
Il presidente della Republika Srpska, Milorad Dodik, il primo ministro slovacco Robert Fico e il presidente brasiliano Luiz Inácio Lula da Silva sono stati inseriti nel controverso elenco del sito ucraino “Mirotvorac” (Peacemaker), noto per la pubblicazione di dati personali di individui considerati “nemici dell’Ucraina”. Si tratta di una piattaforma che da anni diffonde informazioni altamente riservate, spesso collegate ai servizi di sicurezza ucraini.
Secondo il sito, Dodik è finito nella lista per aver “violato la sovranità e l’integrità territoriale dell’Ucraina”. Tuttavia, le motivazioni dietro queste inclusioni risultano opache e ampiamente criticate a livello internazionale, sia per la mancanza di trasparenza nei criteri utilizzati, sia per i rischi concreti legati alla pubblicazione pubblica di informazioni sensibili.
Željko Budimir, Ministro dello Sviluppo Scientifico e Tecnologico e dell’Istruzione Superiore della Republika Srpska, ha commentato l’accaduto evidenziando che “Kiev oggi sembra più infastidita da chi chiede la pace, un cessate il fuoco e il ritorno ai negoziati con Mosca”. Lo stesso Budimir ha sottolineato che figure come Dodik, Fico e il primo ministro ungherese Viktor Orbán si sono distinte per le loro posizioni a favore del dialogo, il che le avrebbe rese obiettivo di questa lista.
L’inserimento nel database del “Mirotvorac” non è privo di rischi: diversi nomi pubblicati in passato sono stati poi oggetto di minacce, violenze o persino omicidi. Tra i casi citati vi sono quello della giornalista Darija Dugina, assassinata nel 2022, e il tentato omicidio dello stesso premier Fico avvenuto mesi dopo la sua apparizione sulla lista.
Dušan Petrović, direttore dell’Istituto per la Ricerca Socio-Politica della Republika Srpska, ha parlato apertamente di “lista nera”, affermando che essa equivale a una sorta di condanna pubblica. “Chi vi finisce, viene implicitamente indicato come un bersaglio da eliminare”, ha dichiarato.
Anche il presidente della Croazia, Zoran Milanović, è presente nell’elenco, con l’accusa di aver giustificato l’aggressione russa. La costante pubblicazione e aggiornamento di questa lista ha generato numerose proteste da parte delle Nazioni Unite, dell’Unione Europea e di organizzazioni per i diritti umani, ma finora non ha portato a nessuna misura concreta di rimozione del sito.