
[lid] -Nessuno resti indietro – “none left behind”. Antonio Guterres nel 2021 a valle della pandemia afferma dalla prospettiva delle Nazioni Uniti la centralità della persona nel portare i sistemi di giustizia già molto trasformati dalla accelerazione tecnologica di cui hanno fatto esperienza durante la pandemia verso il XXI secolo. Chi potrebbe negare la necessità di assicurare che ogni persona, ogni titolare di diritti, sia messa nelle condizioni di sapere come indirizzare la propria domanda di giustizia e, una volta trovato il percorso, di ottenere dagli strumenti che sono stati creati per dare una risposta, un riscontro che sia capace di rispettare appieno la dignità di chi chiede? Nessuno negherebbe. Ma lo stato dell’arte ancora non è alla altezza delle nostre aspettative e questo gap esiste in molti paesi. A diversi livelli e in diversi modi sono stati richiamati i decisori affinché introducano tutti gli sforzi possibili perché il gap sia ridotto e portato ad annullarsi, affinché effettivamente nessuna persona sia lasciata indietro. Sappiamo infatti che vi è una chiara correlazione fra la effettività di una risposta di giustizia e la qualità della vita in settori chiave dello sviluppo umano, come la salute, la professione, la casa, la famiglia. I dati essendo chiari più incerto è il metodo da utilizzare per rendere questo auspicio reale pratica. Eppure, abbiamo tutti i metodi per potere agire e ad oggi disponiamo anche di esperienze che costituiscono positivi precedenti e che ci incoraggiano.
Un paese certamente faro nella predisposizione di strumenti accessibili e comprensibili ad una società plurale e capace di contemperare molte differenze linguistiche culturali e socioeconomiche come il Canada sta avviando una interessantissima sperimentazione cui guardare. A partire dal 2017 il Consiglio per la ricerca nelle scienze umane del Canada ha finanziato un vasto e articolato programma orientato a studiare e a co-costruire forme di automazione e di intelligenza artificiale applicate all’interno del mondo del diritto mettendo al centro innanzitutto la persona, sia nella persona-titolare di diritti, sia nella persona-professionista della/nella giurisdizione. Le ipotesi della ricerca rivelano già il grande interesse che questa esperienza ha per un paese come il nostro. L’idea sottesa è che la tecnologia può essere particolarmente adattiva e quindi modularsi sulla base dei bisogni e delle forme della cognizione che le persone hanno. Non è la stessa cosa per una persona ipovedente o affetta da forme più o meno accentuate di sordità o ancora avente esperienza delle diverse sfaccettature che l’autismo inserisce nella vita quotidiana avere a che fare con il diritto ma soprattutto con le istituzioni della giustizia. Si pensi a tutte le innovazioni organizzative che sono state avviate: URP on line, sportello vittime, documentale on line, udienze in remoto, sono solo esempi, per quanto molto diversi, di utilizzo del digitale – sia come dematerializzazione, sia come gestione automatizzata di documenti – per potere andare incontro ai bisogni. Ma non sempre questo riesce ovvero non sempre esiste nel sistema giustizia una egualmente sviluppata e testata sul campo capacità di rendere comprensibile, sensibile ed accessibile – anche in senso di sostenibilità – l’uso della giurisdizione per risolvere problemi di vita che abbiano profili di tipo giuridico e potenzialmente che sfocino in controversie. Una persona che è affetta da autismo e che si trova parte in procedimento in materia di diritto di proprietà, di diritto di famiglia, potrebbe trovarsi dinnanzi un sistema che non ha introdotto strategie strumenti e interfaccia capaci di rispondere al modo in cui tale persona acquisisce informazioni, le elabora, costruisce cognitivamente la propria autonomia di scelta, esprime sé stessa. Perché in fondo è questo il bene primo da tutelare. Stiamo osservando quanto svolto dal programma di ricerca Cyberjustice a Montreal con interesse per ragionare di come operativamente possiamo fare nel nostro paese la differenza. Grazie ad una azione di partenariato che vede collaborare istituzioni ordinistiche, istituzioni giudiziarie e associazioni dei cittadini una equipe di ricerca internazionale sta co-progettando una chatbot che sia capace di affiancare – non sostituire! – l’accesso e il percorso della persona che intende comprendere – prima – e poi avvalersi dei propri diritti in materia di immobiliare. La chatbot è concepita sin dall’inizio insieme con le persone che ne usufruiranno. Essa è intesa come un ausilio e pertanto viene inserita in una chiave di potenziamento dei servizi di tipo giuridico e giudiziario, ma soprattutto in una chiave di orientamento ed ascolto, che sono poi la base dell’accoglienza. Non si tratta della ennesima applicazione delle molto discusse e molto trattate dal discorso mediatico forme di intelligenza artificiale generativa intese in senso astratto. L’interesse di questa sperimentazione, che mette sapientemente insieme la ricerca di diverse discipline che convergono tutte nella costruzione di strumenti pensati per e con il cittadino, risiede esattamente nel fatto che è al contesto di vita che si pone attenzione. Il contesto di vita della persona che ha una domanda di giustizia e che deve potere 1. Trovare la strada per farla pervenire alle istanze competenti e meglio rispondenti ai suoi bisogni; 2. Trovare una esperienza della giurisdizione o delle interazioni con il diritto che sia rispettosa e sostenibile sul piano cognitivo, culturale ed emotivo.
Perché interessarsi di tutto ciò? Perché in Italia ci sono molte persone che in ragione delle loro specificità di carattere cognitivo non trovano quella strada e quella esperienza di cui abbiamo detto. Pensiamo a quanto sarebbe necessario disporre di sperimentazioni capaci poi di essere estere sul territorio in cui la tecnologia e la competenza di carattere medico, psicologico, ma anche di tipo più trasversalmente esperienziale – ciò che le persone sono in grado di dirci loro stesse dei loro bisogni – per assicurare protocolli, documenti, prassi di udienza, interazioni con le vittime che siano adeguate a valorizzare le differenze e le specificità, incluse le disabilità di carattere cognitivo, le diverse abilità e il lascito che sovente resta quando sono stati vissuti momenti traumatici, come le violenze, fisiche o emotive, le crisi di carattere economico o professionale.
Alcuni passi esplorativi sono già in corso, a partire dal coinvolgimento delle associazioni e delle realtà che sono portavoce di famiglie e persone con disabilità, a partire dalla realtà del Lazio. Ma in generale quanto si vede all’opera nel partenariato di ricerca e co-costruzione dei servizi che è operativo in Canada è il coinvolgimento di terzo settore, ONG, associazioni, charity, che di volta in volta sulla base di specifiche progettazioni, sono chiamati a partecipare in qualità di osservatorio sui bisogni e successivamente attore di test e verifica. Il metodo non è molto diverso da quello che l’Unione europea sta promuovendo per la sandbox. Intelligenza artificiale e automazione che sono realizzate “in contesto” con attenzione all’utilizzo che se ne fa con un percorso che il Regolamento europeo sull’intelligenza artificiale ad oggi in corso di elaborazione e finalizzazione prevede essere sperimentale, evolutivo e non gestito da competenze mono-disciplinari. Inoltre l’idea di fondo è che senza l’ascolto della voce e dei bisogni dei cittadini nessuna innovazione nel settore giustizia potrà essere davvero adeguata.
Non si tratta né di indirizzare aspettative non corrispondenti alla natura dello strumento verso la tecnologia e l’intelligenza artificiale. La scelta del caso citato, quello canadese, è dovuta soprattutto al metodo con cui vengono pensate le fasi di progettazione degli strumenti di facilitazione dell’accesso alla giurisdizione insieme con le persone o i gruppi che si intende facilitare e, in secondo luogo, ma non con meno importanza, al merito della scelta, ossia una progettazione che va nella direzione di aiutare l’accesso in primo luogo all’orientamento. Sapere di quali diritti si gode, come renderli effettivi e quale è il grado di leggibilità delle procedure costituiscono nel loro insieme condizioni capaci di trasformare la potenzialità della difesa nella effettività della garanzia. E veniamo poi alla questione delle specificità delle persone che sono caratterizzate da particolari forme di cognizione e/o abilità. Riteniamo che da paesi che sono impegnati in sperimentazioni per le fasce della popolazione che già risentono di vulnerabilità e di disabilità cognitive accentuate si possa apprendere non solo come fare ma anche cosa fare, sapendo comunque che nel nostro paese le realtà associative e istituzionali che possono unirsi in partenariati orientati a costruire percorsi nella e con la giurisdizione sensibili alle specificità dei cittadini e delle cittadine con disabilità non mancano. Ed è adesso (se non ora quando?) il momento per non lasciare davvero nessun da parte. Anzi per avere per queste persone la attenzione e la premura che si ha per chi porta una immaginazione altra di inedita ricchezza.
Lo dichiarano Stefano Bertollini, Daniela Piana in una nota.

