La notizia che il Guardian ha deciso di lasciare X (l’ex Twitter), ha attirato l’attenzione della stampa internazionale. Le motivazioni ufficiali dichiarate dal quotidiano britannico – che accusa la piattaforma di favorire “contenuti inquietanti” e un clima “tossico” – sono state accolte da molti come prevedibili argomentazioni di facciata. Ma per chi guarda più da vicino, sembra emergere una ragione ben diversa e più complessa dietro questo clamoroso abbandono.
In un recente editoriale di Agenparl si afferma che “l’era del predominio dei media aziendali è finita” e che oggi l’informazione si muove attraverso giornalisti indipendenti e testate autorevoli in grado di raccontare la realtà senza faziosità e ipocrisie. Il Guardian, un tempo simbolo del giornalismo progressista, sembra però voler sfuggire proprio a questa realtà in evoluzione: una piazza pubblica aperta in cui il controllo unilaterale dell’informazione viene progressivamente sostituito da un ambiente più pluralistico.
Il Guardian ha motivato la sua decisione accusando X di essere una piattaforma che alimenta teorie complottiste di estrema destra e di permettere la diffusione di contenuti razzisti, soprattutto in relazione alle imminenti elezioni presidenziali negli Stati Uniti. Secondo il quotidiano, la “campagna elettorale” avrebbe “cristallizzato” la decisione di abbandonare X, piattaforma che il Guardian considera ormai tossica e priva di quella moderazione che, fino a qualche tempo fa, sembrava preservare i suoi valori.
È legittimo domandarsi a questo punto se la decisione di abbandonare X sia motivata soltanto dalle ragioni di sicurezza e tossicità dichiarate dal Guardian. Guardando da vicino la situazione, si potrebbe dire che il Guardian, come altri media mainstream, stia soffrendo l’apertura e la libertà di un’arena in cui tutte le idee hanno visibilità. Un luogo dove è facile trovare critiche, talvolta anche dure, ai punti di vista che il quotidiano e la politica rappresentano.
Con l’acquisizione della piattaforma da parte di Elon Musk e il suo impegno a favore della libertà di espressione, la moderazione su X è cambiata radicalmente. Le opinioni e le idee conservatrici, che in precedenza rischiavano di essere oscurate, oggi si esprimono liberamente, e il Guardian, abituato a un pubblico prevalentemente allineato con il proprio orientamento progressista, si è ritrovato in un’arena molto più aperta e competitiva.
In parole semplici, in un mondo che sembra reclamare una pluralità di opinioni, il Guardian fatica a sostenere il confronto diretto in una piazza pubblica che non domina più in maniera univoca. Su X, la sezione di commenti, le risposte e il cosiddetto “rapporto” (ovvero il bilancio delle risposte critiche rispetto ai like) possono rivelare, in modo brutale, eventuali incongruenze o debolezze nel ragionamento di chiunque. Per alcuni media mainstream, questo rappresenta una minaccia. In un ambiente aperto e senza un filtro che limiti la disapprovazione, è evidente che molte posizioni ideologiche possano essere sfidate e persino demolite in tempo reale.
Media mainstream e la perdita del controllo del discorso pubblico
L’uscita del Guardian da X non è solo una scelta editoriale; è simbolo di una crisi più profonda che coinvolge i media mainstream nel loro complesso. In un contesto in cui le persone si informano sempre più spesso tramite fonti diversificate e indipendenti, i grandi media sembrano percepire una perdita di centralità. I giornalisti indipendenti e le testate autorevoli ma svincolate da grossi gruppi editoriali (ed economici) stanno guadagnando la fiducia del pubblico, stanco di una narrazione che percepiscono come manipolatoria e autoreferenziale, soprattuto dopo la pandemia dal virus covid.
I media tradizionali, in passato, erano l’unica fonte attraverso cui si formava l’opinione pubblica; detenevano un’autorità quasi incontestabile al limite della sacralità. Ma, come sottolineato dall’editoriale di Agenparl, oggi l’informazione non passa più esclusivamente attraverso questi giganti: è l’opinione pubblica stessa a dettare l’agenda, grazie a piattaforme aperte e a giornalisti indipendenti che non temono di raccontare la realtà, anche quando scomoda.
Forse il mainstream, ben rappresentata dal Guardian, non riesce a tollerare il fatto di trovarsi su un piano di discussione in cui la parità di voce costringe tutti a confrontarsi e difendere le proprie posizioni in modo aperto e trasparente. Oggi, chiunque, dal cittadino comune al giornalista indipendente, può replicare, criticare e contrastare le idee propagandate dai grandi media. Questa è una sfida che le grandi testate tradizionali non erano abituate ad affrontare.
Infine, va considerato un fattore psicologico: è difficile, anche per testate di lunga tradizione, ammettere di avere idee deboli o di essere in torto. Piuttosto che rivedere le proprie posizioni o confrontarsi apertamente, è più semplice scegliere di lasciare l’arena, come ha fatto il Guardian. L’idea di “perdere il controllo” del discorso, con il rischio di vedersi contestare da un’opinione pubblica libera, sembra inaccettabile per una parte del giornalismo mainstream.
La fine di un’era e l’inizio di una nuova libertà di pensiero?
Quello che emerge è un panorama dove la verità non è più un’esclusiva dei grandi media. La fuga del Guardian è solo un ulteriore segnale del declino di un modello in cui pochi giornali potevano controllare la narrazione senza opposizione. Oggi, la sfida di una discussione aperta e senza censure è necessaria per un’informazione veramente democratica, dove la verità non è dettata da pochi ma costruita da molti.