
Settembre, Mese dei Tumori del Sangue
PRESENTATO A ROMA IL PROGETTO “UNITI PER LA MIELOFIBROSI”
Un Libro Bianco e un Manifesto per sensibilizzare le Istituzioni su priorità e bisogni di chi convive con questa rara neoplasia del sangue
Le principali Associazioni di Pazienti vicine alla Mielofibrosi uniscono le loro voci per lanciare un appello alle Istituzioni: bisogna dare concretezza alle istanze dei pazienti e proporre un nuovo modello di gestione delle malattie rare
In occasione del mese di settembre, dedicato alla sensibilizzazione sui tumori ematologici, è stato presentato ieri 23 settembre a Roma, ai rappresentanti istituzionali sensibili al tema, il progetto “Uniti per la Mielofibrosi”. Un’iniziativa realizzata con la collaborazione e il patrocinio di AIL (Associazione Italiana contro le Leucemie – linfomi e mieloma – ETS), A.I.P.A.M.M. OdV (Associazione Italiana Pazienti con Malattie Mieloproliferative), A.PRO.T.I.ON (Associazione per il PROgresso della Terapia Intensiva Oncoematologica), F.A.V.O. (Federazione Italiana delle Associazioni di Volontariato in Oncologia), Fondazione Renata Quattropani ETS, La Lampada di Aladino ETS. Il Progetto ha anche il patrocinio di Fondazione GIMEMA – Franco Mandelli ONLUS, MPN Advocates Network e S.I.P.O., Società Italiana di Psico-Oncologia, e con il contributo non condizionante di GSK.
Le principali Associazioni di Pazienti che si occupano di neoplasie mieloproliferative, delle quali la mielofibrosi è la forma più rara e grave, hanno unito le loro forze per un obiettivo comune: sensibilizzare le Istituzioni – regionali e nazionali – sui principali bisogni insoddisfatti dei pazienti, sulle loro difficoltà quotidiane, sulla richiesta di opzioni terapeutiche efficaci e di una migliore qualità di vita, al fine di dare concretezza a queste richieste, corali e urgenti attraverso la redazione di un Libro Bianco – dal titolo “Uniti per la Mielofibrosi – Verso un futuro migliore. Analisi dei bisogni e proposte operative per la gestione della mielofibrosi” – e di un Manifesto.
“Siamo convinti che il Libro Bianco possa svolgere un compito importante: permettere una discussione informata con i decisori che li porti a implementare le giuste strategie affinché chi convive con questa malattia rara si senta parte di un percorso strutturato, per vivere una vita affettiva e lavorativa piena”, così si legge nell’Introduzione congiunta al Libro Bianco delle Associazioni di Pazienti coinvolte nel progetto.
Al centro del Libro Bianco ci sono i racconti del vissuto personale dei pazienti, dei caregiver e il punto di vista dei clinici esperti in quest’area. Ciascuno dei cinque capitoli è dedicato ad uno dei bisogni prioritari emersi a seguito di un lavoro di discussione e confronto tra i rappresentanti delle Associazioni di Pazienti dell’Unione:
- Ricerca e accesso equo alle cure
Si chiede di investire in nuove terapie, migliorare i trattamenti per l’anemia e garantire che tutti i pazienti, ovunque vivano, possano accedere alle cure più appropriate. Si propone anche di coinvolgere i pazienti nella ricerca e di potenziare la cultura della donazione di sangue e midollo.
- Cure personalizzate e vicine al paziente
Si chiede una sanità più flessibile, che usi strumenti come la telemedicina e migliori l’organizzazione delle trasfusioni, anche a domicilio quando possibile. È importante investire in strutture moderne e in sistemi digitali efficienti.
- Supporto psicologico continuo
Si chiede di garantire, sin dalla diagnosi, un supporto psicologico come parte integrante della cura, un percorso incluso nei percorsi terapeutici e accessibile anche a distanza.
- Sostegno ai caregiver
Si chiede che vengano garantiti diritti sul lavoro, aiuti economici, formazione specifica e sostegno psicologico a chi si prende cura di una persona con mielofibrosi.
- Informazione e formazione
Si chiede l’accesso a una informazione chiara e accessibile su diagnosi, trattamenti disponibili e
diritti garantiti. Si chiede, inoltre, di migliorare la formazione dei Medici di Medicina Generale e degli altri operatori sanitari per garantire diagnosi tempestive e cure adeguate.
I cinque punti hanno dato vita al Manifesto “Uniti per la Mielofibrosi”, un documento sintetico destinato a rappresentare in modo autentico i bisogni, le istanze e le aspettative delle persone che convivono con questa malattia rara. Il Manifesto, oggi firmato dalle Istituzioni presenti, è un vero e proprio appello rivolto a loro, con proposte concrete per migliorare la qualità della vita dei pazienti e costruire una sanità più equa e vicina ai bisogni dei pazienti.
“La gestione del paziente con mielofibrosi, specialmente se trasfusione-dipendente, è complessa e richiede un approccio multidisciplinare per affrontare non solo la malattia ematologica sottostante, ma anche i sintomi, le complicanze legate alla patologia e quelle derivanti dalla terapia trasfusionale, con un’attenzione costante alla qualità di vita”, afferma Massimo Breccia, Professore Associato di Ematologia, Dipartimento di medicina traslazionale e di precisione, Sapienza Università-Azienda Policlinico Umberto I di Roma.
La mielofibrosi costituisce una sfida di elevata complessità per il Sistema Sanitario, non solo per l’impatto clinico ma anche per i riflessi organizzativi, psicologici e sociali che comporta. I contributi raccolti nel Libro Bianco sottolineano con forza, la necessità di una presa in carico del paziente integrata, continua e radicata sul territorio, valorizzando la qualità e la prossimità dell’assistenza. Un punto su cui c’è ancora molto da fare.
“Attualmente, la presenza di ematologi e personale specializzato sul territorio è limitata – spiega infatti Francesca Palandri, Medico Ematologo, IRCCS Azienda Ospedaliero-Universitaria di Bologna, Istituto di Ematologia “Seràgnoli” – e, spesso, le associazioni di volontariato non riescono a coprire tutte le necessità dei pazienti a domicilio. Rafforzare l’assistenza territoriale, con la presenza di infermieri ed ematologi del Servizio Sanitario Nazionale che possano seguire i pazienti a casa, faciliterebbe il monitoraggio clinico, la gestione delle terapie e il coordinamento con i centri specialistici.”
A livello regionale, alcune esperienze già attive dimostrano come modelli organizzativi basati sull’integrazione tra ospedale e territorio, la medicina di iniziativa e le reti clinico-assistenziali rappresentino solide fondamenta per migliorare accesso alla diagnosi, gestione specialistica e supporto globale al paziente. Estendere tali modelli in modo omogeneo sul territorio nazionale può contribuire a ridurre le disuguaglianze e a costruire un sistema realmente equo.
Sul piano nazionale, emerge la necessità di un’azione sistemica: rendere operative le linee guida, attivare i PDTA, potenziare i centri trasfusionali e la telemedicina e sviluppare una rete complessiva di presa in carico. È inoltre cruciale attribuire centralità alle Associazioni di Pazienti, coinvolgendole attivamente nella definizione delle priorità e nella valutazione delle politiche sanitarie, favorendo un’assistenza più empatica e personalizzata.
La formazione continua dei Medici di Medicina Generale, l’istituzione di tavoli tecnici permanenti, il rafforzamento del supporto psicologico e dell’assistenza domiciliare sono elementi chiave per rendere la gestione della mielofibrosi un vero paradigma di buona sanità. Una sanità che non si limiti a curare la malattia, ma che si prenda cura delle persone e delle loro famiglie, anche attraverso un supporto psicologico.
“Quando lo psico-oncologo fa parte a tempo pieno dell’équipe curante – spiega Gabriella De Benedetta – Psicologa-psicoterapeuta, Istituto Nazionale Tumori IRCCS Fondazione G. Pascale di Napoli – può incidere positivamente sull’esperienza di malattia, che si tratti del primo impatto, delle problematiche che insorgono durante il percorso di cura o della fase di adattamento alla cronicità. L’importante è creare consapevolezza nel paziente e nei suoi familiari, intervenendo non “al bisogno”, ma normalizzando il percorso e gestendo tutto il processo di comunicazione con un’unica regia.”
Un impegno serio e condiviso può davvero trasformare le indicazioni contenute all’interno del Libro Bianco e del Manifesto in un miglioramento strutturale della vita dei pazienti con mielofibrosi, offrendo un nuovo modello di gestione per le malattie rare. Le Istituzioni – a livello nazionale e regionale – hanno oggi l’opportunità e la responsabilità di rendere concreta questa visione.
LA MIELOFIBROSI
Secondo il registro Orphanet, in Europa la mielofibrosi ha un’incidenza pari a 0,1-1 su 100.00 persone e una prevalenza di 2,7 persone su 100.000, per un totale di circa 350 nuovi casi ogni anno in Italia[1]. Si tratta prevalentemente di adulti, con un’età media di 65 anni, ma anche persone più giovani: circa 1 paziente su 4 ha meno di 56 anni alla diagnosi e circa 1 su 10 ha meno di 46 anni.
I sintomi della mielofibrosi sono vari e poco specifici, come stanchezza, sudorazione notturna, febbre, perdita di peso, prurito, dolori muscolari o alle ossa; questo porta spesso ad una diagnosi tardiva, con il rischio di intervenire quando la malattia è già in fase avanzata. Tra le complicanze più gravi, l’ingrossamento anomalo della milza, l’aumento del tessuto fibroso nel midollo osseo e, frequente, anche l’anemia, che può comportare ricorrenti trasfusioni di sangue, con un alto impatto sulla qualità di vita dei pazienti e sulla gestione da parte delle strutture sanitarie in termini di tempi e costi.
La scelta della terapia da parte dell’ematologo deve essere personalizzata e dettata dalle caratteristiche dei pazienti. Quelli a basso rischio e asintomatici devono sottoporsi solo a visite di controllo. Sui pazienti a rischio intermedio o alto e/o sintomatici è, invece, necessario intervenire con trattamenti e terapie.
“L’introduzione degli inibitori di JAK ha rappresentato un importante ampliamento degli strumenti terapeutici a disposizione dell’ematologo e la ricerca continua a offrire nuove prospettive permettendoci di proporre trattamenti sempre più personalizzati e di attaccare la malattia su più fronti simultaneamente – spiega Paola Guglielmelli, Professore Associato di Ematologia, Università degli Studi di Firenze, Responsabile del Centro Ricerca e Innovazione delle Malattie Mieloproliferative (CRIMM), AOU Careggi di Firenze. Tuttavia, manca ancora una terapia farmacologica capace di modificare in modo sostanziale il decorso della mielofibrosi.”
Attualmente, infatti, l’unica cura potenzialmente risolutiva è il trapianto allogenico di cellule staminali ematopoietiche, ma meno del 10%[2] dei pazienti lo effettua a causa dell’età spesso avanzata, della difficoltà ad identificare un donatore che abbia caratteristiche ottimali e delle possibili complicanze post-trapianto.
[1] https://www.osservatoriomalattierare.it/i-tumori-rari/
[2] Hernández-Boluda JC, Czerw T. Transplantation algorithm for myelofibrosis in 2022 and beyond. Best Pract Res Clin Haematol. 2022 Jun;35(2):101369. doi: 10.1016/j.beha.2022.101369. Epub 2022 Aug 3. PMID: 36333063








