
Claudia Lo Castro, Psicologa Psicoterapeuta, Socia SIPO Sicilia, Responsabile Servizio di Psico-oncoematologia AIL Palermo – Trapani
Il paziente trapiantato e la sua famiglia, incluso il caregiver, vivono un percorso molto complesso e faticoso che richiede un graduale adattamento e un adeguato sostegno psicologico. Qual è l’impatto psicosociale e il carico emotivo per questi pazienti e il caregiver??
Per il paziente affetto da tumore del sangue il trapianto ha una duplice valenza: la speranza della guarigione (dopo un inteso percorso terapeutico, spesso molto disabilitante, che dura diversi mesi) e la paura, legata all’incognita del risultato della procedura. L’impatto psicosociale è molto forte e intenso, definisce un “tempo senza tempo”; l’ingresso nella camera sterile, dove l’isolamento diventa protagonista: sensazione di chiusura non solo fisica, impossibilità di vedere e toccare i propri cari, il silenzio e gli “strani suoni” della stanza, i colori freddi delle pareti, le lunghe notti, il frastuono dei pensieri, spesso ricchi di speranza, ma anche paura e angoscia, e infine il tempo dell’attesa. Tutto scorre, ma così lentamente che quasi il tempo si ferma, l’orologio rallenta, il silenzio disarma e l’aria non si muove. È qui che tutto si ridefinisce e dove spesso si rinasce, come il bruco diventa farfalla, così il paziente può diventare una nuova “persona” (…marito/moglie, padre/madre, nonno/nonna, figlio/figlia, fratello/sorella, amico/amica e tanto altro), ritrovando un nuovo sé: spesso diverso da prima, negli aspetti fisici, affettivi, emotivi, spirituali e relazionali.?
Se il momento del trapianto si affronta in modo evolutivo e costruttivo allora tutto prende un nuovo significato e accade una “straordinaria crescita” ma purtroppo a volte può non succedere, ed è per questo che va presa in carico la persona nella sua completezza, va riconosciuto oltre al “male fisico” anche quello psichico che può rendere il paziente ancora più fragile o al contrario, più aderente al trattamento. Si gestisce, non si controlla, si ascolta, non ci si sostituisce, si accoglie, non si respinge, si dialoga, non si parla. Questo è quello che un professionista psico-oncologo fa: valuta le risorse e le fragilità, analizza bisogni e aspettative, stimola l’ascolto del proprio dialogo interiore e riformula con il paziente un adattamento allo stato di distress cercando di non fuggire dal dolore, ma dando una nuova chiave di lettura per aprire la ‘stanza del dolore’ e stare lì, insieme, perché la fuga non cura ma sfianca. Esserci vuol dire stare al fianco in un contesto di relazione di aiuto dove lo psicologo aiuta e il paziente si sente “compreso e sostenuto”. Si utilizzano tecniche e strumenti clinici utili a “occuparsi del proprio dolore” e non “preoccuparsi di esso”.
Come va gestito? Con grande rispetto, professionalità e umanità. Le parole che curano, lo sguardo che riscalda, il pensiero che unisce; comportamenti, pensieri ed emozioni, un tridente potentissimo e strumento psicologico unico.
Poi c’è il caregiver, contenitore di tutto, anche della malattia che non lo invade ma che lo avvolge inesorabilmente, lui assolve alla “coscienza”, rappresenta il grillo parlante che tutto deve sapere e deve conoscere, che spesso vorrebbe “non esserci” ma “deve esserci”, per noi rappresenta una grandissima risorsa da preservare e da aiutare, se crolla lui, tutto diventa ancora più complesso e dissonante. La famiglia come nucleo da informare, coinvolgere, proteggere e trasformare in risorsa, anche quando questo risulta complesso. Tumore come “percorso comune di malattia” che può essere affrontato insieme, una sfida immensa che disarma ma che può unire o allontanare, un evento che innesca una rottura dell’equilibrio pre-esistente.
Gestire tutto diviene complessità di cui si può far carico l’equipe multidisciplinare, in ottica bio-psico-sociale, grazie a un intervento integrato in cui il ruolo del professionista psico-oncologo, operatore sanitario riconosciuto ma non ancora presente nelle piante organiche delle UOC di Oncoematologia e TMO, diviene una componente importante dell’intervento e non la ciliegina sulla torta. Egli può affiancare gli operatori nell’intero percorso di cura prima, durante e dopo il trapianto, perché è in ogni fase del trattamento che può essere utile la presenza dello psico-oncologo.
In tutto questo complesso percorso umano, ricordo che AIL riesce a garantire nelle principali oncoematologie del territorio italiano la presenza di specialisti psico-oncologi, in rete tra loro, e specificamente formati. Oltre 40 Sezioni hanno costituito un tavolo tecnico che ha realizzato delle buone prassi, utili a garantire un intervento standardizzato anche all’interno delle UO di Trapianto di Midollo Osseo, un intervento psicologico altamente specializzato.
Ringrazio pubblicamente AIL Nazionale, tutti i Presidenti delle Sezione AIL e i Direttori delle UOC di Oncoematologia e Trapianto, per aver permesso di realizzare questo importante progetto, sensibili anche alla promozione del benessere psicologico dei pazienti che vivono la travolgente esperienza del trapianto di cellule staminali emopoietiche, e delle loro famiglie.”