
(AGENPARL) – Fri 13 June 2025 Press Material
=====================
Venerdì 13 giugno 2025
13/06//2025 | Press release |
**ISRAELE COLPISCE L’IRAN: L’ECLISSI DELLA DIPLOMAZIA**** **
La notte scorsa, dando il via ad una nuova escalation, Israele ha condotto un attacco militare mirato contro obiettivi strategici in territorio iraniano. Un messaggio chiaro, rivolto a Teheran e, indirettamente, a tutta la comunità internazionale: Israele, potenza nucleare non dichiarata, non accetterà mai che l’Iran, o qualsiasi altro Paese ostile dell’area, diventi a sua volta una potenza nucleare.
Nella sua inequivocabile risolutezza, questo messaggio pone, tra le altre, una domanda particolarmente scomoda: che cosa distingue, nel diritto internazionale e nella percezione pubblica, l’intervento israeliano da quello russo in Ucraina? Israele e Russia allegano motivazioni difensive, invocano minacce esistenziali, affermano di colpire in via preventiva. Eppure, l’analogia è solo apparente: il punto di vista di un piccolo stato completamente circondato da milioni di nemici mortali non è e non può essere quello di un grande impero che occupa 11 fusi orari. Ecco perché Mosca è divenuta simbolo della violazione della sovranità e del disprezzo delle regole, mentre Israele è spesso descritto come attore razionale, impegnato in una sanguinosissima ma oculata autodifesa.
A ben guardare, nulla di ciò che sta accadendo è nuovo, se non per le dimensioni e la portata dell’attacco: sistematico e non episodico. Già nel 1981, Israele bombardò il reattore nucleare Osiraq in Iraq, allora in costruzione, con l’operazione “Opera”, temendo che Saddam Hussein stesse per dotarsi della bomba atomica. Lo stesso schema si ripeté nel 2007 con l’attacco al reattore siriano di Deir ez-Zor. Il principio-guida è il medesimo: neutralizzare la minaccia esistenziale prima che si concretizzi.
L’attacco al cuore del sistema militare iraniano deve quindi essere letto nella logica della sopravvivenza strategica di Israele, in un contesto in cui Teheran ha intensificato il proprio attivismo regionale, armando e coordinando una rete capillare di milizie sciite dal Libano allo Yemen. Il progetto iraniano, che ha subito un duro colpo con la caduta del regime di Assad, era quello di costruire un corridoio sciita dal Golfo Persico al Mediterraneo. Israele, che già combatte Hezbollah a nord, Hamas a sud e sorveglia la Siria a est, ha scelto ancora una volta di non aspettare. Con l’atomica, gli ayatollah chiuderebbero il cerchio.
Tuttavia, ciò che colpisce oggi non è tanto l’azione militare in sé, ma l’assenza quasi totale della diplomazia. Una volta, anche nei momenti più tesi della Guerra Fredda, esistevano canali segreti, emissari, conferenze multilaterali. Oggi, in Medio Oriente, sembra non esserci più spazio per il linguaggio della diplomazia. Nessun tavolo, nessuna mediazione credibile, nessuna volontà reale di disinnescare una crisi che rischia di precipitare l’intera regione in un nuovo, e ben più devastante, conflitto. Gli stessi negoziati USA-Iran in Oman sembravano più orientati ad evitare un’escalation – obiettivo comunque fallito – che a risolvere definitivamente il problema. Da porre in questi termini: l’Iran ha violato i suoi obblighi di non proliferazione nucleare. Per la prima volta in vent’anni l’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (AIEA) lo ha formalmente dichiarato pochi giorni fa Netanyahu, che già non aveva bisogno di incoraggiamento, ha subito applicato la solita dottrina. Per l’amministrazione Trump, impegnata nel confronto globale con la Cina, la guerra in Ucraina e le ulcere croniche in Medio Oriente sono solo gigantesche seccature. L’Europa è al colmo della propria impotenza. Sembrano passati non dieci, ma cento anni da quando l’Unione europea diede un decisivo contributo all’accordo nucleare con l’Iran del 2015 (JCPOA). Ora Gran Bretagna, Francia e Germania – per tacer dell’Italia – sono ridotti al ruolo di preoccupati spettatori.
Di fatto sono cambiate le regole del gioco. Le istituzioni internazionali non incidono, le diplomazie si ritirano, le alleanze si fanno e si disfano in silenzio. Soprattutto, in una sorta di rivincita del vecchio Clausewitz, la guerra si impone ancora una volta come strumento principe della politica estera, come “continuazione della politica con altri mezzi”. Allora contano soltanto la forza, il controllo territoriale e la capacità di deterrenza armata. Ma non siamo più all’epoca di Napoleone. Oggi siamo seduti su un arsenale di 12 mila testate nucleari, per le quali, dice il rapporto di International Campaign to Abolish Nuclear Weapons, si spendono 100 miliardi di dollari l’anno. il rischio è immenso.
Costruire ponti, in questa fase, appare utopistico, ma è proprio nei momenti in cui tutto sembra crollare che la diplomazia dovrebbe alzare la voce. Invece tace. E chi tace, non solo in politica internazionale, spesso acconsente. E di certo scompare.
di Paolo Giordani, Presidente Istituto Diplomatico Internazionale
**Press office:**
FOLLOW US
[Istituto Diplomatico Internazionale ](https://93m1g.r.a.d.sendibm1.com/mk/cl/f/sh/6rqJfgq8dIR6SY5BpNJRp22CHwb/dho7hv8I3t5X)
[Piazza della Consolazione, 29 – 00186 Roma ](https://93m1g.r.a.d.sendibm1.com/mk/cl/f/sh/6rqJfgq8dISlV0NLJgizkdA7vFd/HElNU4rOYntc)
[Unsubscribe](https://93m1g.r.a.d.sendibm1.com/mk/un/v2/sh/6rqJ8GqndAnmOckSNk1DFaaRT6b/KA6JTGSWOIWF)