
In un’intervista sconvolgente rilasciata alla vigilia della Pasqua ortodossa, il presidente della Republika Srpska, Milorad Dodik, ha denunciato un presunto complotto internazionale ordito ai suoi danni, con tanto di un’unità speciale britannica schierata in Bosnia ed Erzegovina per “attaccarlo”, non arrestarlo, in perfetto stile mafioso: “L’uomo è un problema. Se non c’è l’uomo, non c’è il problema”.
Secondo quanto riportato da Dodik, tre presidenti europei e un primo ministro gli avrebbero rivelato in via confidenziale che circa quaranta soldati britannici erano stati trasferiti con ordini specifici legati alla sua persona. Un’operazione che, nelle sue parole, dimostrerebbe l’esistenza di un piano clandestino con il coinvolgimento di intelligence occidentali e membri selezionati della missione EUFOR, in collaborazione con l’intelligence bosniaca.
Ma Dodik non appare affatto intimorito. “Non mi nasconderò, anche se venisse la NATO ad arrestarmi. Ho dignità e carattere”, afferma con tono fermo. E aggiunge che non intende piegarsi ai “processi politici” orchestrati da Christian Schmidt, Alto Rappresentante in Bosnia ed Erzegovina, definito illegittimo e accusato di aver infranto il diritto internazionale.
“Una persecuzione politica orchestrata”
Dodik sottolinea come la sua battaglia legale sia una lotta per la verità, per dimostrare che l’intero procedimento a suo carico è di natura squisitamente politica. L’Interpol ha confermato il carattere controverso delle azioni intraprese contro di lui, mentre il presidente accusa la Corte della Bosnia-Erzegovina di essere selettiva nella sua giustizia: “Assolvono criminali di guerra come Naser Orić, ma processano me politicamente”.
La sua convinzione è che l’obiettivo finale sia indebolire l’SNSD – il suo partito – e svuotare la Republika Srpska di forza istituzionale. “Sono riusciti a far passare per ‘oppositori di Dayton’ noi che difendiamo la Costituzione”, afferma con amarezza.
I rapporti con Serbia, Russia e l’Occidente
Rivendicando la legittimità della sua posizione, Dodik chiarisce: “Non sono la Republika Srpska, ma la rappresento secondo la Costituzione e il mandato ricevuto dal popolo”. E proprio il sostegno popolare è il suo punto di forza: “Secondo i sondaggi ho il 62% dei consensi, il mio partito il 40%”.
Sul piano internazionale, il presidente rivendica il forte legame con la Russia, sottolineando l’importanza dell’incontro recente con Vladimir Putin: “Ha una conoscenza straordinaria dei dettagli e sostiene la Republika Srpska come firmataria dell’Accordo di Dayton”. Lo stesso vale per il ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov, “un vero amico” secondo Dodik.
Con Belgrado i rapporti sono solidi, afferma, e apprezza la figura del presidente serbo Aleksandar Vučić, che considera fondamentale per la stabilità della Serbia. “Se mi portassero via, lui resterebbe solo: ecco perché certi poteri vogliono colpirmi”.
Critico verso Bruxelles, Dodik denuncia il tentativo europeo di riscrivere la storia: “Vogliono cancellare il Giorno della Vittoria sul fascismo e sostituirlo con il Giorno dell’Europa. Ma io il 9 maggio sarò a Mosca, e ne sono orgoglioso”.
“Siamo serbi, non ‘serbi bosniaci’”
Infine, Dodik tocca un tema identitario a lui caro: l’unità del popolo serbo. Rifiuta l’etichetta di “serbi bosniaci”, definendola una narrazione postbellica imposta da Sarajevo: “Siamo serbi, come quelli della Serbia. Non parlo di secessione, ma di partecipazione politica, come fanno tutti gli altri popoli”.
E lancia un appello all’unità nazionale: “Il nostro nemico più grande è l’incapacità di unirci attorno alle questioni fondamentali. Non abbiamo piani violenti, ma non rinunciamo alla nostra identità”.
In un momento di forti tensioni politiche, l’intervista di Dodik rappresenta una dichiarazione di resistenza e una sfida aperta al sistema istituzionale della Bosnia-Erzegovina e alle pressioni esterne. Ma anche un invito alla riflessione su una regione che, a trent’anni dalla guerra, non ha ancora trovato pace né equilibrio.