
(AGENPARL) – Tue 08 April 2025 XIX LEGISLATURA
CAMERA DEI DEPUTATI
PROPOSTA DI LEGGE
d’iniziativa dei deputati
SCOTTO, GUERRA, SARRACINO, FOSSI, GRIBAUDO, LAUS,
Eliminazione dei meccanismi di incremento progressivo dei requisiti anagrafici e contributivi per l’accesso ai trattamenti pensionistici
Presentata il …
Onorevoli Colleghi! —
L’obiettivo di questa proposta di legge è quello di cancellare il meccanismo – introdotto nel 2009 con il dl 78 dal terzo Governo Berlusconi – dell’aumento dell’età pensionabile e dei requisiti per la pensione anticipata senza vincolo di età.
In particolare, per quanto riguarda la pensione di vecchiaia, va sottolineato che i 67 anni sono l’età più alta richiesta in tutta l’Europa e che per l’Italia è il canale di pensionamento delle donne e dei lavoratori precari e discontinui e per lavori gravosi e usuranti, ma non riconosciuti come tali dalle leggi già in vigore.
Quindi per chi ha almeno 20 anni di contributi, ma non riesce ad aspirare ad altre possibilità di quiescienza, si tratta di una vera e propria ingiustizia l’aumento continuo e senza fine dell’età pensionabile.
Il meccanismo di aggancio all’aspettativa di vita penalizza due volte chi lavora: sposta in avanti l’età pensionabile e riduce l’importo della pensione attraverso il coefficiente di trasformazione per il calcolo della misura della pensione stessa.
Già la riforma Dini 335/95 era stata concepita per tenere il sistema in equilibrio e per questo aveva previsto il calcolo contributivo pur con grande flessibilità in uscita. Oggi invece si va in una direzione diversa. Se la valorizzazione di tutto quello che si è versato, quindi il proprio montante contributivo, costituisce la base per il calcolo della misura della pensione utilizzando i coefficienti di trasformazione che tengono conto della speranza di vita, questa non può essere ulteriormente utilizzata per spostare in avanti l’età della pensione, diventando uno strumento utilizzato più volte allo stesso fine.
A quasi due anni e mezzo dal suo insediamento e tre manovre di bilancio, il Governo delle destre non solo non ha cancellato la legge Fornero, come enfaticamente
promesso in campagna elettorale, ma ha, addirittura, peggiorato i pur limitati istituti che consentivano qualche forma di flessibilità di uscita pensionistica.
La cosiddetta “quota 103” è stata fortemente penalizzata con l’inserimento del calcolo contributivo per l’intera vita lavorativa, tanto da renderla, di fatto, quasi del tutto inutilizzabile dai potenziali beneficiari.
Lo stesso dicasi anche per “opzione donna”, a suo tempo introdotta dall’allora Ministro Maroni con l’art. 1, comma 9, della legge n° 243/2004 e sempre prorogata da tutti i governi che si sono succeduti a decorrere da quella data, è stata pressoché cancellata con l’introduzione di requisiti anagrafici e soggettivi (disoccupazione, disabilità, caregiver) molto stringenti, riducendo la platea delle beneficiarie a poche centinaia.
Anche l’Ape sociale è stato reso meno accessibile con l’innalzamento del requisito anagrafico.
Ora sul futuro pensionistico di molti lavoratori che nei prossimi anni potrebbero accedere al trattamento pensionistico si addensa di nuovo la nube del prospettato ulteriore innalzamento dei requisiti anagrafici e contributivi, a seguito dell’applicazione dei meccanismi di calcolo sull’aspettativa di vita.
Già a inizio anno, come a suo tempo denunciato dalla CGIL, l’INPS modificò i requisiti pensionistici sui propri applicativi di tre mesi a partire dal 2027 e di altri due mesi a partire dal 2029, nonostante non ci fosse ancora alcuna comunicazione ufficiale da parte dei Ministeri competenti e quindi in “totale assenza di trasparenza istituzionale”.
A seguito delle polemiche e delle mobilitazioni suscitate e delle stesse dichiarazioni di esponenti di Governo, gli applicativi dell’INPS furono rivisti ulteriormente, mantenendo come riferimento i requisiti già in vigore.
La minaccia dell’inasprimento dei requisiti anagrafici e previdenziali, sventata a gennaio, ora torna attuale con i dati dell’ISTAT in base ai quali emerge che la speranza di vita torna a crescere, dopo il crollo registratosi durante il dramma della pandemia da Covid-19, prefigurando dal gennaio 2027 requisiti pari a 67 anni e 3 mesi per la pensione di vecchiaia e 43 anni e 1 mese di contributi per quella anticipata (42 anni e 1 mese per le donne).
Non solo, qualora non sterilizzati, tali incrementi determinerebbero un nuovo significativo numero di “esodati”, così come già avvenuto nel 2011 con la cosiddetta manovra Fornero, quando 196mila lavoratori e lavoratrici che avevano firmato accordi di prepensionamento o mobilità volontaria, si trovarono senza più salario, ammortizzatori sociali e trattamento pensionistico. Una vera e propria emergenza sociale che fu progressivamente quasi completamente risolta solo con diversi interventi correttivi di salvaguardia. Ora, tale scenario potrebbe riaffacciarsi, qualora, come stimato dalla Cgil, gli oltre 44.000 lavoratori che hanno sottoscritto “scivoli” aziendali siglati tra 2020 e 2024, potrebbero ritrovarsi dal 2027 troppo giovani per la pensione e troppo vecchi per il mercato.
Già nel 2019, con l’articolo 15 del decreto legge 4/2019 si è stabilito che gli adeguamenti alla speranza di vita di cui all’articolo 12 del decreto-legge 78/2010 non trovino applicazione fino al 31 dicembre 2026. Una misura del 2019 che – già scontata ai fini del bilancio dello Stato – ha potuto “beneficiare” dei nefasti effetti della pandemia negli anni 2020 e 2021.
Per di più, ai sensi della legge Dini, tra poco più di 10 anni saranno esaurite le coorti di lavoratori che ancora assommano periodi lavoratori con il sistema retributivo e contributivo. Il trattamento pensionistico calcolato con il sistema contributivo corrisponde integralmente al montante dei contributi versati dal lavoratore, moltiplicato per il coefficiente determinato dal dato anagrafico, in ragione dell’aspettativa di vita media. Con tale meccanismo attuariale la sorte pensionistica di ciascun lavoratore è determinata esclusivamente dalla sua storia lavorativa, senza alcun intervento correttivo di tipo solidaristico e, in tale prospettiva, sembra sempre meno accettabile sul piano politico l’applicazione degli incrementi anagrafici e contributivi per l’accesso alla pensione, soprattutto per i lavoratori più giovani.
La rilevanza sociale della questione non può essere lasciata nell’incertezza, tra atti e indicazioni prospettati da organismi amministrativi e dichiarazioni politiche cui non fanno seguito concrete misure normative, né affrontata con misure tampone che rimandano il problema senza risolverlo. A parere dei proponenti, è arrivato il momento di una specifica iniziativa legislativa che restituisca serenità a lavoratori ed imprese.
PROPOSTA DI LEGGE
Art. 1.
(Eliminazione dei meccanismi di incremento progressivo dei requisiti anagrafici e contributivi per l’accesso ai trattamenti pensionistici)
1. A decorrere dal 1° gennaio 2026, cessano di avere efficacia le disposizioni di cui all’articolo 22-ter, del decreto legge 1 luglio 2009, n. 78, convertito con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2009, n. 102 e all’articolo 12, commi da 12-bis a 12-quinquies, del decreto legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito con modificazioni dalla L. 30 luglio 2010, n. 122.
Art. 2.
(Disposizioni finanziarie).
1. Agli oneri di cui alla presente legge, valutati in pari a 1,5 miliardi di euro annui, si provvede ai sensi del comma 2.
2. Fatta eccezione per i sussidi strettamente connessi al consumo di beni e servizi essenziali, il Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica, sentito il Ministero dell’economia e delle finanze e il Ministero delle imprese e del made in Italy, individua i sussidi di cui all’articolo 68 della legge 28 dicembre 2015, n. 221, oggetto di rimodulazione ed eliminazione al fine di conseguire risparmi di spesa o maggiori entrate pari a 1,5 miliardi di euro annui a decorrere dall’anno 2026, con priorità per quelli che possono determinare procedure di infrazione per il contrasto con le normative europee.