Ieri, presso il Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica, hanno manifestato gli allevatori dell’Abruzzo, Lazio e Molise con le loro rispettive organizzazioni: Il Comitato Allevatori e Agricoltori del Territorio (A-A-T.), L’ETS Iura Civium ad Bonum Naturae e l’Alleanza dei Pastori Aurunci e Ciociari (APAC). L’iniziativa, capeggiata da Giuseppe Tatangelo di Trasacco (AQ) ha voluto porre al centro della questione una serie di questioni essenziali e non più rinviabili. Tra queste una delle più impellenti è legata alla sottrazione dei domini collettivi che il PNALM prende in affitto dai Comuni, con l’appoggio di sindaci compiacenti. “Basta con queste pratiche illegittime” afferma Tatangelo “i sindaci non possono e non devono svendere i beni demaniali gravati da uso civico”. Ciò, infatti, riduce la superficie pascoliva di cui necessitano gli allevatori, contraddicendo, in modo palese, la stessa legge 168 del 2017 secondo cui il regime giuridico dei beni collettivi resta quello “dell’inalienabilità, dell’indivisibilità, dell’inusucapibilità e della perpetua destinazione agro-silvo-pastorale” (Art. 3, c. 3).
“Oggi dovevamo essere a lavorare nei nostri campi e con i nostri animali – ma siamo stati costretti a lasciare tutto per venire fino a Roma” ribadisce Tatangelo. Infatti, il Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica non aveva risposto ad un precedente esposto di rigetto della proposta di piano per il PNALM, firmato da circa 1,500 cittadini e residenti. Lo conferma Virgilio Morisi che, da sempre, è in prima fila per difendere i diritti di uso civico dei suoi colleghi allevatori, e che il PNALM vorrebbe bypassare con modalità e regolamenti del tutto arbitrari. In assenza del Ministro e del Direttore Generale competente, gli allevatori sono stati ricevuti dallo staff dell’Ufficio del Gabinetto che hanno dimostrato grande disponibilità e capacità di ascolto verso le istanze presentate dagli allevatori e suffragate dal Coordinamento Nazionale Allevatori di Montagna e Pastori d’Italia (CONAPI), di cui il molisano Guglielmo Lauro, è vice-presidente.
Le motivazioni alla base di questo sit-in pacifico sono molteplici ed alquanto complesse. “Ci troviamo, difatti, a contrastare un Parco Nazionale, il PNALM, che vorrebbe far approvare una pianificazione territoriale, il cosiddetto Piano del Parco, totalmente calata d’alto ed illegittima” spiega, appunto, Guglielmo Lauro. Discutendo con i rappresentanti dell’Ufficio Gabinetto, Virgilio Morisi, con dovizia di particolari, ha spiegato che il progetto di pianificazione del PNALM, oltre a essere stato incamminato attraverso una procedura completamente estranea a quella prescritta dalla pertinente Legge 394/1991 e dalle altre norme sul procedimento amministrativo vigenti in Italia, è anche affetto da irrimediabile illegittimità procedimentale. “Nella sostanza” afferma Morisi “il Piano del Parco, manca del quadro conoscitivo delle caratteristiche del territorio e di altri importantissimi elementi che, per legge, sono, prerequisito indispensabile degli strumenti di pianificazione e fondamento tecnico, senza cui nessun Piano potrebbe essere sviluppato. Una proposta di Piano, redatta in assenza delle informazioni basilari e priva del sinergico e parallelo piano pluriennale economico-sociale di cui all’art. 14 della L. 394/1991, non può avere alcuna legittimità. In aggiunta a tutto questo, il PNALM, attraverso pronunciamenti e regolamenti interni, continua ad estendere il suo operato a questioni legate all’uso civico dei domini collettivi che, senza dubbio, non sono di sua competenza.
Un altro argomento che è stato più volte portato alla luce, durante l’incontro, riguarda l’impatto deleterio dell’applicazione della VIncA (Valutazione di Incidenza Ambientale) sugli allevatori. Si tratta di una procedura prevista dall’Unione Europea che ha lo scopo di accertare preventivamente se determinati progetti possono avere incidenza sulla conservazione di Siti di Importanza Comunitaria (SIC). L’allevatore molisano Guglielmo Lauro dichiara, che a causa dei parametri proposti dalla VIncA, dal 2021 ad oggi, è stato costretto a ridurre la sua azienda del 30% e dovrà procedere presto ad un ulteriore taglio del 20%. Questo si traduce in una consistente riduzione del numero di bestiame e, conseguentemente, in un calo significativo del reddito. Lauro afferma che il parametro per il carico di bestiame di 1UBA per ettaro e stato ridotto a 0,3 UBA per ettaro, ciò significa che per ogni mucca ci vogliono oggi 3,3 ettari di pascolo. Questi parametri sono stati calcolati per il pascolo perennale e, quindi, non sono applicabili a chi, come i pastori transumanti, utilizza i pascoli di montagna per un periodo che va generalmente dai 60 ai 120 giorni. In aggiunta, Lauro puntualizza che, sul versante Molisano del Parco, il periodo di accesso ai pascoli di altitudine è stato spostato dal 1 Giugno/1 Novembre al 15 Giugno/15 Ottobre. Ciò ha comportato una riduzione di 30 giorni del periodo di pascolo in alpeggio, con significative ricadute sugli allevatori che si sono visti costretti ad incrementare, con notevole dispendio economico, l’acquisto di foraggi secchi. Al tentativo del PNLAM di applicare in modo rigoroso la VIncA, si sovrappone – però – una recente sentenza della Corte Europea, che fa espressamente riferimento all’articolo 6, paragrafo 3, della direttiva Habitat 92/43 da cui si evince – in modo inoppugnabile – che il pascolo autorizzato secondo le norme nazionali, regionali e locali, non necessita di valutazione di incidenza, essendo assolutamente certo che il pascolo di bestiame, eseguito secondo le tecniche tradizionali nei siti in cui si è da sempre tradizionalmente praticato e nei siti di interesse comunitario, è attività direttamente connessa e necessaria alla gestione del sito, essendo indispensabile per evitare il degrado dell’habitat naturale e dell’habitat di specie, nonché la perturbazione delle specie selvatiche ivi presenti.
Dialogando con i funzionari del gabinetto del Ministro Pichetto Fratin, l’Antropologo Dario Novellino dell’University College di Londra (UCL) – che da quasi 20 lavora fianco a fianco con gli allevatori – ha voluto evidenziare la totale mancanza di processi partecipativi dal basso atti a coinvolgere la gente del territorio, in primis allevatori e agricoltori, nella co-gestione delle risorse naturali. Il Parco, afferma Novellino, dovrebbe fare tesoro dell’enorme bagaglio di conoscenze tradizionali possedute dagli allevatori ma, troppo spesso, sottovaluta ciò che, invece, è palesemente citato nell’articolo 11 (sez h, 2-bis) della legge 394/91 e che richiama alla valorizzazione degli usi, dei costumi, delle consuetudini e delle attività tradizionali delle popolazioni residenti sul territorio, nonché delle espressioni culturali proprie e caratteristiche dell’identità delle comunità locali. Dopo anni di esclusione da qualsiasi processo decisionale, dice Novellino “bisogna riportare gli allevatori al centro della questione ambientale per una gestione lungimirante delle aree interne”. Non dobbiamo inventarci nulla di nuovo, sostiene l’antropologo, bisognerebbe, semplicemente, mettere in atto alcuni principi fondamentali, già patrimonio indissolubile del nostro ordinamento giuridico. Ad esempio la Convenzione sulla Diversita’ Biologica (CBD), firmata da 150 governi e ratificata dall’Italia con legge no. 124 del 14 Feb. 1994, parla espressamente “della necessita di assicurare alle popolazioni e comunità locali le piena partecipazione ai benefici che derivano dall’uso delle loro conoscenze tradizionali e delle pratiche correlate alla conservazione della biodiversita. Invece la Convenzione dell’UNESCO sulla Promozione e Protezione della Diversità Culturale, ratificata anche questa dall’Italia il 31-01-2007 riconosce “la necessita di adottare misure volte a proteggere la diversità delle espressioni culturali, soprattutto quando queste possano essere minacciate”. Lo stesso UNESCO, nel 2019, ha inserito la transumanza nella lista del patrimonio culturale immateriale, e non per ultimo l’organizzazione internazionale per la conservazione della natura (IUCN) – a cui l’intero mondo ambientalista dovrebbe fare riferimento “promuove una conservazione degli ecosistemi che sappia coniare equità sociale e sostenibilità ecologica, promuovendo ‘capacity building’ delle popolazioni locali per la co-gestione delle risorse naturali. Ripensare alla gestione del Parco, tenendo in considerazione tutto questo, sarebbe già un enorme passo in avanti.
Gli allevatori estensivi hanno anche informato i rappresentanti dell’Ufficio di Gabinetto del Ministro circa la gestione fallimentare della fauna selvatica da parte del PNALM, in particolar modo dei grandi carnivori, che ha portato all’aumento di orsi confidenti e problematici che ha privato alcuni comuni, fuori e dentro il Parco, della tranquillità di cui hanno sempre goduto. Tutto questo, secondo gli allevatori, è direttamente proporzionale alla scarsità di risorse alimentari in montagna, anche causato dalla competizione con cinghiali e cervi. Il Parco avrebbe potuto e dovuto investire fondi e risorse per attuare interventi di rifocillamento per gli orsi. Tutto ciò non è stato fatto. I meleti che erano stati originariamente impiantati per offrire un’ulteriore fonte di cibo a questi animali, sono ormai abbandonati.
Gli allevatori si sono anche lamentati del fatto che, troppo spesso, il PNALM non riconosca i danni da fauna selvatica causati al bestiame e non proceda ad elargire i relativi indennizzi.L’Ente paga gli indennizzi sulle predazioni soltanto quando la carcassa è stata ritrovata ma, troppo spesso, vengono tirate in ballo tutta una serie di condizionalità e cavilli burocratici pur di non risarcire gli allevatori delle perdite subite. La tendenza, infatti, è quella di voler associare il pagamento dei danni a determinate condizionalità (ad esempio l’assenza di una concimaia a norma), ovvero di un deposito per lo stallatico che risulta alquanto inutile per allevatori estensivi che allevano il loro bestiame allo stato brado e semi-brado. Associare il pagamento degli indennizzi a queste condizionalità non solo è una scelta arbitraria ma è soprattutto una violazione della Legge Quadro sulle Aree Protette (394/91) che al comma 3 e 4 recita che l’Ente Parco è tenuto a indennizzare i danni provocati dalla fauna selvatica del parco e stabilisce le modalità per la liquidazione e la corresponsione degli indennizzi, da corrispondersi entro novanta giorni. Va comunque specificato che ciò che gli allevatori richiedono, non sono solo indennizzi economici, ma la tranquillità di poter pascolare il proprio bestiame come hanno fatto per decenni, senza dover fare, giorno dopo giorno, la macabra conta degli animali predati. “I nostri animali predati muoiono con sofferenze atroci, e a noi non resta che farci il segno della croce, nella speranza che il giorno seguente non succeda la stessa cosa” afferma un pastore di pecore del PNLM che, a partire da questa primavera, ha visto il suo gregge ridursi da quasi una novantina di animali a circa una sessantina, a causa delle predazioni. Spesso, le migliori fattrici (mucche, cavalli) sono vittime di tali attacchi, e questo compromette la continuità degli allevamenti estensivi, costringendo i pastori ad optare per modelli allevatoriali maggiormente orientati verso una stabulazione fissa
Durante il dialogo al Ministero, gli allevatori hanno espresso anche un profondo rammaricoper l’aumento di denunce, verbali e querele sottoscritte nei loro confronti da parte del PNALM. Gli allevatori ritengono che tutto ciò faccia parte di un piano vessatorio, atto a mettere in ginocchio le loro attività. In questo contesto, sono stati citati alcuni casi emblematici come quello del pastore Giuseppe Socci di Settefrati, il quale abbevera le sue mucche in una zona umida all’interno del territorio conosciuto come ‘Tre Confini’. Per il versante di Settefrati, il Socci – da sempre – ha ricevuto la fida dallo stesso Comune – con una clausola specifica – che autorizza l’allevatore a far abbeverare lì, i propri animali. Susseguentemente, questa stessa zona è stata poi definita dal PNALM come ‘area protetta’. Le guardie del Parco oggi pretendono che, appena dopo l’abbeveramento, gli animali debbano essere riportati fuori dall’area. Ciò non è sempre possibile, visto che le mucche amano sostare in quella zona, soprattutto durante le giornate calde, quando necessitano di bere più volte. Non ci sono dubbi che, costringere il bestiame ad allontanarsi immediatamente dopo aver bevuto, è una violazione del benessere stesso degli animali che ricavano, invece, giovamento dalla permanenza in questa zona, soprattutto in Estate. A causa di questa diatriba, il Parco ha già avviato un procedimento penale nei confronti del Socci.
Nella parte conclusiva dell’incontro Giuseppe Tatangelo, pienamente supportato dagli allevatori presenti, ha voluto manifestare ai funzionari del Ministero il profondo e deciso dissenso in merito alla scelta di rinominare a Direttore del PNALM il Dott. Luciano Sammarone. Infatti, gli allevatori ritengono che, durante l’espletamento della sua carica, il Direttore – invece di assolvere un ruolo di pacificatore e mediatore tra l’Ente Parco e gli attori locali – abbia invece esasperato il clima di conflitto sociale, creando estremo malumore e malcontento tra gli operatori del mondo allevatoriale.
Infine, il meeting si è concluso con la proposta degli allevatori di creare un tavolo di confronto, presso il Ministero, per discutere più accuratamente di queste questioni. Intanto, nei prossimi giorni partirà un altro esposto indirizzato al Direttore Generale competente del Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica per tracciare, in modo ancor più circostanziato, tutte le anomalie e illegalità riscontrate all’interno del PNALM. Se non si dovessero ricevere delle risposte adeguate, allora gli allevatori ritorneranno a manifestare ma, questa volta, presso il Ministero della Giustizia.
“Nel frattempo, bisogna brindare a questo piccolo successo” conclude Giuseppe Tatangelo “per questo, al termine del sit-in, ho condiviso una porchetta casereccia con tutti i partecipanti, e abbiamo invitato anche le forze dell’ordine al banchetto improvvisato”.