(AGENPARL) – ROMA, 20 marzo 2024 – Sono stati annunciati i primi dati dalla ricerca condotta per il quarto anno consecutivo dall’Osservatorio BenEssere Felicità, che misura lo stato di salute, della felicità e del benessere dei lavoratori, sia nella dimensione aziendale sia in quella individuale e sociale.
Le prime evidenze emerse dalla ricerca, dimostrano che, al 45% degli intervistati piacerebbe avere la possibilità di cambiare azienda o mestiere nei prossimi 12 mesi, ma solo il 3% per lavorare in una azienda con un marchio noto, la Generazione Z e gli operai risultano essere i più infelici del proprio lavoro, e il Nord-ovest è il luogo dell’infelicità.
La ricerca ha coinvolto 1000 persone rappresentative di tutte le generazioni attive, secondo il loro peso fisiologico nel mercato del lavoro (dalla Generazione Z ai Boomer). Le interviste sono state condotte, dal 1 al 7 marzo, con rilevazione CAWI (Computer Assisted Web Interviewing) da sistemi multipli a scelta dell’intervistato. Il campione nazionale della popolazione attiva, e quindi occupata, aveva un’età dai sedici anni in su, i nominativi invitati per l’indagine provengono dai panel online di R-Dogma e dei suoi partner. L’analisi dei dati e dei risultati è stata realizzata in partnership con Research Dogma, centro di ricerca e consulenza specializzato sulle tematiche di capitale umano.
Alla domanda “ti piacerebbe avere la possibilità di cambiare posto di lavoro o lavoro nei prossimi 12 mesi?” solo poco più della metà degli intervistati (55%) ha risposto di no. Il 24% vorrebbe invece cambiare azienda o posto di lavoro e il 21% vorrebbe cambiare proprio lavoro o mestiere.
Il Vice Presidente e Direttore scientifico dell’Associazione Ricerca Felicità, Sandro Formica, afferma: “Il lavoro ha un ruolo attivo nell’alimentazione della felicità. Non è un’impressione, non è trascurabile, è un fatto. Dalla nostra ricerca emerge chiaramente anche uno scollamento nel percepito dei lavoratori: se è vero per il 76% che il loro lavoro migliora l’azienda, non si registra invece reciprocità in termini di soddisfazione dei bisogni, che per il 35% non sono soddisfatti dal proprio lavoro. Man mano che viene data centralità al lavoratore, lo scollamento si fa ancor più esplicito: per il 41% il lavoro non dà un senso alla vita, per il 47% non aiuta a capire sé stessi. Questo risulta tanto più evidente per determinati segmenti del campione: per quanto riguarda la felicità per la propria vita, quella per il proprio lavoro, la soddisfazione per il lavoro e l’uso sano e bilanciato della tecnologia il Nord-ovest risulta in tutti i casi più indietro di alcuni punti rispetto alla media nazionale, con un risultante 49% che vorrebbe cambiare lavoro a fronte della media nazionale del 45%. A livello generazionale è la Generazione Z quella più incline a cambiare lavoro, con un 60%, così come i colletti blu, con il 54%.”
E’ stato poi chiesto agli intervistati di valutare quali aspetti incidono di più nella scelta di un nuovo posto di lavoro e le risposte vedono al primo posto l’empowerment, che con un 30% contempla le opportunità per la crescita, il contenuto del lavoro, l’autonomia, le aspirazioni e l’attenzione alla salute mentale, sebbene su tutti gli aspetti sia in testa lo stipendio. Il tempo e il work-life balance, incidono per il 23%, mentre la comunità di lavoro, che contempla le persone, i valori e l’essere apprezzati, per il 20%. Solo il 3% ritiene importante il brand tra i fattori d’attrazione e retention.
La co-founder dell’Associazione Ricerca Felicità, Elga Corricelli, ha dichiarato di essere rimasta sorpresa del fatto che lavorare in una azienda con un marchio noto risulta essere, per i lavoratori e lavoratrici italiane, l’ultima scelta (il 3%). “Questo dovrebbe far riflettere questi brand, poiché potrebbe confermare che i candidati scelgono in quale azienda vogliono dare il proprio contributo senza farsi “abbagliare” dalle organizzazioni più note, se queste non hanno una cultura aziendale e valoriale a loro affine. Tra gli aspetti che rendono maggiormente soddisfatti spicca il bilanciamento vita-lavoro, e anche in questo caso fa riflettere la posizione del Nord-ovest rispetto alla media nazionale, dove solo il 44%, a fronte del 48% in Italia, ritiene che si faccia un uso sano e bilanciato della tecnologia. Tra gli aspetti che approfondiremo nelle prossime settimane non mancherà infatti il digital wellbeing” afferma Elga Corricelli.
L’ analisi dell’Osservatorio conferma poi come la condizione lavorativa di una persona incida profondamente sulla sua felicità, infatti alla domanda: “Se tu dovessi valutare quanto il tuo lavoro oggi incide sulla tua felicità complessiva, che peso gli daresti?” tra chi ha risposto molto e moltissimo la percentuale è del 51%, solo un 15% ritiene che non abbia impatto, mentre un restante 34% gli dà un peso relativo. Alla domanda “quanto ti senti felice del tuo lavoro?” solo il 10% lo è pienamente.
La Presidente dell’Associazione Ricerca Felicità, Elisabetta Dallavalle, ha dichiarato: “Se andiamo a osservare la felicità per il proprio lavoro vediamo le donne leggermente meno felici degli uomini con una media nazionale del 48% del genere femminile contro il 50%. La Generazione Z è quella più infelice del proprio lavoro con il 44%, a salire la Generazione X con il 46%, poi i boomer a un passo dalla pensione con il 50% e i millennial, che con il 55% sembrano i più felici del proprio lavoro. La classe operaia invece è la meno felice con una media del 44%.”