
(AGENPARL) – Fri 18 July 2025 [Immagine che contiene testo Descrizione generata automaticamente]
Gli italiani in guerra? Il 16% pronto a combattere, il 19% diserterebbe, per il 26% meglio pagare mercenari stranieri
La spesa per la difesa è aumentata del 46% in dieci anni. Ma anche la Grecia spende più di noi: il 3% del Pil e 686 dollari per abitante (586 dollari l’Italia). E l’11% dei cittadini adesso vuole la bomba atomica
Roma, 18 luglio 2025 – Pacifisti, disertori e mercenari stranieri. Secondo gli italiani le probabilità che l’Italia sarà coinvolta in un conflitto entro i prossimi cinque anni sono salite a quota 31 su una scala da 0 a 100. Se scoppiasse la guerra, l’Italia però non correrebbe alle armi con ardore patriottico. Le persone anagraficamente più interessate, tra i 18 e i 45 anni, sarebbero in larghissima maggioranza riluttanti a rispondere alla chiamata delle Forze armate. Solo il 16% si dichiara pronto a combattere (tra gli uomini la percentuale sale al 21% e tra le donne scende al 12%). Il 39% invece protesterebbe, in quanto pacifista. Il 26% preferirebbe appaltare le operazioni militari e la difesa del territorio a soldati di professione e a contingenti di mercenari stranieri, da reclutare e stipendiare. Il 19% diserterebbe: si darebbe alla fuga pur di evitare il fronte. Per affrontare i pericoli, l’81% cercherebbe informazioni su un rifugio dove ripararsi dai bombardamenti, il 78% stoccherebbe provviste alimentari, il 66% si procurerebbe un kit di sopravvivenza, il 59% si trasferirebbe in una località lontana dalle zone dei combattimenti, il 27% si procaccerebbe un’arma per difendersi. Per il 65% degli italiani non siamo un popolo di guerrieri e saremmo travolti dal nemico, se non potessimo contare sull’aiuto degli alleati. Però i dazi americani sono già una dichiarazione di guerra nei nostri confronti: ne è convinto il 63% dei cittadini. Perciò sono cresciuti i sospetti verso l’alleato storico e il 46% degli italiani adesso è dell’idea che non è più scontato trovare gli Stati Uniti al nostro fianco in caso di guerra. Eppure, la percezione della vulnerabilità del Paese non si traduce in un consenso generalizzato per il riarmo. Il 26% è convinto che per garantirci la pace dobbiamo usare il potere di deterrenza delle armi, il 25% è favorevole a spendere in ogni caso maggiori risorse per la difesa militare, anche al costo di una riduzione della spesa per la sanità e la previdenza. E un italiano su dieci (l’11%) è dell’opinione che sia giunta l’ora per l’Italia di dotarsi della bomba atomica.
Nato o sistema di difesa europeo? Se le alleanze saranno decisive per la nostra salvezza, la Nato rimane una pietra angolare della politica di difesa: poco meno della metà degli italiani (il 49%) è favorevole al rafforzamento del patto atlantico. Il 18% crede invece che si dovrebbero costruire alleanze a geometria variabile, l’8% ritiene che l’Italia debba uscire dalla Nato e fare affidamento esclusivamente sulle proprie forze, ma il 25% non ha una chiara opinione in proposito. C’è però anche un’altra strada percorribile. Il 58% degli italiani è favorevole a un sistema di difesa europeo integrato, con un esercito unico, armamenti comuni e un comando unificato. Il 22% è invece contrario, convinto che non si debba né rafforzare il nostro esercito, né unirci alle forze degli altri Paesi europei: sono gli oppositori a qualsiasi programma di riarmo. Per il 10% sarebbe preferibile stringere accordi solo con i Paesi europei più forti (la Francia, per esempio, che dispone dell’arma nucleare), viste le difficoltà nel mettere d’accordo tutti i 27 Stati membri dell’Unione europea. Solo per l’8% dovremmo invece agire da soli, concentrandoci esclusivamente sul potenziamento delle nostre Forze armate.
La politica preferibile per l’Italia? La neutralità. Il riarmo resta un dilemma, le alleanze sono strategiche, ma la politica preferibile per l’Italia è la neutralità. Riguardo alla guerra russo-ucraina, il 33% degli italiani ritiene giusto schierarsi a difesa di Kiev, solo il 5% sta dalla parte di Mosca, ma la maggioranza assoluta (il 62%) è convinta che il nostro Paese dovrebbe restare neutrale. Riguardo al conflitto in corso in Medio Oriente, il 21% è a favore dei palestinesi, solo il 9% si schiera con Israele, mentre la grande maggioranza (il 70%) auspica una posizione neutrale dell’Italia. Riguardo alle dichiarate mire espansionistiche americane, nell’ipotesi di una occupazione della Groenlandia, solo il 4% degli italiani starebbe dalla parte di Washington, il 38% sarebbe favorevole alla costruzione di un’alleanza internazionale per difendere l’isola e la maggioranza (il 58%) preferirebbe ancora una volta che l’Italia mantenesse una posizione di neutralità.
Una pace apparente. È vero che dopo il 1945 abbiamo vissuto per ottant’anni nell’idea di una immunizzazione al virus della guerra del continente europeo. Ma non è vero che la guerra sarebbe un’esperienza del tutto nuova per l’Italia. Dopo il crollo del muro di Berlino, quando si annunciava un’epoca di prosperità e di pace universale, i conflitti armati nel mondo non sono affatto scomparsi: sono anzi aumentati. Furono 86 nel 1989, sono stati più del doppio nell’ultimo anno: 184. Riavvolta la cortina di ferro, i morti in guerra nel mondo lungo i successivi trentacinque anni di pace apparente sono stati complessivamente, a seconda delle diverse stime, tra i 3,9 e i 5,7 milioni. Dopo il 1989, l’Italia è stata presente con proprie truppe in 8 diversi teatri di guerra. In più, la partecipazione a operazioni di peacekeeping sotto l’egida delle Nazioni Unite è stata intensa. Lo scorso anno l’Italia era prima tra tutti i Paesi occidentali per numerosità del personale impegnato in missioni internazionali di pace: 1.783 militari. Il prezzo pagato in termini di vite umane è stato alto. Dal 1989, i caduti italiani sono stati 146: 53 nella missione Isaf (Afghanistan), 35 nella missione Antica Babilonia (Iraq), 7 nella missione Ibis (Somalia) e 7 anche nella missione Kfor (Kosovo).
Spesa per la difesa e capacità militare. La pace dei mercati è finita, la corsa per accaparrarsi nuove risorse naturali e logistiche è iniziata, ed è già scattata la molla del riarmo. Nel 2024 la spesa per la difesa dell’Italia si è attestata a 35,6 miliardi di dollari, corrispondenti all’1,5% del Pil. L’incremento della spesa militare negli ultimi dieci anni è stato considerevole: +46,0% in termini reali. Ma il valore per abitante in Italia è pari a 586 dollari a fronte di 2.440 dollari pro capite negli Stati Uniti (per complessivi 935 miliardi di dollari, pari al 3,2% del Pil), 2.095 in Norvegia, 1.725 in Danimarca, 1.376 in Svezia, 1.291 in Olanda, 1.214 in Finlandia, 1.138 nel Regno Unito, 1.096 in Germania, 926 in Francia, 807 in Polonia. Anche la Grecia presenta un valore superiore all’Italia: 686 dollari per abitante e il 3,0% del Pil. Tra gli Stati europei, si collocano ai primi posti la Polonia (con una spesa militare pari al 4,1% del Pil), i Paesi baltici (l’Estonia e la Lettonia al 3,4%, la Lituania al 3,1%) e i Paesi scandinavi (la Finlandia e la Svezia al 2,3%, la Norvegia al 2,2%). All’ultimo posto tra tutti i Paesi Nato c’è la Spagna, con l’1,2% del Pil. Il personale militare italiano ammonta a 171.000 unità. Siamo preceduti soltanto da Stati Uniti (1,3 milioni), Turchia (481.000), Polonia (216.000), Francia (205.000) e Germania (186.000). Precediamo Regno Unito (138.000) e Spagna (117.000). Nel mondo le testate nucleari in dotazione a 9 Paesi sono complessivamente 12.241, nonostante la successione nel tempo di diversi trattati di non proliferazione e lo smantellamento parziale degli arsenali russi e americani (il picco si toccò nel 1986, con 70.374 bombe atomiche disponibili). Oggi la Federazione russa ne possiede 5.459, gli Stati Uniti 5.177, la Cina 600, la Francia 290, il Regno Unito 225, l’India 180, il Pakistan 170, Israele 90 e la Corea del Nord 50.
C E N S I S
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