REGGIO CALABRIA “Si registra, a fronte dell’inasprimento del trattamento penitenziario a cui sono evidentemente sottoposte le persone in regime di alta sicurezza, una permanente carenza di personale giuridico-pedagogico; una esigua quantità del monte ore degli esperti ex art. 80 OP, preposti all’osservazione intramuraria e per di più gravati da altre funzioni; la sostanziale inesistenza di mediatori penali e culturali; l’assenza di personale altamente qualificato e specializzato nei percorsi trattamentali delle persone detenute per reati di criminalità organizzata (magari formato dal Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria in sinergia con le Università); l’assenza, quindi, di un ‘sapere trattamentale’ specifico, evidentemente, non generato per causa di un ‘vuoto teorico sulla rieducazione mafiosa’; rivedere la normativa sull’interdittiva antimafia che inibisce, a chi ha scontato la sua pena, la possibilità di intraprendere un’attività lavorativa legale”. Ancora il Garante: “I due terzi delle persone detenute in Calabria, come nel resto d’Italia, non sono mafiose e non hanno nulla a che fare con la criminalità organizzata e come ribadito in più occasioni, dal sociale al penale, il penitenziario finisce per diventare una discarica sociale”. Agostino Siviglia ha concluso rammentando che: “Il successo non è mai definitivo; che il fallimento non è mai fatale; e che è il coraggio di continuare che conta”. (News&Com)
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