
La Bee Hive Lodge No. 2809, sotto l’egida della United Grand Lodge of England, fondata nel 1900, è una Loggia che porta un nome ricco di significato simbolico e spirituale. L’”Alveare” (Bee Hive), oltre a richiamare l’operosità e l’armonia della natura, è un potente archetipo presente in molte tradizioni religiose, filosofiche e iniziatiche. Questo scritto si propone di esplorare le radici profonde del simbolismo dell’alveare, delle api e del miele, sia nella Tradizione cristiana che nella Libera Muratoria, mettendone in luce i molteplici significati spirituali, morali e rituali.
Dall’antichità al mondo celtico, dalla mistica medievale fino alla moderna simbologia massonica, l’alveare ha rappresentato l’ideale di una società ordinata, laboriosa, unita da leggi interiori e guidata da un senso più alto della vita comunitaria. In questa prospettiva, l’alveare diventa immagine dell’anima collettiva, dell’operosità silenziosa e della tensione verso il divino. Questo contributo intende dunque offrire uno sguardo simbolico, storico e spirituale su una delle immagini più affascinanti della Tradizione iniziatica.
BEE HIVE LODGE No. 2809 UNITED GRAND LODGE OF ENGLAND (Consacrata il 16 giugno, 1900)
Londra, 25 gennaio 2025
IL SIMBOLISMO DELL’’ALVEARE’ NELLA LIBERA MURATORIA E NELLA TRADIZIONE CRISTIANA
Questa storica Loggia londinese, della quale mi onoro di essere membro, ha un nome che evoca un’importante simbologia radicata nel mondo della Tradizione e dell’esoterismo cristiano, Bee Hive, ossia ‘Alveare’.
L’alveare, le api, il miele, sono stati utilizzati simbolicamente in tutte le società antiche. La prima attestazione dei rapporti tra l’ape e l’uomo che riguardi questo prezioso nettare risale addirittura al neolitico (9.000 anni fa circa): si tratta di una grotta in Spagna, Cueva de la Araña, sulle cui pareti è raffigurato un nido di api e un cacciatore di miele.
Nella mitologia greca le api rappresentavano le messaggere delle muse. In una commedia di Aristofane ambientata ad Atene, durante il secondo giorno delle Tesmoforie, una festa riservata alle donne e dedicata alle dee Demetra e Persefone, le donne chiamate “Melissai”, facevano astinenza sessuale per tre giorni, digiunavano e dormivano a terra su l’agnocasto, una pianta anafrodisiaca. Nell’Ippolito di Euripide, l’eroe offre ad Artemide una corona di fiori che proviene da un prato incontaminato, dove il pastore non osa pascolare il suo gregge e in cui solo l’ape può accedervi, in quanto luogo di grande purezza.
Presso i Celti il miele aveva un ruolo fondamentale, era utilizzato dai druidi per preparare i medicinali e l’idromele, bevanda sacra utilizzata durante molte cerimonie e matrimoni, ed erano soliti allevare le api in tronchi cavi o in alveari fatti di corde di canapa o paglia, al limitare delle foreste dove terminavano i campi coltivati e i pascoli.
I Celti consideravano le api messaggere degli Dei, simbolo di perfezione, saggezza e immortalità dell’anima, in quanto in possesso di una conoscenza segreta derivante direttamente dall’Altro mondo. Erano, per loro, creature associate alla conoscenza del futuro e all’ispirazione divina.
Le antiche leggi druidiche irlandesi erano note come le Leggi di Brehon, sotto di esse l’Irlanda conobbe un’epoca di democrazia e uguaglianza in cui il senso di giustizia era elevatissimo. Tali leggi proteggevano le api e gli alveari e sull’isola di Man rubare api era considerata un’offesa capitale. L’alveare stesso era il simbolo di una comunità ideale e questa immagine di perfezione era riproposta nelle tombe-alveari o nelle camere iniziatiche. Alcuni esempi di queste strutture li possiamo trovare a Newgrange e a Dowth.[1]
Durante i recenti lavori di ristrutturazione, è stato scoperto un Alveare nella famosa cappella di Rosslyn. Si trovava all’interno di un pinnacolo del tetto che era stato scavato dai muratori a questo scopo. Le Api entravano attraverso un foro in un fiore decorativo sul pinnacolo. È interessante notare che la sua costruzione non consentiva l’estrazione del miele. L’unico scopo sembra essere stato quello di proteggere le api dalle intemperie della regione.
L’Alveare
Riguardo la simbologia dell’alveare, o arnia, essa è stata in passato adottata come ideogramma della vita comune, regolata saggiamente, tranquilla e fruttuosa, sotto il governo di un capo unico, per il fatto stesso che essa ripara lo sciame, e che questo trova le condizioni di vita necessarie affinché possa adempiere alla sua opera di vita e di lavoro con l’allevamento dei piccoli e la produzione di miele. A Delfi e ad Efeso i sacerdoti e le sacerdotesse portavano il nome di “Ape” ed i loro collegio quello di “Arnia”, Hyron. Sul tema, Charbonneau-Lassay ricorda come nel Medioevo, in Francia:
Per la stessa ragione, alcuni grandi monasteri assunsero un nome derivato dalla vita delle api, per esempio l’abbazia cistercense di Melleray, alla Meillaraie-de-Bretagne, diocesi di Nantes, le cui armi sono ancora: d’azzurro all’arnia d’argento, accompagnata da tre api dello stesso.[2]
E di seguito:
Anche la Chiesa terrestre, il cui capo è il Papa, è stata emblematicamente paragonata all’arnia. In essa, grazie alle cure e sotto la generale autorità del supremo Pontefice, deve conservarsi il sacro insegnamento, il cui emblema è il miele, e precisata la disciplina che, per mandato emanato da lui, pine ciascuno al suo posto nella società cristiana… Secondo un’altra simbolica che si avvicina a quella dell’Arca di Noè, l’arnia è stata ancora una volta ricollegata al Salvatore del mondo in quanto è in Lui che le anime cristiane, api mistiche, trovano il salutare riparo, la pace, l’aiuto spirituale, e il nutrimento confortante dati dalla “scienza delle cose di Dio”.[3]
Il Miele
Il miele è simbolicamente considerato emblema di purezza e verità, esso infatti non necessita di alcuna manipolazione dopo la sua raccolta, dopo la quale rimane inalterabile. Simbolo di pace, nel Deuteronomio (26, 9) leggiamo che la terra promessa è “un paese dove scorre il latte e il miele”, e nell’Ecclesiaste (XI, 3), Salomone dice: “E’ il più piccolo degli esseri che volano, eppure il suo miele supera in dolcezza qualsiasi cosa”.
In Egitto un mito narra che il dio del Sole Ra, sparse le sue lacrime al suolo trasformandole in api: così nacque il miele, fondamentale per la preparazione degli unguenti.
Molti iniziati narrano di essere stati nutriti di miele durante le loro infanzia, come Zeus, che sua madre affidò dopo la morte alla capra Amaltea, alle api nutrici del monte Ida che distillarono il miele per lui, e regalarono al futuro padrone del mondo questa sostanza vietata agli uomini.[4]
Anticamente tra le sue molteplici qualità si credeva che esso allontanasse i demoni, in Isaia (7, 15) si legge: “Egli mangerà panna e miele, finché non imparerà a scacciare il male e prediligere il bene”.
Gli alchimisti usano il miele nella fase dell’Opera detta Cibazione, per scongiurare la putrefazione della Materia; tale pratica derivava dall’uso che di queste sostanze facevano gli antichi per impedire la corruzione dei cadaveri. Con il termine “Miele” gli Ermetisti indicano anche l’Acqua Forte o Aceto, per la dolcezza che essa procura a chi riesce a ottenerla.[5]
L’Alveare, le Api e il Miele nella Tradizione cristiana
“Fin dai primordi, l’uomo ha ovunque considerato l’ape uno dei più bei doni di Dio: i santi Ispirati ed i Poeti l’hanno cantata in tutte le lingue, i meditatori si sono estasiati davanti alla sua saggezza, alla sua legislazione, alla sua attività, alla perfezione della sua industria”: così lo storico e archeologo francese Louis Charbonneau-Lassay (1861-1946) introduce lo studio sulla simbologia dell’alveare e dell’ape nel suo monumentale Il Bestiario di Cristo, la più alta fonte esistente di simbologia cristologica.[6] Il genere letterario ha le sue origini verso il II secolo dopo Cristo con un testo anonimo redatto in greco antico, il Fisiologo. Il testo fu oggetto di numerose traduzioni e diede la nascita, nel medioevo ai Bestiari. Si videro anche sviluppate opere enciclopediche e la tematica si avvicinò sempre più a quella delle scienze naturali. Di qui la speranza di Louis Charbonneau-Lassay di operare per un ritorno al simbolismo puro, più conforme allo spirito della Chiesa.[7]
Il Bestiariodescrive, esaminandoli uno ad uno, come determinati animali, veri e fantastici, mitici e reali, siano stati utilizzati nell’iconografia medievale e storica in genere, per rappresentare metaforicamente la figura di Gesù Cristo, con eventuali riferimenti a tradizioni precedenti la venuta di Cristo. Charbonneau-Lassay inizialmente sottolinea la connessione del simbolo dell’ape e del miele nella Tradizione Indù e Ebraica con il Verbo divino, ed in generale con l’eloquenza ed il linguaggio arrivando infine alla Tradizione cristiana:
Anche i secoli cristiani ci presenteranno questo doppio simbolismo dell’eloquenza, indicato dall’oro e dal miele, nel soprannome Crisostomo, “bocca d’oro”, dato a Giovanni, l’illustre e santo vescovo di Costantinopoli, e in quello del doctor melifluus, o il “dotto mellifero”, attribuito a san Bernardo.[8]
E specificamente sull’ape in relazione al Cristo:
Basandosi sulle meravigliose pagine in cui Virgilio ha fatto omaggio alle perfezioni dell’ape, alcuni simbolisti hanno felicemente paragonato l’attività spirituale e incessante del Cristo nella sua Chiesa all’attività vivificante dell’ape madre nella sua arnia. Fervet apus, ha detto Virgilio, “il suo lavoro avanza attivamente”. Il paragone appare tanto più fondato in quanto Virgilio, come Aristotele, come tutti gli autori dell’Antichità, non parla mai dell’ape regina, ma del “re delle api”, sostenendo che l’intera arnia gli deve la propria esistenza, che l’ordine e la concordia che regnano nell’arnia sono opera sua, e che tutti lo circondano di grandi attenzioni… Ispirati furono i simbolisti che fecero dell’ape l’immagine del Cristo-Giudice che darà ai giusti le eterne dolcezze rappresentate dal miele, ed agli altri l’asprezza meritata dei castighi simbolizzati dalla puntura dolorosa dell’ape. L’antico ermetismo dava al serafino, ministro della giusta severità del Cristo, il nome ebraico di Jéhudel: “il Pungiglione di Dio”… Infine si fece dell’ape anche l’emblema del Cristo, luce del mondo, come lo indica da un punto all’altro il Vangelo di san Giovanni. “Come il Cristo… – dice un bestiario armeno – l’ape diffonde la luce del mondo”. Qui, c’è anche un’allusione alla cera, che fu e che resta uno dei simboli liturgici del Salvatore maestro.[9]
Il simbolo dell’alveare è collegato da Charbonneau-Lassay alla Virtù Teologale della Speranza, basata sulle promesse divine. Tramite essa, il cristiano trova la forza di sopportare e di utilizzare spiritualmente le prove dell’esistenza per raccogliere in seguito i beni che ne sono la ricompensa, e di cui l’alveare, dal quale si raccoglie il miele, è l’immagine emblematica. Sin dal XIII secolo Thomas de Cantimpré, ne Il Bene universale delle Api, ispirato alla Vie des Abeilles di Alberto Magno, sviluppò un parallelo tra l’alveare e la società cristiana.
Per le sue caratteristiche l’ape è stata avvicinata agli emblemi della saggezza, dell’ordine e della concordia, e cristianamente le è stata attribuita in particolare la virtù della Giustizia, che contiene le precedenti caratteristiche. Nell’araldica nobiliare del Medioevo è stata utilizzata come immagine di purezza morale.
Nella Tradizione cristiana, grazie alla penna di san Tommaso d’Aquino, la liturgia latina ha ufficialmente consacrato il miele a simbolo dell’Eucaristia, prendendo come Introito della Messa del Santo Sacramento le parole: “Cibavit eos ex adipes frumenti, et de la petra melle salutavit eos”, “Li ha nutriti con la migliore sostanza del frumento, li ha saziati col miele della pietra”, una trasposizione del Salmo LXXXI (17) nel quale David attribuisce al Signore che si rivolge al suo popolo le parole: “Li nutrirò col fiore del frumento e li sazierò col miele della roccia”, così Charbonneau-Lassay:
Questo bellissimo simbolismo fu utilizzato in tutte le epoche del cristianesimo da un gran numero di autori. Nel III secolo, il lapicida d’Autun, che incise la pietra funeraria di Pectorius, pensando all’Eucaristia vi tracciò le parole: “Carissimo, rallegra la tua anima con l’acqua che sempre sgorga dalla saggezza che dà tesori. Ricevi questo alimento, dolce come il miele del Salvatore dei Santi, e gusta con delizia, tenendo il Pesce (Il Cristo) tra le tue mani…”. Ricordiamoci anche che sant’Ippolito prescriveva di dare ai comunicandi tre alimenti: prima una coppa d’acqua, poi del miele e infine una coppa di vino, “il tutto consacrato”.[10]
Nella simbologia cristiana Sant’Ambrogio è talvolta rappresentato come un vescovo mitrato con il pastorale e un alveare ai suoi piedi, in quanto le sue parole erano “più dolci del miele”. La leggenda narra che il Santo da lattante si fosse addormentato accogliendo nella bocca uno sciame di api che cercavano rifugio e che fecero del suo palato un favo vivente. Quando esse ripresero il volo il bambino si svegliò intriso di santità. Laborioso come le api, di natura dolce e benevola, Sant’Ambrogio fu un servitore di Cristo e divenne il protettore degli apicultori. Si ritiene che l’ape nasconda una scintilla dell’intelligenza divina, inoltre l’ape, come il Cristo, non ha figli ma produce il miele e la cera da cui si creano le candele che creano dolcezza e luce.
Nella Tradizione ebraica la parola ape deriva dalla radice che significa “parola”, e indica la missione di questo insetto prezioso: rivelare la parola divina, la Verità. In alcune comunità ebraiche prima di inviare il bambino allo studio della Torah e del Talmud, dove apprendono l’alfabeto (alef-bet), le madri preparano dolci a base di Miele con la forma delle lettere dell’alfabeto, in modo da dare ai bambini un assaggio delle delizie della conoscenza.[11]
Nella Tradizione islamica leggiamo nel Corano (16, 71) “Dal ventre delle api esce un liquido di forme diverse che guarisce gli uomini”, simbolo quindi sia della panacea che della guarigione spirituale, mentre in India, nella tradizione puranica, costituita da un gruppo di testi sacri hindū, il miele indica solo il colore nero che è quello di Aishvarya, uno dei piedi del trono di Sadâshiva. Secondo altri testi indiani, è l’immagine dello spirito che si inebria del polline della conoscenza. In un’immagine poetica di bruciante desiderio, Kama, il dio hindū dell’amore, appare con una corda d’arco fatta di api. Nell’arte indù, Vishnu viene anche ritratto come un’ape posata su un loto e Shiva come un’ape sopra un triangolo.[12]
Nella Libera Muratoria
L’alveare rappresenta le virtù del duro lavoro e della perseveranza, ricordandoci l’importanza della dedizione in tutti gli aspetti della vita. Proprio come le api contribuiscono instancabilmente al benessere del loro alveare, i Liberimuratori sono incoraggiati ad applicarsi diligentemente, a beneficio non solo di se stessi ma anche della società nel suo insieme.
L’alveare è uno dei simboli più antichi nella Libera Muratoria perché insegna preziose lezioni di abnegazione al lavoro, di unità e di crescita personale, di amore reciproco ed amicizia. Rappresentando le virtù del duro lavoro e della perseveranza, il simbolo dell’alveare ci ricorda l’importanza della dedizione in tutti gli aspetti della vita. Proprio come le api contribuiscono instancabilmente al benessere del loro alveare, i Liberimuratori sono incoraggiati ad applicarsi diligentemente, a beneficio non solo di sé stessi ma anche del prossimo e della società nella sua interezza.
Il primo riferimento liberomuratorio conosciuto all’alveare si trova in un manoscritto intitolato A Letter from the Grand Mistress of the Female Free-Masons to Mr Harding the Printer, conservato nella Halliday Collection della Royal Irish Academy di Dublino. Si ritiene che questo documento sia stato redatto tra il 1727 e il 1730 e, sebbene originariamente attribuito a Jonathan Swift, il vero autore rimane sconosciuto. Così citano alcune parti del rituale:
A bee has in all Ages and Nations been the Grand Hierogliphick of Masonry, because it excells all other living Creatures in the Contrivance and Commodiousness of its Habitation or combe; … nay Masonry or Building seems to be of the very Essence or Nature of the Bee, for her Building not the ordinary Way of all other living Creatures, is the Generative Cause which produces the Young ones….
For this Reason the Kings of France both Pagans and Christians, always Eminent Free-Masons, carried three Bees for their Arms…
What Modern Masons call a Lodge was for the above Reasons by Antiquity call’d a HIVE of Free-Masons, and for the same Reasons when a Dissention happens in a Lodge the going off and forming another Lodge is to this Day call’d SWARMING.
La simbologia dell’alveare compare nella Libera Muratoria inglese sin dagli inizi della sua forma ‘moderna’, lo troviamo infatti nei simboli di Terzo Grado nella Tracing Board (Tavola di Tracciamento) della Royal Cumberland Lodge n. 41 di Bath, antichissima Loggia fondata nel 1732.[13] Il rituale della Royal Cumberland Lodge include il seguente riferimento al simbolo dell’alveare:
L’alveare ci insegna che come siamo nati al mondo esseri razionali e intelligenti, così dovremmo anche essere laboriosi e non restare inerti o guardare con indifferenza apatica anche le più meschine delle nostre creature in uno stato di difficoltà se è in nostro potere aiutarle senza danno per noi stessi o per le nostre relazioni; la pratica costante di questa virtù è ingiunta a tutti gli esseri creati, dal più alto Serafino in cielo al più meschino rettile che striscia nella polvere.
The Beehive teaches us that as we are born into the world rational and intelligent beings, so ought we also to be industrious ones, and not stand idly by or gaze with listless indifference on even the meanest of our fellow creatures in a state of distress if it is in our power to help them without detriment to ourselves or our connections; the constant practice, – of this virtue is enjoined on all created beings, from the highest Seraph in heaven to the meanest reptile that crawls in the dust.
Troviamo la simbologia dell’alveare anche nel bellissimo Master’s Carpet di Sherer, dove il simbolo è raffigurato nella terza sezione della lezione del Terzo Grado. Qui l’alveare ha un chiaro riferimento Cristiano, e sottolinea le tradizioni mariane e giovannee all’interno della Chiesa e il sacro femminile.
Nella raffigurazione di Sherer la Chiesa (alveare) è sostenuta e poggia sui quattro pilastri del Nuovo Testamento: Matteo, Marco, Luca e Giovanni. Il fiore solitario sotto l’alveare è un Dianthus. Chiamato così dal botanico greco Teofrasto, Dianthus significa “fiore di Dio”. Sulla sinistra l’alveare è circondato da cereali e margherite, che simboleggiano San Giovanni Evangelista. Sulla destra troviamo l’Iperico (Hypericum perforatum), comunemente noto anche col nome di erba di San Giovanni, una pianta officinale perenne semisempreverde che rappresenta San Giovanni Battista, insieme a due rose e un bocciolo di rosa che simboleggiano Maria Maddalena, la Vergine Maria e un bambino. Allegoricamente, la raffigurazione dell’alveare proposta da Sherer sembra ricordare la cattedrale di Notre Dame de Chartres in Francia.

Nel rituale americano Preston-Webb, l’alveare viene definito un simbolo di industria e cooperazione e come un avvertimento contro la pigrizia intellettuale, avvertendo che “chi si umilia in modo tale da non sforzarsi di aggiungere qualcosa al patrimonio comune di conoscenza e comprensione, può essere considerato un fuco nell’alveare della natura, un membro inutile della società e indegno della nostra protezione come massoni“.
[1] Jean Chevalier – Alain Gheerbran, Dizionario dei Simboli, Bur – Rizzoli, Milano, 1989.
[2] Louis Charbonneau-Lassay, Il Bestiario di Cristo, Arkeios, Roma, 1994, pag. 538.
[3] Louis Charbonneau-Lassay, Il Bestiario di Cristo, Arkeios, Roma, 1994, pagg. 539-540.
[4] Catherine Pont-Humbert, Dizionario dei simboli dei riti e delle credenze, Editori Riuniti, Roma, 1997, pag. 148.
[5] Luigi Trosi, Dizionario di Alchimia, Bastogi, Foggia, 1997, pag. 173.
[6] Louis Charbonneau-Lassay intratteneva stretti rapporti con due organizzazioni autenticamente cristiane a carattere iniziatico, fondate nel XV secolo. La prima si chiamava l’Estoile Internelle (La stella interiore) ed il numero dei suoi membri era (è?) limitato statutariamente a dodici, cooptati a vita, dovendo ciascuno di essi denominare il proprio successore prima di morire. Il Capo, all’inizio del XX secolo era il Canonico Barbot (1841-1927). In questa veste egli consegnò a Charbonneau Lassay, tra il 1925 e il 1927, alcuni documenti iconografici risalenti alle origini della fondazione della confraternita, allo scopo di facilitare le sue ricerche per il Bestiaire. La seconda confraternita, la Fraternité des Chevaliers du Divin Paraclet, diretta anch’essa dal canonico Barbot, con il titolo di Cavaliere Maestro era (è?) segreta come la prima però più aperta, nel senso che il numero dei componenti non ha limiti.Una specie di legame univa (unisce?) le due confraternite, come appare dalle lettere di Marcel Clavelle, al secolo Jean Reyor (1905-1988), aventi come soggetto il Paraclito. (René Guenon, La Teosofia, storia di una pseudo-religione, 1921.
[7] Jean-Pierre Brach, Louis Charbonneau-Lassay et le Bestiaire du Christ, Conferenza del 7-12-1996 a Loudun (chiesa collegiale di Sainte-Croix), in occasione delle commemorazioni del cinquantenario della morte di Louis Charbonneau-Lassay
[8] Louis Charbonneau-Lassay, Il Bestiario di Cristo, Arkeios, Roma, 1994, pag. 525.
[9] Louis Charbonneau-Lassay, Il Bestiario di Cristo, Arkeios, Roma, 1994, pagg. 526-527.
[10] Louis Charbonneau-Lassay, Il Bestiario di Cristo, Arkeios, Roma, 1994, pag. 547.
[11] Catherine Pont-Humbert, Dizionario dei simboli dei riti e delle credenze, Editori Riuniti, Roma, 1997, pag. 148.
[12] Jean Chevalier – Alain Gheerbran, Dizionario dei Simboli, Bur – Rizzoli, Milano, 1989.
[13] La Royal Cumberland Lodge n.41 è la più antica Loggia di Bath e dell’intera Provincia del Somerset. I suoi lavori si sono svolti senza soluzione di continuità dalla sua fondazione, nel dicembre 1732, ad oggi. Tutte le cerimonie dei vari Gradi sono fondate sui lavori del noto liberomuratore inglese Thomas Dunckerley, utilizzati per la prima volta nel 1786. Nel 1770 Thomas Dunckerley fu incaricato dalla Moderns’ Grand Lodge di compilare un rituale per tutti e tre i Gradi e si dice che completò il lavoro con soddisfazione di tutti i Fratelli. Nel 1784, come Provincial Grand Master, costituì una nuova Loggia a Bath. Prese il nome dal Duca di Cumberland che era stato eletto Gran Maestro nel 1782. Dunckerley fornì a questa nuova Loggia un rituale e degli statuti. Questi rituali sono utilizzati in Inghilterra solo da altre due Logge ambedue gemmate dalla Royal Cumberland Lodge, la Royal Albert Edward Lodge N. 906, e la, St Alphege Lodge N. 4095, entrambe si riuniscono a Bath.