
Il peso del silenzio è ancor più forte per chi lo pratica, anziché per chi lo riceve. Mentre le bombe continuano a cadere su Gaza e, oggi, anche sull’Iran, il 21 Giugno, una folla di alcune migliaia di Italiani, ed esponenti di oltre 400 associazioni pacifiste non violente, ha spezzato quel silenzio assordante manifestando contro tutte le guerre e contro l’irrefrenabile corsa al riarmo intrapresa, con folle determinazione, dai nostri governanti e da una politica internazionale che ha trasformato la menzogna in una pratica universale. Questa massa vibrante e fluttuante che ha attraversato le via di Roma, da Porta San Paolo al Colosseo, è quella che ha avvertito sulla propria pelle il dolore insopportabile e l’ingiustizia più bieca perpetrata, senza soluzione di continuità, non solo sul popolo di Gaza, ma sulle vittime innocenti di tutte le barbarie. Questi piani bellici planetari sono ormai decisi a tavolino, da un ristretto numero di ‘mangiafuoco’ che, in nome dell’autodifesa, della sicurezza globale, della democrazia e della libertà, vogliono ancorare la popolazione globale, come burattini, ai fili del loro palcoscenico, dove le sorti dell’intero pianeta sono decise a ‘porte chiuse’. Così, alla morte di migliaia di bambini, donne e civili innocenti a Gaza, e altrove, si affianca la ‘morte delle coscienze’, un cancro dell’anima che corrode il tessuto dell’amore, congela i sentimenti, corrompe le relazioni tra gli uomini, alimentando la catena della disumanizzazione che trova il suo anello più forte nel silenzio. Al sordo rintocco dell’indifferenza moriamo ogni giorno.
Siamo già morti tutte le volte che deleghiamo ad altri (istituzioni umanitarie, associazioni pacifiste, etc.) la capacità di agire, rinunciando alla nostra volontà di farlo in prima persona. Siamo già morti quando ci giustifichiamo dicendo “io non sono sufficientemente informato per prendere una decisione” ma non facciamo nulla, però, per essere informati. Siamo già morti ogni volta che sui posti di lavoro, nelle scuole e nei luoghi di culto tacciamo sulla verità, pensando possa risultare scomoda e creare imbarazzo in alcuni; Siamo già morti quando non riusciamo più a vedere gli altri in noi stessi e a percepire la loro sofferenza come la nostra; Siamo già morti tutte le volte che affermiamo: “ma io non posso fare nulla, sono i governi che devono agire”. Siamo già morti quando ci appelliamo a grandi principi morali, etici e religioni senza essere in grado di metterne in pratica neppure uno, nel nostro quotidiano. Siamo già morti, quando siamo incapaci di affermare la sacralità e il primato della vita come dono, sottraendoci dalla responsabilità di mettere la nostra a disposizione di altri.
In questo modo, moriamo ogni giorno, ma la morte delle nostre coscienze è una morte sterile perché – pur contribuendo a fare la storia – non la rinnova ma la indebolisce, trascinandola come una zavorra in un abisso, sempre più profondo, dove il senso della vita è ormai corroso, dissolto e impercettibile. Resta, però, la morte vivificante di chi muore in nome di una libertà, del diritto all’autodeterminazione e nella speranza di un rinnovamento. Questa morte è cosi viva, da spaccare anche i sassi del nostro silenzio che resta, tuttavia, imperdonabile e uccide due volte le vittime di tutte le guerre.





