Non tutto ciò che può essere contato conta e non tutto ciò che conta può essere contato» affermava Einstein.
Oggi l’ormai vecchio «Piano Marshall» è stato abilmente sostituito con un Piano ‘SUN TZU’ secondo il quale «Il meglio del meglio non è vincere cento battaglie su cento, bensì sottomettere il nemico senza combattere».
L’Europa ha bisogno di svegliarsi. È mezza addormentata.
E’ finita l’epoca dei sogni liberali globalisti, mentre c’è la realtà internazionale. È impensabile non riunire tutte le capitali degli antichi stati dell’Europa Centrale e Orientale ed è impensabile non stringere accordi ancora più forti con gli USA.
L’Italia si faccia promotrice e non sia il classico tifoso che vede la partita dalla curva o peggio il cameriere di turno.
Anche se può accadere che a volte certe curve sono molto migliori di certe tribune…