
(AGENPARL) – ven 21 ottobre 2022 OFFERTA DI NIDI E SERVIZI INTEGRATIVI PER LA PRIMA INFANZIA | ANNO EDUCATIVO 2020/2021
Nidi di infanzia, nel primo anno di pandemia calano iscrizioni e frequenza
Alla fine del 2020 sono attivi in Italia 13.542 servizi educativi per la prima infanzia con oltre 350mila posti autorizzati al funzionamento, di cui il 49,1% in strutture pubbliche.
I posti sono in lieve calo (-2,9%) a causa soprattutto delle sospensioni del servizio nell’intero anno educativo 2020/2021.
Diminuiscono le iscrizioni, i mesi di frequenza dei bambini e, quindi, l’ammontare delle rette pagate dalle famiglie.
Tra le criticità nella gestione dei nidi in emergenza sanitaria: maggiori costi (segnalati dal 74% dei Comuni), carenza di risorse economiche (37%), difficoltà delle famiglie nel pagare le rette (29%). Molte le misure intraprese per adattare il servizio al contesto pandemico.
27,2%
La quota di posti nei servizi educativi rispetto ai bambini sotto i tre anni
49,1% è in strutture pubbliche -10,3%
La spesa dei Comuni nel 2020 per i servizi educativi rispetto al 2019 (1,3 miliardi di euro la spesa impegnata)
-39,7%
Le entrate dei Comuni provenienti dalle rette nel 2020
Scende dal 18,7% al 12,6% la quota di contribuzione delle famiglie
Flessione limitata dell’offerta nel primo anno della pandemia
I servizi educativi per la prima infanzia, così come gli altri segmenti del comparto dell’istruzione, dal 2020 hanno risentito dell’impatto della pandemia da Covid-19, che ha comportato periodi di chiusura delle strutture e interruzioni della frequenza da parte di molti bambini.
Al 31 dicembre 2020 sono attivi sul territorio nazionale 13.542 servizi per la prima infanzia, quasi 300 in meno rispetto all’anno precedente (-2,1%). I posti complessivi sono 350.670, di cui il 49% all’interno di strutture pubbliche, con un saldo negativo di circa 10.600 posti (-2,9%).
Tale flessione introduce una discontinuità rispetto ai graduali incrementi degli anni precedenti, ottenuti anche con il supporto di specifici interventi di rafforzamento. La contrazione dell’offerta ha interessato più il settore pubblico (-4,8%) rispetto al privato (-1,1%) e sembra collegata, più che alle chiusure definitive delle strutture, alla temporanea inattività dei servizi per l’anno educativo 2020/2021, per un totale di oltre 7mila posti (di cui il 71,5% pubblici) autorizzati al funzionamento ma non disponibili.
Il calo ha interessato meno i nidi d’infanzia (-1,4%), componente più tradizionale e principale dell’offerta (65,8%). Leggermente più consistente (-2,8%) il decremento per le sezioni primavera, che rappresentano il 19,6% dei servizi complessivi e accolgono bambini dai 24 ai 36 mesi, generalmente all’interno delle scuole d’infanzia. I servizi integrativi per la prima infanzia (spazi gioco, centri per bambini e genitori e servizi educativi in contesto domiciliare), che completano l’offerta con il 14,6% dei servizi disponibili, sono quelli che hanno fatto registrare la riduzione maggiore (-17,2%).
Questa situazione si inserisce in un contesto di offerta già fortemente carente, nonostante i diversi piani di intervento varati e gli ingenti stanziamenti approvati, dagli effetti ancora non misurabili.
Nonostante la lieve contrazione dell’offerta, la percentuale di copertura dei posti rispetto ai residenti tra 0 e due anni di età è rimasta pressoché stabile per effetto del calo delle nascite e della conseguente riduzione dei potenziali beneficiari del servizio: per il complesso dei servizi educativi si è passati dal 27,1% dell’anno educativo 2019/2020 al 27,2% del 2020/2021. Tale parametro si conferma sotto l’obiettivo definito dal Consiglio europeo di Barcellona nel 2002, da raggiungere entro il 2010, pari al 33% di copertura dei posti rispetto ai bambini.
In media, a livello europeo sono stati fatti molti progressi. Nel 2019, già prima della pandemia, la frequenza dei servizi educativi per i bambini sotto i tre anni aveva raggiunto in media il 35,3%, ma con ampie divergenze fra gli Stati membri, molti dei quali, come l’Italia, non avevano raggiunto il target, mentre diversi paesi si attestavano anche oltre il 50%, fino a raggiungere e superare il 65% nel caso di Olanda e Danimarca.
Dopo un calo nel 2020 (32,4%), la media europea è al 36,6% nel 2021 e quella italiana al 33,4%. Seppur ancora provvisorio, questo dato indicherebbe un aumento della frequenza per i bambini sotto i tre anni che, al netto degli anticipatari alla scuola d’infanzia, porterebbe circa al 29% la frequenza dei nidi nel 2021.
FREQUENZA DEI SERVIZI EDUCATIVI PER LA PRIMA INFANZIA PER 100 BAMBINI DI 0-2 ANNI IN EUROPA. Anno 2019 (a)
Frequenza di servizi educativi per bambini 0-2 anni
Paesi sotto l’obiettivo UE Rep. Ceca Romania Croazia Ungheria Bulgaria Austria Italia Lituania Latvia Cipro Germania Estonia Grecia
6,3 14,1 15,7 16,9 19,7 22,7 26,3 26,6 28,3 31,1 31,3 31,8 32,4
Paesi sopra l’obiettivo UE EU-27 Finlandia Malta Irlanda Slovenia Francia Portogallo Svezia Belgio Spagna Lussemburgo Olanda Danimarca
35,3 38,2 38,3 40,8 46,9 50,8 52,9 53,1 55,5 57,4 60,0 64,8 66,0
Fonte: Eurostat, indagine EU-silc. Ultimo dato disponibile per tutti i 27 paesi UE https://ec.europa.eu/eurostat/databrowser/view/tepsr_sp210/settings_1/table?lang=en&category=livcon.ilc.ilc_pe.ilc_pepsA venti anni di distanza dalla definizione dell’obiettivo di Barcellona, una recente Raccomandazione della Commissione europea (7 settembre 2022) propone di fissare un nuovo target per il 2030: portare almeno al 50% la quota di bambini sotto i tre anni che frequentano servizi educativi di qualità. La Commissione sottolinea inoltre la necessità di garantire un adeguato numero di ore settimanali, anche per consentire la partecipazione dei genitori al mercato del lavoro, migliorare le condizioni di lavoro del personale impiegato nei servizi educativi, favorire l’inclusione dei bambini con disabilità e di quelli con background migratori o a rischio di povertà ed esclusione sociale. Molte famiglie infatti non iscrivono i figli al nido perché il servizio non è disponibile o è troppo costoso.
Ancora molte le disuguaglianze nell’accesso ai servizi
Favorire la frequenza del nido da parte di bambini provenienti da famiglie a basso reddito può spezzare il circolo vizioso dello svantaggio sociale e incidere positivamente sulla partecipazione al mondo del lavoro, riducendo anche il divario di genere. In Italia resta ancora molta strada da fare per garantire un’equa accessibilità dei servizi dal punto di vista socio-economico: infatti i tassi di frequenza del nido crescono all’aumentare della fascia di reddito delle famiglie e sono decisamente più alti se la madre lavora e se i genitori hanno un titolo di studio elevato.
Dal punto di vista della disponibilità dei servizi sul territorio, permangono ampissimi divari a sfavore delle famiglie residenti nel Mezzogiorno e nei Comuni più piccoli.
Il Nord-est e il Centro Italia, alla fine del 2020, consolidano la copertura dei posti disponibili rispetto ai bambini sotto i tre anni sopra il target europeo del 33% (rispettivamente 35% e 36,1%); il Nord-ovest è sotto l’obiettivo ma non è distante (30,8%), mentre le Isole (15,9%) e il Sud (15,2%), che pur registrano un lieve miglioramento, sono ancora lontani dal target.
A livello regionale i livelli di copertura più alti si registrano in Umbria (44%), seguita da Emilia Romagna (40,7%) e Valle d’Aosta-Vallée d’Aoste (40,6%), Toscana (37,6%) e Provincia Autonoma di Trento (37,9%). Anche il Lazio e il Friuli-Venezia Giulia dal 2019 hanno superato la soglia del 33% (rispettivamente 35,3% e 34,8%), in coda Campania e Calabria, ancora sotto il 12%.
I capoluoghi di provincia hanno in media il 34,3% di copertura, ma con ampie distanze: quelli umbri al 47% e quelli siciliani all’11,6%. Sono ben 65 le città capoluogo con valori maggiori o uguali al 33%, mentre le rimanenti 44 restano sotto il target. I Comuni non capoluogo si attestano in media a 24,2 posti per 100 residenti sotto i tre anni (23,9% nel 2019).
In termini di offerta pubblica sui posti complessivi, la maggior parte delle regioni meridionali ha una quota di posti nei servizi educativi a titolarità comunale inferiore al 50% e una spesa media dei Comuni per bambino residente ben sotto il valore nazionale. Le regioni del Centro-nord che hanno superato il 33%, invece, hanno un’offerta pubblica molto consistente e radicata e anche quando le quote di pubblico sono inferiori al 50% i livelli di spesa dei Comuni sono comunque alti, non solo per la gestione dei nidi comunali, ma anche per il convenzionamento con i servizi privati.
FIGURA 1. POSTI DISPONIBILI NEI SERVIZI EDUCATIVI DISTINTI PER TITOLARITÀ. Anno educativo 2020/21, valori percentuali
Consistenti gli interventi statali a supporto del nido
Negli ultimi anni sono stati stanziati importanti fondi di diversa natura per lo sviluppo dei servizi educativi rivolti alla prima infanzia. Dalla Legge n. 65 del 2017 deriva un forte impulso al potenziamento di tali servizi come parte integrante del percorso educativo che va dalla nascita fino a sei anni. Per lo sviluppo del “sistema integrato di istruzione 0-6”, strumento fondamentale per la prevenzione della povertà educativa, è stato istituito un Fondo nazionale destinato a finanziare le ristrutturazioni e la messa in sicurezza edilizia, le spese di gestione e la formazione del personale.
Le leggi di bilancio per il 2021 (legge n. 178/2020) e per il 2022 (legge n. 234/2021) hanno disposto inoltre un importante incremento della dotazione annuale del Fondo di solidarietà comunale, destinato allo svolgimento di alcune funzioni fondamentali in ambito sociale, tra cui gli asili nido. In particolare, è prevista la costruzione di nuove strutture e un incremento dei posti più consistente nei Comuni che hanno maggiori carenze. I servizi alla prima infanzia, inoltre, sono stati inclusi nei livelli essenziali delle prestazioni, con un minimo del 33% di posti da garantire per i bambini sotto i tre anni entro il 2027.
Anche il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) ha stanziato importanti risorse per l’ampliamento dei servizi educativi da 0 a sei anni. Rappresenta dunque una grande occasione per colmare le carenze del sistema e i differenziali di opportunità legati al luogo e alle condizioni di nascita dei bambini, oltre che per migliorare ulteriormente l’offerta già garantita dalle Amministrazioni locali più virtuose.
Sul versante del sostegno economico alla domanda, dal 2017 è stato introdotto il “Bonus asilo nido”, un contributo a rimborso delle spese sostenute dalle famiglie per la frequenza del nido. Oltre a incentivare l’utilizzo del servizio, il bonus statale persegue anche una importante funzione perequativa delle diseguaglianze territoriali e socioeconomiche delle famiglie.
Complessivamente l’importo erogato dall’INPS alle famiglie è stato di 241 milioni nel 2019, 197 milioni nel 2020 e 394 milioni di euro nel 2021.
I beneficiari del “bonus asilo nido” nel 2020 sono stati 272mila, pari al 21,1% della popolazione dei bambini sotto i tre anni. Rispetto al 2019 si registra un calo dei percettori del contributo (quasi 18mila in meno) e soprattutto la riduzione dei mesi di frequenza del nido. Infatti, per effetto delle chiusure dei servizi durante la pandemia e per la rinuncia delle famiglie per il timore del contagio, si riscontra un calo del numero medio di rate percepite e, quindi, dell’importo medio annuo erogato per beneficiario.
Nel 2021 si registra una nuova crescita nell’utilizzo del contributo che porta al 24,2% la quota dei beneficiari sui residenti sotto i tre anni.
FIGURA 2. SPESA DEI COMUNI E DELL’INPS PER I SERVIZI EDUCATIVI PER LA PRIMA INFANZIA PER 100 BAMBINI DI 0-2 ANNI, PER REGIONE. Anno 2020, valori in euro
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Frequenza dei nidi di nuovo quasi ai livelli pre-pandemia
La ripresa di una più regolare e continua frequenza dei nidi nel 2021 riporta il numero medio di rate percepite per beneficiario quasi al livello del 2019: 6,3 mensilità per bambino (contro 4,6 nel 2020 e 6,4 nel 2019). L’importo medio annuo recupera quindi ampiamente il calo del 2020 (1.301 euro per beneficiario nel 2021, rispetto a 725 euro nel 2020 e a 833 nel 2019), anche per effetto dell’incremento del tetto massimo erogabile.
Le risorse erogate con il bonus risentono degli squilibri esistenti nella dotazione di servizi sul territorio e pertanto risultano destinate in maggior misura dove l’offerta è più consistente. Di conseguenza le famiglie residenti nelle aree più svantaggiate beneficiano di minori risorse pubbliche, sia per la minore spesa dei Comuni e delle amministrazioni locali, sia per le più basse possibilità di intercettare la misura di sostegno statale.
Negli ultimi anni i beneficiari del bonus sono aumentati in tutte le ripartizioni geografiche, mantenendo però un andamento correlato alla disponibilità di posti nei nidi. Nel 2021 la quota di bambini sotto i tre anni che percepiscono il bonus varia dal 32,0% del Centro al 16,2% del Sud. Allo stesso modo varia l’allocazione delle risorse percepite: dai 403 euro per bambino residente al Centro si passa a 391 euro al Nord-ovest, 354 al Nord-est, 229 le Isole, fino a 172 euro al Sud.
Al Centro-nord i beneficiari del bonus sono in numero inferiore a quello dei posti disponibili e pertanto esistono ulteriori potenzialità di utilizzo della misura statale. Al Mezzogiorno invece i bambini che hanno percepito il bonus nel corso del 2020 sono stati leggermente al di sopra dei posti disponibili al 31 dicembre dello stesso anno, evidenziando ulteriormente il vincolo dovuto alla carenza strutturale di nidi. In quest’area è peraltro particolarmente diffuso il fenomeno dell’iscrizione anticipata alla scuola d’infanzia, che presenta in generale costi più contenuti ma non risulta adeguata alle specifiche esigenze dei bambini sotto i tre anni e non consente la fruizione del bonus.
Per sfruttare dunque pienamente le potenzialità perequative del contributo bisognerà aspettare la realizzazione dei progetti di ampliamento dell’offerta nelle aree più svantaggiate, soprattutto grazie agli investimenti previsti dal PNRR.
FIGURA 3. BENEFICIARI DEL BONUS “ASILO NIDO” PER 100 BAMBINI DI 0-2 ANNI, PER RIPARTIZIONE GEOGRAFICA. Anni 2018-2020, valori percentuali
Solo un calo leggero della spesa dei Comuni nell’anno dell’emergenza sanitaria
Come per i percettori del bonus asilo nido, anche per gli iscritti dei nidi comunali o privati convenzionati con i Comuni si registra un calo che è pari all’8,7% nel 2020/2021 rispetto al precedente anno educativo. Un decremento delle iscrizioni ancora più marcato (-36,3%) si riscontra per i servizi integrativi per la prima infanzia, che accolgono solo il 5% dell’utenza complessiva.
Nel 2020 i Comuni hanno impegnato 1 miliardo e 342 milioni di euro (-10,3% rispetto al 2019). La contrazione interessa in misura diversa le due componenti della spesa complessiva, ovvero la quota a carico dei Comuni e la parte rimborsata dalle famiglie come pagamento delle rette.
Per via della rigidità dei costi di gestione delle strutture educative, dovuta prevalentemente alle spese per il personale, la spesa a carico dei Comuni (al netto delle compartecipazioni) si è ridotta solo del 3,6%. È invece diminuita del 39,7% la quota pagata dalle famiglie, a causa dei mesi di chiusura e dei ritiri delle iscrizioni nel corso dell’anno.
Pertanto nelle casse dei Comuni, a fronte di una spesa per i servizi educativi di poco inferiore all’anno precedente, sono diminuite decisamente le entrate provenienti dalle rette (169 milioni contro i 280 dell’anno precedente). Di conseguenza la quota di spesa coperta dalla contribuzione delle famiglie passa dal 18,7% al 12,6%.
La rigidità della spesa è più marcata nel caso dei nidi a gestione diretta, dove la quota a carico dei Comuni diminuisce soltanto di 12,7 milioni (-1,7%), ma si riduce di 76,4 milioni la contribuzione degli utenti (-43%). Inoltre aumenta sensibilmente la spesa media comunale per utente (9.766 euro nel 2020), con un incremento di oltre 1.100 euro rispetto al 2019. Gli incrementi più consistenti si registrano al Nord-ovest (+1.695 euro) e al Sud (+1.257 euro medi per utente).
La spesa per i nidi a gestione indiretta invece rappresenta una componente più flessibile del bilancio comunale e quindi subisce una maggiore contrazione (-6,8%) a seguito del minor numero di mesi di attività delle strutture, mentre le entrate provenienti dalle rette calano del 38%. In valore assoluto la spesa a carico dei Comuni diminuisce di 18,8 milioni, a fronte di una minor contribuzione da parte degli utenti di 31 milioni. In questo caso la spesa media comunale per bambino iscritto si riduce leggermente passando da 5.041 euro del 2019 a 4.923 euro del 2020.
FIGURA 4. SPESA DEI COMUNI PER I SERVIZI SOCIO-EDUCATIVI PER LA PRIMA INFANZIA. Anni 2004-2020, valori percentuali e milioni di euro
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Molte criticità ma anche tante modalità di adattamento dovute al Covid-19
Una sezione aggiuntiva dell’Indagine ha raccolto informazioni riguardo le criticità affrontate e le misure adottate dai Comuni durante l’anno educativo 2020/2021 per l’emergenza Covid-19.
Il principale problema riscontrato dai Comuni che offrono il servizio è stato l’aumento dei costi di gestione, segnalato dal 74% dei Comuni. Questo aspetto è evidenziato soprattutto dai Comuni del Nord (l’81%), meno da quelli del Centro (60%) e del Mezzogiorno (48%). Si segnalano inoltre difficoltà legate al ritiro dei bambini iscritti (45%), al calo delle iscrizioni e alla carenza di risorse economiche (37%). Il 29% dei Comuni ha riscontrato difficoltà da parte delle famiglie a pagare le rette.
Molte anche le difficoltà organizzative: riorganizzazione del lavoro delle sezioni per mantenere gruppi stabili (43%), gestione dei servizi in presenza di casi Covid accertati (35%), insufficienza di personale (23%), difficoltà di approvvigionamento di materiali, prodotti e dispositivi di protezione individuale (14%), insufficienza degli spazi disponibili in relazione al numero di iscrizioni (11%), esubero di personale (4%). Infine, il 39% dei Comuni ha dichiarato criticità nella gestione delle relazioni con i genitori.
Per garantire lo svolgimento dei servizi gran parte dei Comuni ha adottato misure e riadattamenti organizzativi, come la rimodulazione degli spazi disponibili (82%) e l’adozione di orari di ingresso e uscita scaglionati (68%). Per adattare l’offerta del servizio ai vincoli dell’emergenza sanitaria, soprattutto al Nord sono state implementate migliorie quali formazione del personale (75%), acquisto di nuovi materiali educativi (40%), predisposizione di nuovi strumenti a supporto di attività individuali (58%), attivazione di canali straordinari per il contatto con le famiglie e la consulenza pedagogica (46%). Solo il 35% ha potuto assumere nuovo personale e il 7% ha acquisito spazi aggiuntivi.
Meno di un terzo dei Comuni ha dovuto invece rivedere l’offerta in senso restrittivo, riducendo il numero dei bambini accolti (27%) o l’orario di apertura (21%), limitando il numero delle sezioni (10%) o con la chiusura del servizio mensa (10%), adottata maggiormente dai Comuni del Sud (27%).
Il 40% dei Comuni che hanno affidato la gestione dei nidi di propria titolarità a soggetti terzi ha apportato modifiche ai contratti stipulati con gli enti gestori.
Nel complesso i Comuni che hanno segnalato maggiori criticità legate alla pandemia sono quelli con maggiore ampiezza demografica, o che gestiscono direttamente i servizi (con personale proprio), ma anche quelli che sostengono una spesa più alta per questo tipo di servizi. Tuttavia gli stessi Comuni hanno anche adottato più misure per adattare l’offerta ai vincoli dell’emergenza sanitaria.
Il 91% dei Comuni più grandi ha rimodulato gli spazi disponibili, l’84% ha provveduto alla formazione del personale, il 69% ha predisposto materiale a supporto delle attività individuali, il 58% ha attivato canali straordinari per il contatto con le famiglie e la consulenza pedagogica, contro quote decisamente inferiori dei Comuni più piccoli (rispettivamente 72%, 63%, 43% e 31%).
FIGURA 5. MISURE ADOTTATE dai nidi pubblici e privati all’apertura DELL’ANNO EDUCATIVO 2020/2021. Valori percentuali
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Glossario
Compartecipazione degli utenti: entrate in conto corrente di competenza, accertate dal Comune o dall’ente associativo che eroga il servizio per le rette pagate dagli utenti quale corrispettivo del servizio fruito nell’anno di riferimento.
Ente associativo: comprende tutte le forme giuridiche attraverso le quali i Comuni possono esercitare le proprie funzioni in forma associata (Unioni di Comuni, Consorzi, Comprensori, Comunità montane, ecc.).
Indicatore di presa in carico degli utenti: numero di utenti per 100 bambini tra 0 e due anni.
Nido: Servizio rivolto alla prima infanzia (0-36 mesi), finalizzato a promuovere lo sviluppo psico-fisico, cognitivo, affettivo e sociale del bambino e ad offrire sostegno alle famiglie nel loro compito educativo, aperto per almeno cinque giorni a settimana e almeno 6 ore al giorno per un periodo di almeno 10 mesi all’anno. Rientrano sotto questa tipologia: i nidi, i micronidi (nidi di dimensioni ridotte e con maggiore flessibilità, dimensionati secondo le singole disposizioni normative regionali), i nidi aziendali, ossia i servizi destinati all’accoglienza dei figli dei dipendenti di una determinata azienda, o gruppi di aziende (interaziendali), le sezioni primavera, ovvero sezioni all’interno delle scuole dell’infanzia, che ospitano bambini da 24 a 36 mesi.
Servizi integrativi per la prima infanzia: comprendono i servizi educativi realizzati in contesto domiciliare (ad esempio i servizi di “Tagesmutter”o Nidi famiglia), gli Spazi gioco e i Centri bambini-genitori.
Servizio socio-educativo a titolarità privata: unità di offerta di servizio socio-educativo in cui il titolare del funzionamento è un Ente di diritto privato. L’Ente titolare è il soggetto referente e responsabile del servizio e delle prestazioni.
Servizio socio-educativo a titolarità privata con riserva di posti: unità di offerta di servizio socio-educativo in cui il titolare del funzionamento è un Ente di diritto privato e l’attività di gestione è caratterizzata dal convenzionamento operato con uno o più Comuni. Il convenzionamento è finalizzato alla messa a disposizione di un determinato numero di posti in favore dei residenti. Gli utenti e le spese indicati sotto questa voce sono relativi alle quote pagate dai Comuni per i propri residenti, fruitori del servizio.
Servizio socio-educativo a titolarità privata senza riserva di posti: unità di offerta di servizio socio-educativo in cui il titolare del funzionamento è un Ente di diritto privato, che usufruisce di contributi pubblici occasionali o continuativi, a parziale copertura dei costi di gestione, finalizzati a contenere l’importo delle rette. Le spese indicate sotto questa voce sono relative alle quote pagate dai Comuni per i servizi resi ai propri residenti.
Servizio socio-educativo a titolarità pubblica: unità di offerta di servizio socio-educativo in cui il titolare del funzionamento è un Ente di diritto pubblico (solitamente un Comune). L’Ente titolare è il soggetto referente e responsabile del servizio e delle prestazioni.
Servizio socio-educativo comunale: unità di offerta di servizio socio-educativo in cui il titolare del funzionamento è un Comune.
Servizio socio-educativo comunale a gestione diretta: unità di offerta di servizio socio-educativo in cui il Comune è titolare del servizio e si fa carico interamente della sua conduzione; il personale è assunto direttamente dal Comune, che ricorre in via residuale a prestazioni socio-educative appaltate esternamente e solo per prestazioni sostitutive e integrative di supporto.
Servizio socio-educativo comunale a gestione affidata a terzi: unità di offerta di servizio socio-educativo in cui il Comune mantiene la titolarità del servizio, affidando la gestione operativa ad un soggetto terzo. Al soggetto gestore sono demandati i compiti operativi e di titolarità organizzativa della gestione nel rispetto delle forme contrattuali e delle caratteristiche qualitative richieste dall’Ente (i requisiti degli affidatari sono individuati dai Comuni titolari, conformemente alla normativa nazionale e regionale vigente).
Sezione primavera: servizio educativo per bambini di età compresa tra i 24 e i 36 mesi, disciplinato dall’art. 1 comma 630 della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Legge finanziaria 2007) e relativi accordi ed intese, da intendersi come servizio socio – educativo integrativo e aggregato alle strutture delle scuole di infanzia e dei nidi di infanzia autorizzati ai sensi della normativa vigente allo svolgimento di attivita’ educative o di insegnamento.
Spesa dei Comuni singoli o associati: spesa in conto corrente di competenza impegnata nell’anno di riferimento per l’erogazione dei servizi, al netto della compartecipazione degli utenti.
Totale spesa impegnata: spesa in conto corrente di competenza impegnata nell’anno di riferimento per l’erogazione dei servizi, al lordo della compartecipazione degli utenti.
Utenti: numero di bambini iscritti al 31 dicembre dell’anno di riferimento.
Nota metodologica
La rilevazione sui “nidi e servizi integrativi per la prima infanzia”
Introduzione e quadro normativo
La rilevazione sui “nidi e servizi integrativi per la prima infanzia” è stata avviata dall’Istat nel 2011, con l’obiettivo di approfondire con uno specifico questionario i dati su questo tipo di servizi, già rilevati precedentemente nell’ambito della rilevazione statistica sugli “interventi e servizi sociali dei Comuni singoli e associati”.
Entrambe le indagini sono inserite nel Piano Statistico Nazionale 2020-2022 (codici IST-02647 e IST-01181), approvato con DPR 9 marzo 2022.
La rilevazione dei dati è svolta in collaborazione con la Ragioneria Generale dello Stato, quindi il Ministero dell’Economia e delle Finanze, con la partecipazione della maggior parte delle regioni (Piemonte, Liguria, Veneto, Lombardia, Emilia-Romagna, Friuli Venezia Giulia, Toscana, Umbria, Marche, Basilicata, Puglia, Sicilia) e della Provincia autonoma di Trento.
A dicembre 2021, inoltre, è stato siglato un secondo accordo di collaborazione triennale fra l’Istat, il Dipartimento delle politiche per la Famiglia e l’Università di Venezia Ca’ Foscari, per rafforzare la produzione, la diffusione e l’analisi dei dati sui servizi educativi per l’infanzia. I dati riferiti all’anno educativo 2020/2021 rientrano nella prima annualità del suddetto accordo.
La programmazione dei servizi socio-educativi per la prima infanzia è di competenza regionale, mentre ai Comuni singolarmente o in forma associata sono assegnate le funzioni gestionali sui nidi e sui servizi sociali. La fornitura dei servizi, pur rimanendo di titolarità comunale, è spesso affidata ad enti o associazioni private.
L’obiettivo dei Comuni è quello di fornire un’offerta adeguata, sia in relazione alla soddisfazione della domanda di servizi da parte del proprio bacino d’utenza, sia per raggiungere i parametri fissati nel contesto delle politiche di welfare nazionale ed europeo.
Importanti prospettive di cambiamento nel quadro istituzionale di riferimento si delineano con l’introduzione del Decreto legislativo n. 65, del 13 aprile 2017 (“Istituzione del sistema integrato di educazione e di istruzione dalla nascita sino a sei anni”). Con questo decreto si sono poste le basi per far uscire i servizi educativi per l’infanzia dal comparto assistenziale e farli entrare a pieno titolo nella sfera educativa, garantendo così la continuità del percorso educativo dalla nascita fino ai sei anni di età. Il nuovo sistema integrato di educazione e istruzione, indirizzato e coordinato dal Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca, ha fra i principali obiettivi lo sviluppo delle potenzialità di relazione, autonomia, creatività, apprendimento delle bambine e dei bambini, in un adeguato contesto affettivo, ludico e cognitivo, garantendo così pari opportunità di educazione e di istruzione, di cura, di relazione e di gioco, favorendo anche il superamento delle disuguaglianze e barriere territoriali, economiche, etniche e culturali.
Unità di rilevazione e di analisi
L’unità di rilevazione dell’indagine è costituita dai Comuni singoli, dalle loro associazioni e da tutti gli enti che contribuiscono all’offerta di servizi per delega da parte dei Comuni: consorzi, comprensori, comunità montane, unioni di Comuni, ambiti e distretti sociali, Asl e altre forme associative, per un totale di circa 9mila enti.
L’aggiornamento delle liste di riferimento viene fatto ogni anno all’avvio della nuova rilevazione con il supporto delle Regioni compartecipanti. Inoltre, nel corso della rilevazione si acquisiscono informazioni fondamentali sull’assetto organizzativo dei servizi sul territorio, quindi sugli enti oggetto di rilevazione: la piattaforma informatica dell’indagine raccoglie informazioni sull’istituzione di nuovi enti associativi e sulla loro composizione, sulle cessazioni o il ritiro delle deleghe per i servizi da parte dei Comuni.
Le principali unità di analisi sono i Comuni e le loro forme associative, cui sono riferiti i dati sulle unità di offerta attive e sulle attività realizzate nell’anno: il numero degli utenti serviti e le spese sostenute per garantire tale offerta secondo le varie forme di gestione.
Vi sono inoltre le singole unità di offerta attive sul territorio, rispetto alle quali si rileva la natura giuridica (pubblica/privata) la tipologia del servizio, il numero dei posti autorizzati al funzionamento. Il conteggio e le caratteristiche delle unità di offerta vengono poi riferiti ai Comuni e alle altre partizioni del territorio.
La raccolta delle informazioni
I dati vengono raccolti annualmente via web, attraverso una piattaforma accessibile a tutti i Comuni e le associazioni di Comuni che concorrono all’offerta pubblica dei servizi sociali.
I referenti di ciascun Comune ed ente associativo compilano sulla piattaforma informatica due questionari: uno per l’insieme degli interventi e servizi sociali offerti a livello locale, uno riferito ai soli servizi socio-educativi per la prima infanzia. Attraverso apposite utenze di supervisione le Regioni e Province Autonome compartecipanti possono monitorare l’andamento e la qualità delle rilevazioni in corso.
Il questionario “asili nido” approfondisce diversi aspetti dell’offerta: le spese dei Comuni e degli enti associativi per i servizi erogati, la numerosità degli utenti, sia al 31.12 di ciascun anno che nell’arco dell’anno educativo, le compartecipazioni alla spesa pagate delle famiglie, le forme di gestione attraverso le quali si realizza l’offerta pubblica sul territorio.
A partire dalla rilevazione riferita al 2012/2013 l’indagine sui nidi e i servizi integrativi è stata ulteriormente ampliata con l’introduzione del Censimento annuale delle unità di offerta dei servizi socio-educativi per la prima infanzia pubblici e privati: i Comuni, in qualità di enti che autorizzano il funzionamento delle strutture, provvedono ad aggiornare annualmente l’elenco dei servizi attivi sul proprio territorio, indicando la tipologia, la natura giuridica del titolare e il numero di posti autorizzati per ciascun servizio. Questo importante ampliamento della rilevazione ha permesso di quantificare per la prima volta in tutta Italia l’offerta pubblica e privata di servizi di cura per i bambini da 0 a due anni.
Per l’anno educativo 2020/2021 il tasso di risposta all’indagine da parte dei Comuni e degli enti associativi è stato dell’75% a livello nazionale.
L’elaborazione dei dati
I dati raccolti via web vengono elaborati e validati dall’Istat sulla base di un dettagliato piano di controlli sulla coerenza delle informazioni. I controlli riguardano principalmente la congruità delle spese, delle strutture presenti sul territorio e degli utenti serviti in relazione ai dati degli anni precedenti e alle dimensioni demografiche degli enti di rilevazione, inoltre occorre valutare la coerenza del rapporto fra spese impegnate e numerosità degli utenti, in relazione al tipo di servizio e alle modalità di gestione, la coerenza fra il numero di bambini accolti nei servizi pubblici o privati convenzionati e la capienza delle strutture censite sul territorio per la relativa tipologia di servizio e natura giuridica. Molti dei controlli effettuati in fase di elaborazione sono già stati sottoposti ai rispondenti in fase di compilazione del questionario. Sulla base delle risposte fornite dai rispondenti su ogni specifica anomalia segnalata dall’applicativo, i dati vengono talvolta ritenuti accettabili (entro determinati parametri di normalità), altre volte corretti previo contatto con i referenti o sottoposti a procedure di stima degli utenti o delle spese. Le procedure di stima delle mancate risposte parziali si basano sulle mediane del rapporto fra numero di utenti e valore della spesa per ciascun servizio, calcolate a livello regionale sui dati validati dell’anno precedente.
Le stime per mancate risposte totali sono basate interamente sui dati validati dell’anno precedente.
Dall’anno di riferimento 2013, per arricchire ulteriormente le informazioni rese disponibili in questo settore, tutti i dati raccolti vengono diffusi anche a livello di singolo Comune, attraverso il data warehouse I.stat.
A causa della natura associativa del fenomeno, per raggiungere il livello di disaggregazione comunale è stato necessario introdurre una componente di stima: qualora un ente associativo abbia erogato servizi per la prima infanzia, la numerosità degli utenti e le spese relative a tali servizi vengono ripartiti fra i singoli Comuni che ne fanno parte in misura proporzionale alla popolazione di 0-2 anni residente in ciascun Comune . I dati riferiti ai Comuni, pertanto, sono ottenuti sommando i dati rilevati direttamente presso i comuni e le quote provenienti dagli enti associativi di appartenenza. Nei dati diffusi sul data warehouse I.stat è disponibile, per ciascun Comune e per ciascuna tipologia di spesa riportata, l’informazione sulla quota di spesa stimata, ovvero attribuita al Comune per competenza territoriale ma gestita da uno o più enti associativi di appartenenza.
La diffusione dei dati dell’indagine
I dati raccolti con l’indagine vengono diffusi annualmente dall’Istat attraverso il data warehouse I.stat. I dati sono disponibili per Comune, per Ambito Territoriale sociale (ATS), per provincia, per regione e per ripartizione geografica.
Le informazioni diffuse riguardano da un lato l’offerta comunale dei servizi nelle sue varie sfaccettature: tipo di servizio, tipo di gestione, rapporto fra spesa e popolazione residente di 0-2 anni, utenti per 100 bambini residenti, dall’altro lato si rendono disponibili i dati sulle unità di offerta pubbliche e private attive sul territorio, per tipo di servizio, natura giuridica del titolare del servizio, numerosità dei posti autorizzati al funzionamento in valore assoluto e in rapporto ai bambini di 0-2 anni residenti nel dominio di riferimento del dato.
Una serie di tavole statistiche aggregate per regione e ripartizione geografica accompagna inoltre la statistica report diffusa ogni anno sull’argomento.
Alcuni indicatori tratti dall’indagine sono consultabili, infine, nell’ambito di vari sistemi tematici: Noi Italia, rapporto sul BES.
Banche dati e sistemi tematici
I.STAT: il data warehouse dell’ISTAT: http://dati.istat.it/PubblicaAmministrazione.Stat: http://dati.statistiche-pa.it/Avvertenza sui dati comunali
Occorre osservare che i dati riferiti ai singoli Comuni presentano un certo grado di approssimazione, non solo per la quota parte stimata della gestione in forma associata, ma anche per via di forme associative meno strutturate: ad esempio due Comuni limitrofi possono stipulare una convenzione, in base alla quale il comune sprovvisto di nido offre ai propri residenti l’accoglienza presso il nido dell’altro Comune, a cui trasferisce una cifra pattuita. Poiché gli utenti oggetto di convenzioni non vengono modificati dalle procedure di stima, che si limitano a ripartire fra i Comuni l’offerta realizzata dagli enti associativi previsti dall’assetto territoriale della programmazione regionale, può accadere che un Comune apparentemente sprovvisto di utenti e di spese abbia in realtà garantito ai propri residenti l’accoglienza nel Comune limitrofo attraverso una convenzione. In questo caso la presenza del servizio risulta garantita da entrambi i Comuni (anche ai fini degli indicatori di copertura), mentre gli utenti e le spese risultano interamente riferiti al Comune titolare del servizio.
