
CATANZARO “Se si volesse valorizzarne la qualità – specificano – bisognerebbe prendere in considerazione altri parametri, come l’acido oleico, che distingue concretamente gli oli di oliva dalla maggior parte degli oli di semi e non l’acidità, sulla quale con metodi diversi si potrebbe addirittura intervenire con procedimenti non molto ortodossi, ma soprattutto prendendo in seria considerazione la pratica del panel test, vero elemento identificativo di un olio Evo di alta qualità”. “La nostra climatologia – affermano ancora – è di tipo mediterraneo, con inverni miti ed umidi, estati calde o temperate, ma comunque umide. Tali condizioni favoriscono le numerose patologie fungine, tipiche dell’olivo, la loro presenza, per quanto contrastata, comporta qualche decimale di acidità in più, senza alterare le caratteristiche qualitative dei nostri oli”. “Al contrario Paesi come la Spagna, in particolare l’Andalusia – sottolineano Statti, Taccone e Placida – appartengono climaticamente ad un’area continentale, con inverni secchi e freddi ed estati torride, in cui la presenza di crittogame e di parassiti è molto limitata. Questo favorisce le basse acidità, ma non le caratteristiche organolettiche degli oli ottenuti”. “Perseguire questa ipotesi di riduzione dei parametri, sia fisici che chimici – sostengono conseguentemente i tre esponenti di Confagricoltura – significa radiare dal mercato una fetta consistente della produzione italiana di extravergine, oggi abbastanza valorizzata, introducendola nella fascia degli oli vergini, il cui valore è di poco superiore agli oli lampanti. Si corre il rischio di escludere dalla gamma degli extravergini, oli con caratteristiche organolettiche ottime e continuare ad ammettere oli sensorialmente discutibili”. (News&Com)