(AGENPARL) – mer 11 settembre 2024 Ivan Maffeis
Sentieri
di speranza
Lettera pastorale
“Essere giovani oggi è tremendo.
Perché sei senza punti di riferimento.
Non conosco nessun ragazzo della mia età
che vada a votare e nessuno che vada in Chiesa.
Ne conosco pochi che si dicono cristiani.
Anche se in realtà lo siamo.
Se credo in Dio? Sono sempre alla ricerca.
Ho bisogno di credere, sento una grande fede dentro…
Ma se ti rivolgi alla Chiesa per trovare un senso alle cose,
puoi restarne deluso”.
(Ultimo, Corriere della Sera, 19 maggio 2024)
Introduzione
Difficile rimanere indifferenti nel leggere l’ampia intervista,
firmata sul Corriere della Sera da Aldo Cazzullo, al cantautore
romano Ultimo, nome d’arte di Niccolò Moriconi.
È la Domenica di Pentecoste, compimento della Pasqua e
inizio del cammino ecclesiale. Nell’aria rimane l’eco della
veglia che ieri sera ha animato la Cattedrale con la preghiera
allo Spirito Santo per la nostra Chiesa e per la Città dell’uomo; Spirito che, poco prima, abbiamo invocato sui ragazzi che a Sant’Angelo di Celle ricevevano la Cresima;
Spirito che questa mattina chiederemo per quelli di Casalina
e, quindi, di Moiano; a sera sarà la volta degli adolescenti di
Olmo.
Guardo con attenzione questi ragazzi, cerco di imprimermi
i loro nomi, accolgo il loro “Eccomi!”, risonanza di una risposta biblica fra le più luminose. In sottofondo mi ritornano, però, le parole di Ultimo; parole forse eccessive, che
lasciano comunque intuire disagio, solitudine e paure diffuse.
Ringrazio i Vicari, Isabella Farinelli, Erica Picottini e Lara Maffeis
per il confronto e i suggerimenti; Maria Rita Valli per l’impaginazione
grafica. La foto di copertina, di Emiliano Alunni, è relativa al
Giubileo del Santissimo Crocifisso (Corciano, 1° settembre 2024).
“Essere giovani oggi è tremendo. Perché sei senza punti di
riferimento”.
Torno a osservarli. Dietro ciascuno una cerchia familiare e
amicale, che resta la loro àncora affettiva, il mondo dei loro
primi interlocutori. Basterebbe questa constatazione per
promuovere e sostenere a tutti i livelli la centralità della famiglia e della sua missione.
Le parole di Ultimo lasciano cadere un’altra pietra. Per
molti la fede cristiana, più che sorreggere e trasformare la
vita, è ridotta a un retaggio del passato. La fotografia di ciò
che stiamo diventando ce l’ha scattata il sociologo Luca
Diotallevi: la sua ultima ricerca – La Messa è sbiadita – rileva
come la stessa celebrazione eucaristica perda progressivamente di intensità e di rilevanza sociale. L’abbandono coinvolge soprattutto le donne e questa fuga è “gravida di conseguenze sul presente e ancor più sul futuro della religione
e dunque anche della società e della cultura di questo Paese”.
Vi si aggiungono “la crisi della trasmissione dai genitori ai
figli dei comportamenti di partecipazione religiosa” e “la
crescente incapacità delle istituzioni religiose di rivolgersi
ai figli di famiglie non praticanti”.
L’eclissi del senso di Dio dalla sfera pubblica e la sua riduzione a un fatto puramente privato, sfociano in una profonda crisi d’appartenenza. Un tale cambiamento d’epoca
ci obbliga a confrontarci con una realtà diversa da quella
che forse continuiamo a immaginare. Più che la sindrome
dell’assedio, serve il coraggio di raccogliere l’appello che
attraversa questo tempo – “Ho bisogno di credere, sento una
grande fede dentro” – e individuare le modalità con cui oggi
annunciare Dio, il Dio di Gesù Cristo, Colui che rende ragionevole e buona la giornata terrena di ciascuno.
Su questo sfondo giunge il nuovo Anno santo. Aperto dal
suono del corno d’ariete (iòvel, da cui Giubileo), annunciava
la libertà agli schiavi e la restituzione della terra, quale anticipo del riposo e della pace futura. Papa Francesco ha scelto
di distendere quel suono sulla partitura della speranza. Una
“speranza che non delude”, come assicura fin dal titolo della
Bolla d’indizione; una speranza che trova fondamento nella
Parola di Dio, nella fede nella vita eterna e nel tanto bene
già presente: dove è sostenuto il desiderio di generare, l’ammalato e l’anziano sono custoditi e i giovani non sono lasciati scivolare in gesti autodistruttivi; dove il migrante è
accolto e chi vive in condizioni di disagio incontra opportunità per ripartire; dove i beni della terra non restano privilegio di pochi e le spese militari si convertono per eliminare finalmente la fame; dove sulla violenza della guerra si
fa strada la ricerca della giustizia e della pace; dove il perdono
rinnova le relazioni, in forza di un amore più grande di
ogni fragilità.
Sulla filigrana del testo di Papa Francesco, nelle pagine che
seguono offro con semplicità qualche spunto per aiutare a
ritrovare le radici della speranza, che parla tanto nel patrimonio della Tradizione cristiana (I parte), quanto in alcuni
segni concreti, che chiedono di diventare esperienza condivisa (II parte). Qualche proposta conclusiva è finalizzata a
non sciupare la grazia dell’anno giubilare (III parte).
Prima parte
1.1 – Sulla via di casa
“La speranza non delude” (Rm 5, 5). In un clima culturale segnato da incertezza e disorientamento, Papa Francesco ci
rilancia queste parole dell’apostolo Paolo e ne fa il filo conduttore del Giubileo, che aprirà in San Pietro la vigilia del
prossimo Natale.1
Nelle intenzioni della Chiesa l’Anno santo vuol essere per
tutti l’occasione di tornare a sperare, non in forza di un ottimismo di facciata e nemmeno per l’attesa di un bene che
potrebbe forse accadere domani: la speranza cristiana è
“affidabile”, in quanto ha il suo fulcro nella fedeltà di Dio,
che conferisce una direzione alla vita quotidiana: “Il presente, anche un presente faticoso – sottolinea Benedetto
XVI – può essere vissuto ed accettato se conduce verso
una meta e se di questa meta noi possiamo essere sicuri, se
questa meta è così grande da giustificare la fatica del cammino”.
A tale meta Papa Francesco dà un nome: “Guardando al
tempo che scorre, abbiamo la certezza che la storia dell’umanità e quella di ciascuno di noi non corrono verso un
punto cieco o un baratro oscuro, ma sono orientate all’incontro con il Signore della gloria”, Cristo Gesù, da cui
nulla potrà mai separarci (cfr. Rm 8, 39).
A livello diocesano celebreremo l’apertura dell’Anno giubilare domenica 29 dicembre: alle 11 nella Cattedrale di Perugia e, alle 18, nella
Concattedrale di Città della Pieve. La conclusione in Diocesi è fissata
per domenica 28 dicembre 2025, mentre il Papa chiuderà la porta santa
il 6 gennaio 2026.
Sapersi pellegrini verso la città di Dio diventa criterio per
giudicare il valore delle cose e del denaro; aiuta a mettere
ordine nella propria vita, a non attardarsi, sciupando tempo
ed energie per ciò che non serve; rende umili, vigilanti e
pazienti; spinge ad abbracciare scelte di sobrietà e di castità
interiore: “Nessuna prosperità ci seduca con le sue lusinghe
– ammonisce San Gregorio Magno –, perché sciocco è
quel viaggiatore che durante il suo percorso si ferma a
guardare i bei prati e dimentica di andare là dove aveva intenzione di arrivare”. Così intesa, la speranza è riflesso di
Cielo, anticipo di futuro, forza che aggancia la libertà alla
responsabilità.
La fiducia nella meta diventa anche invocazione di giustizia,
rispetto a una storia umana insanguinata e intrisa di compromessi con il male; è attesa che la prepotenza e l’odio
non restino l’ultima parola sulla vicenda umana; è chiamata
a lavorare insieme per la pace.
L’orizzonte della vita eterna non dissolve il dramma della
morte, che ci colpisce soprattutto nella separazione dalle
persone che abbiamo amato. Una vicinanza discreta aiuta
chi è nel lutto a non cedere alla disperazione e a far proprio
uno sguardo di fede: “Non vogliamo, fratelli, lasciarvi nell’ignoranza a proposito di quelli che sono morti, perché non siate tristi
come gli altri che non hanno speranza” (1Ts 4, 13). Custodire la
memoria dei nostri defunti significa vivere nella riconoscenza per quanto ci hanno donato, pregare perché siano
avvolti di misericordia e sentirci partecipi di quella comunione dei santi, che aiuta a portare il peso dell’assenza e il
silenzio della solitudine.
Il Card. Joseph Bernardin, malato ormai terminale, al giovane che gli chiedeva come si aspettasse di essere unito a
Dio e ai suoi cari, raccontò che la prima volta che giunse in
Trentino – terra natale dei suoi genitori, poi emigrati negli
Stati Uniti – ebbe l’impressione di esserci già stato. Riconobbe infatti le montagne, il paese, le case, viste tante volte
nell’album fotografico e nei ricordi della madre. E concluse:
“In qualche modo, penso che passare da questa vita alla
vita eterna sia una cosa simile. Sarò a casa”.
1.2 – Insieme per camminare
Un lembo di Cielo ce lo squaderna l’affresco che da qualche
mese impreziosisce l’abside della chiesa perugina, dedicata
ai Santi Biagio e Savino: contemplarlo significa immergersi
in una galleria di testimoni della fede e della carità, memoria
viva che invita ad aggiungere la propria risposta. Vi ritroviamo la ricchezza della Chiesa, una Chiesa di fratelli e di
sorelle, nella quale trova autorevolezza lo stesso servizio
gerarchico; una Chiesa dove proprio la fraternità diventa la
prima forma della missione: “Chi non ha carità reciproca –
avverte ancora San Gregorio Magno – non può annunciare
il Vangelo”.
È uno sguardo ecclesiale che porta a dare forza agli organismi di partecipazione, perché nell’ascolto e nel confronto
ci si aiuti ad assumere gli orientamenti con cui far giungere
agli uomini e alle donne del nostro tempo l’annuncio del
Vangelo.
A livello diocesano quest’ultimo anno ci ha così visti rinnovare il Consiglio presbiterale, il Collegio dei consultori,
il Consiglio dei vicari, il Consiglio pastorale e il Consiglio
affari economici e a far nostro un metodo di lavoro, che
integra sempre più la fase consultiva con quella deliberativa.
Tale impegno chiama in gioco le parrocchie, le unità pastorali e le zone. Non ci è dato di attardarci sulla crisi o sulla
stanchezza dei rispettivi organismi: ripensiamoli secondo
forme agili e funzionali, che siano espressione di una comunità che si coinvolge per il bene di tutti. Contribuiremo
così a realizzare il compito prioritario che Papa Francesco,
fin dall’inizio del suo pontificato, ha affidato al Vescovo:
“Favorisci sempre nella Chiesa diocesana la comunione
missionaria, perseguendo l’ideale delle prime comunità cristiane, nelle quali i credenti avevano un cuor solo e un’anima
sola”.
I lavori dell’Assemblea Generale del Sinodo dei Vescovi
del prossimo ottobre e le Assemblee che la Chiesa italiana
vivrà a novembre e ad aprile saranno ulteriori tappe, che
consentiranno di far sintesi dell’ascolto, del discernimento
e delle riflessioni, emerse nel corso del processo sulla sinodalità avviato fin dal 2021.
1.3 – Per il bene comune
Nella prospettiva di una Chiesa che vive la corresponsabilità
trovano la loro collocazione anche i ministeri dei laici. Nel
dopo Concilio la Chiesa li ha svincolati dal percorso che li
riservava a quanti erano avviati al sacerdozio e li ha proposti
come forme di servizio, suscitate dallo Spirito Santo per il
bene della comunità. Papa Francesco ne ha esteso l’accesso
anche alle donne per una loro più incisiva presenza nella
Chiesa. Non si tratta, perciò, di introdurre rimedi che suppliscano alla carenza di sacerdoti, quanto di riconoscersi
membri dell’unico popolo di Dio, al quale ciascuno corrisponde in virtù della vocazione battesimale: “Vi sono diversi
carismi, ma uno solo è lo Spirito; vi sono diversi ministeri, ma uno
solo è il Signore; vi sono diverse attività, ma uno solo è Dio, che opera
tutto in tutti. A ciascuno è data una manifestazione particolare dello
Spirito per il bene comune” (1Cor 12, 4-7).
In questa luce si inseriscono i ministeri – istituiti in maniera
riconosciuta e stabile – per la cura della Parola di Dio e la
guida di momenti di preghiera e di meditazione (lettore); il
servizio all’altare e agli ammalati, l’animazione di momenti
di adorazione, il coordinamento dei ministri della comunione (accolito); la trasmissione della fede e la formazione
alla vita cristiana, la cura dei catechisti e l’accompagnamento
di altre figure laicali all’interno della comunità (catechista).
Il volto di Chiesa, che i ministeri presuppongono e che insieme contribuiscono a disegnare, sarà approfondito nell’Assemblea diocesana in calendario per il prossimo 23 novembre.
Accanto ai ministeri istituiti, nelle nostre comunità ve ne
sono altri “di fatto”, svolti con fedele generosità da molti
laici, donne e uomini. Guardando a loro, nella Lettera pastorale
dello scorso anno ho avanzato la proposta di costituire
equipe di persone, “sapientemente formate e cordialmente
legate al Vescovo, che lavorino in sintonia con il sacerdote
che le presiede”. L’obiettivo rimane l’edificazione della comunità: nel concreto significa coordinare i servizi essenziali,
garantire l’apertura delle chiese e la tutela del loro patrimonio culturale, la promozione di momenti di preghiera e
d’ascolto della Parola, l’attenzione della carità alle persone
sofferenti e comunque bisognose.
Dopo due anni di servizio episcopale, confermo l’impressione iniziale: con il loro carattere popolare, le nostre parrocchie sono case aperte, luogo di ricerca di senso e di offerta di speranza. Di speranza parla un presbiterio che si
dona al Signore nella prossimità quotidiana alla gente; parla
la testimonianza di diaconi, di religiose e di religiosi, di catechiste e di catechisti, animatori del mondo giovanile, ministri della Comunione, lettori, sacristi e volontari dei Centri
d’ascolto della Caritas; parla la vita dei membri del Cammino
neocatecumenale, della Comunità Magnificat, dell’Azione
Cattolica, del Rinnovamento nello Spirito, dei Focolarini,
di Comunione e Liberazione, del Terz’Ordine Francescano,
degli Scout e degli altri movimenti e realtà che lo Spirito ha
suscitato nella nostra Chiesa. Nuove risposte – per altri
ambiti e ministeri laicali – si aggiungeranno, se sapremo far
spazio e coinvolgere. Sono passi che trovano la loro forza
nel confronto fraterno, pronto a suscitare, riconoscere e
valorizzare ogni disponibilità.
1.4 – Il potere del servizio
Lo scorso agosto, in occasione della festa di San Lorenzo,
Emiliano e Simone sono diventati diaconi permanenti. In
Diocesi sono ormai quasi una cinquantina ad aver ricevuto
l’ordinazione, che li ha resi parte viva – con il Vescovo e il
suo presbiterio – della Chiesa apostolica.
La figura del diacono permanente, ripristinata dal Concilio,
rimane ancora da precisare. Nelle nostre parrocchie e unità
pastorali il loro ministero spazia dalla liturgia alla carità,
dalla catechesi all’aiuto ai parroci nell’amministrazione dei
sacramenti. Molti sono impegnati in responsabilità diocesane: Carlo (Ufficio pastorale del Lavoro), Massimo Pio
(Ufficio Missionario), Simone (Migrantes), Silvio (Insegnamento della Religione Cattolica), Giovanni (Sovvenire), Valerio (Catecumenato degli adulti), Luigi (Candidati al diaconato permanente), Giovanni (Ufficio Patrimonio),
Giampiero (Caritas) e Luciano (Consiglio affari economici).
I diaconi non sono, dunque, né chierichetti né mezzi preti,
ma piuttosto i custodi dell’unico vero potere, che è il potere
del servizio. La loro opera contribuisce ad animare i battezzati al servizio e alla vita comunitaria: gli Atti degli apostoli
testimoniano che è proprio quest’esperienza di fraternità a
suscitare l’apertura alla fede. “Mi aspetto che siate delle sentinelle – avverte il Papa –: sappiate non solo avvistare i
lontani e i poveri, ma aiutate la comunità cristiana ad avvistare Gesù nei poveri e nei lontani, mentre bussa alle nostre
porte attraverso di loro”.
Per approfondire l’esperienza del diaconato permanente
nella nostra Diocesi, insieme con l’equipe che ne cura la
formazione abbiamo pensato di dedicarvi una giornata il
prossimo 21 settembre: la vivremo con i loro parroci e le
loro comunità, in modo da crescere nella relazione e individuare insieme non solo difficoltà o ritardi, ma anche le
condizioni per comprendere e integrare questo ministero
nel tessuto pastorale della nostra Chiesa.
Seconda parte
Introdotti da alcuni racconti, in questa seconda parte della
Lettera metto in fila gli ambiti principali nei quali il Giubileo
ci chiede di seminare speranza, attraverso l’eloquenza dei
segni: famiglia, giovani, anziani, ammalati, poveri, migranti
e carcerati.
2.1 – Famiglia, il viatico per la vita
Quarto potere, capolavoro del regista Orson Welles, inizia
sul letto di morte del protagonista, che pronuncia un’ultima
parola, “Rosabella”, prima che la mano gli si apra e lasci
cadere una boccia di vetro, di quelle che a scuoterle viene
giù la neve. La trama del film, che da qui prende avvio, è la
ricostruzione a più voci della vita di quest’uomo, alla ricerca
della misteriosa “Rosabella”. Vengono passati in rassegna
amori, relazioni, lavoro, soci, cameriere…, ma senza alcun
passo avanti.
La risposta arriva soltanto negli ultimi fotogrammi, quando
la telecamera va a chiudere sul nome, inciso su una piccola
slitta: “Rosabella”, appunto. Il segreto di quell’uomo, temuto
per il suo potere e invidiato per le sue ricchezze, era rimasto
per tutta la vita annodato a quello slittino che lo congiungeva
al mondo dell’infanzia: i lussi venuti dopo non riusciranno
mai a uguagliare il calore degli affetti familiari.
Il racconto riflette l’esperienza di ciascuno. Ciò che siamo
– a partire dal nostro sguardo sulle cose della vita – rimane
debitore di quanto abbiamo respirato in famiglia: con le
sue fragilità e le sue ferite, è la risorsa in cui trova casa il bisogno di ricevere e dare affetto, il luogo in cui ci si educa a
stare insieme, ad accogliersi e a perdonarsi, ad affrontare le
responsabilità. Anche quando certi conflitti al momento
appaiono insanabili; anche quando sia negato o addirittura
rinnegato, il modello familiare rimane il riferimento: se così
non fosse, molti nostri ragazzi non soffrirebbero a tal punto.
Ognuno ha un ruolo e una responsabilità nel custodire la
famiglia: un’amicizia solida può ridare l’ossigeno della fiducia, sostenere il cammino educativo e riaprire quel circuito
di misericordia che prepara la riconciliazione. E può succedere che, così cresciuti, gli stessi figli aiutino i loro adulti
a completare il percorso di maturazione.
Durante il nuovo anno intendiamo intensificare la disponibilità di un Consultorio familiare qualificato, gratuito e
aperto a tutti. Con i responsabili della Pastorale familiare e
il supporto della Casa della Tenerezza e del Centro di formazione pastorale diocesano saranno promossi momenti
di formazione degli animatori dei percorsi per fidanzati,
conviventi e sposi sulla linea del testo “Tessitori di felicità”
e di proposte già sperimentate nelle unità pastorali, quali “I
passi dell’amore” a Castel del Piano. Tali iniziative trovano
continuità nei cammini post-nuziali, previsti dagli “Itinerari
catecumenali per la vita matrimoniale”.
Dire famiglia è dire gratitudine nei confronti di chi, giorno
per giorno, ci ha donato la vita. Quest’esperienza primaria
dell’amore umano rimane la via privilegiata per avvicinare
al mistero di Dio: da gesti semplici e ripetuti di nonni, genitori e parenti siamo stati introdotti alla preghiera, alla fiducia nel Vangelo, a custodire un rapporto personale con il
Signore, a sentirci partecipi della sua stessa vita. Nelle nostre
comunità tocchiamo con mano come la fecondità di ogni
proposta pastorale – a partire dalla catechesi dell’iniziazione
cristiana – sia proporzionata al coinvolgimento della famiglia; e quanto sia arricchente la presenza di coppie che vivono la loro vocazione come forma dell’esistenza cristiana.
La festa della famiglia, che celebriamo nella ricorrenza della
Madonna delle Grazie, non è che un’occasione per far memoria riconoscente di questa realtà e della sua missione.2
Avvertiamo la povertà di una cultura che confina la famiglia
nella sfera del privato, quasi una faccenda legata unicamente
alle scelte dei singoli, dalla scarsa rilevanza pubblica. Ai
nostri amministratori chiediamo di proseguire l’impegno
per riconoscerle piena cittadinanza, a partire dalla qualità
dei servizi, dall’attenzione ad agevolare la conciliazione dei
tempi della casa con quelli del lavoro, da un sistema fiscale
che non penalizzi chi ha figli e riconosca il valore sociale di
quanto una famiglia fa per la loro crescita e la loro educazione. Investire sulla famiglia significa sostenere secondo
giustizia le coppie con figli, i giovani alle prese col mutuo
della prima casa, i portatori di handicap, gli anziani appesi
alla pensione sociale, costretti a volte a rinunciare persino a
curarsi.
La festa della famiglia si svolge domenica 15 settembre 2024: alle 11,
in Cattedrale, in collaborazione con la Confraternita del Sant’Anello.
Nel pomeriggio animazione e attività per bambini in collaborazione
con Isola San Lorenzo.
Tra le iniziative in calendario, la Giornata per la vita (2 febbraio 2025),
preceduta dalla veglia presso la chiesa dell’Ospedale “Santa Maria della
Misericordia” (30 gennaio 2025). Dal 30 maggio al 1° giugno 2025
come Diocesi parteciperemo al Giubileo delle famiglie.
Attorno a questi temi sarebbe sterile attardarsi su posizioni
ideologiche: favoriamo un’alleanza sociale nella quale la visione cristiana e quella laica possano confrontarsi e trovare
modo di convergere per il bene di tutti. La Chiesa è casa
materna, dove – senza discriminazioni – può trovare accoglienza la vita di ciascuno; quella vita di cui affermiamo il
valore indisponibile, come indisponibile nella sua dignità ci
ostiniamo a considerare il corpo della donna e la singolare
relazione tra madre e figlio.
tanto venir trattato come loro, storcono il naso e si lamentano, dimentichi che la condizione di chi staziona sulla
piazza pesa più del lavorare sotto il sole (cfr. Mt 20, 1-16).
Dove langue la speranza, prevalgono le paure e viene meno
anche il desiderio di trasmettere la vita. Per questo il Papa
chiede che “il primo segno di speranza si traduca in pace
per il mondo, che ancora una volta si trova immerso nella
tragedia della guerra”. La terra umbra, a partire dai suoi
Santi e da ciò che Assisi rappresenta, è richiamo alla pace,
alla tutela dei diritti della persona umana e alla giustizia. Informarsi e approfondire le cause dei conflitti, promuovere
accoglienza e segni di condivisione, educarsi a una sobrietà
nei bisogni e nei desideri individuali: come credenti ci sentiamo chiamati a collaborare con le forze sociali e i movimenti che operano per la pace, attraverso orientamenti che
portino ad un cambiamento in ambito spirituale, morale,
sociale, economico, ecologico e culturale .3
2.2 – Giovani, una piazza da abitare
C’è una parabola evangelica nella quale è facile inciampare.
Racconta di operai che stanno sulla piazza disoccupati –
“nessuno ci ha presi a giornata” – e di un Dio sempre sulla
strada, pronto a chiamare a tutte le ore e a coinvolgere tutti
nella sua vigna. A sera, al momento di fare i conti, l’invidia
e l’incapacità di riconoscersi nella generosità del padrone
hanno la meglio in coloro che sono stati nella vigna dal
primo mattino. Quando vedono chi ha faticato un’ora sol“Rimetti a noi i nostri debiti: concedici la tua pace” è il tema scelto
dal Papa per la prossima Giornata mondiale della Pace, che sarà celebrata
il 1° gennaio 2025.
Sulla piazza – a partire da quella delle piattaforme digitali –
sei con le tue paure, il tuo sentirti inadeguato, il timore di
non essere riconosciuto. Sulla piazza, anche fra tanti, resti
solo: nessuno dà un perché alla tua fatica e ai tuoi desideri;
se scompari, chi verrà a cercarti?
“Di segni di speranza hanno bisogno anche coloro che in
se stessi la rappresentano: i giovani”, ricorda Papa Francesco.
Nessuno possiede ricette, ma si intuisce che per andare
loro incontro è necessario uno sguardo rispettoso e fiducioso, che consenta di fare un pezzo di strada insieme.
Benedetto chi non giudica troppo in fretta i ragazzi, ma è
attento a coinvolgerli.
Benedetti i genitori, alle prese con il mestiere più difficile,
quello che si costruisce a prezzo di cicatrici quotidiane.
Benedetti gli insegnanti, gli allenatori, gli animatori e gli
educatori, capaci di accogliere il vissuto dei ragazzi, fino a
diventare figure di riferimento.
Benedetto chi li aiuta a scoprire la strada sulla quale possono
mettere a frutto intelligenza e cuore. A volte anche una
sola parola o un gesto bastano a imprimere la direzione a
una vita intera.
Benedetti i preti che lasciano trasparire di aver consegnato
la vita a un unico Signore: i giovani lo sanno intuire, sanno
riconoscere quando il loro “don” è contento della sua vo17
cazione e dei rapporti che vive nel presbiterio. Queste radici
liberano il sacerdote dalla ricerca di ritorni affettivi o di affermazioni personali; lo portano a testimoniare il primato
di Dio, che dà alla vita la forma del Vangelo.4
Benedetti i tanti giovani che ci fanno respirare sincerità, disponibilità e passione: sono i primi educatori dei loro coetanei. Grazie a ragazze e ragazzi che abbracciano l’anno di
servizio civile: Pietro, Claudia, Giacomo, Gabriele, Raffaele,
Francesco, Franck, Giordano, Melissa, Angela e Giulia
l’hanno appena concluso in Caritas; altri 16 ne hanno raccolto il testimone, a cui si aggiungono quanti l’hanno intrapreso a servizio degli Oratori. Se è vero che adulti si diventa
costruendo insieme un pezzo di paese, la loro esperienza si
rivela un’occasione unica di incontro e di crescita personale,
un percorso formativo all’insegna del volontariato, della
solidarietà e della cittadinanza attiva.
Più che il futuro della comunità, i giovani ne sono componente essenziale. Ci è chiesto di saper ascoltare il loro modo
di abitare questo tempo, la loro sensibilità e la loro ricchezza,
fino a riconoscere in loro una domanda di senso, di cui
prendersi cura con pazienza e passione.
Non ci è dato di preservarli dalle tempeste: i rischi appartengono alla navigazione, vanno di pari passo con il mare
aperto. Se per loro saremo stati casa, potranno però andare
La formazione presbiterale di quest’anno in particolare punterà –
oltre che sugli incontri mensili di zona e su alcuni appuntamenti a
Montemorcino – sugli esercizi spirituali (Assisi, 13-17 gennaio 2025) e
su tre altri momenti di silenzio, ascolto e confronto: 25-26 novembre
2024; 24-25 febbraio e 19-20 maggio 2025.
Vanno nella direzione di un crescere nella stima e nella fraternità sacerdotale anche alcune giornate con il Vescovo in Trentino (15-19 settembre 2024).
lontano, portandone ovunque la memoria: Mariem e Aurora
si sono laureate. Samuele diventa diacono e si prepara al
sacerdozio. Maria Eletta si sposa con Alessandro. Miriam è
entrata nel monastero perugino delle Clarisse di Sant’Erminio. Maria Chiara in quello di Sant’Agnese. Chiara Teresa
ha fatto la professione solenne nel monastero di Santa
Lucia a Città della Pieve. Stefano, Michele e Matteo iniziano
il cammino del Seminario.
I mesi estivi sono stati occasione per un confronto a più riprese con i responsabili dei vari ambiti che in Diocesi hanno
a cuore i giovani: pastorale giovanile, pastorale vocazionale,
pastorale universitaria, pastorale della scuola e coordinamento oratori.
Per arrivare a condividere un progetto educativo è stato
deciso di costituire un’unica area giovani, che ne abbia a
cuore il percorso globale, con l’attenzione a integrare – a
seconda delle fasce d’età – la dimensione affettivo-relazionale, quella vocazionale, caritativa e di impegno sociale, la
dimensione catechetica e quella ludico-ricreativa.
Centrale diventa la zona pastorale: è l’ambiente di vita in
cui verificare i bisogni e declinare le proposte, nonché favorire processi di conoscenza, di coinvolgimento e di collaborazione.5 Il coordinamento zonale consentirà sia di va-
Il primo banco di prova sarà la Missione Giovani (18-27 ottobre
2024): nei giorni 27-29 settembre continua la preparazione a livello
diocesano, accompagnata da incontri sul territorio che diventeranno
anche l’occasione per la presentazione dell’Area giovani, l’individuazione
dei referenti zonali e l’avvio del processo di formazione delle equipe
zonali, con l’attenzione a sostenere le parrocchie maggiormente in difficoltà.
lorizzare le voci dei territori, sia di condividere le linee essenziali, i servizi (Sportlab, Fidanzatissimi, Stand by me,
Caritas Young), gli appuntamenti liturgici e gli eventi messi
a punto a livello diocesano. A tale scopo unica sarà anche
la Consulta con il compito di promuovere la comunione
fra i referenti dei vari ambiti.
L’intenzione è quella di qualificare la pastorale giovanile
innanzitutto come pastorale vocazionale, che educhi alla
vita adulta, al matrimonio cristiano e alla famiglia, al sacerdozio e alla vita consacrata, alle responsabilità professionali
e sociali. Con questo sguardo ogni mese sarà proposta in
tutte le zone la celebrazione di una veglia di preghiera, a
cui si aggiungeranno tre momenti a carattere diocesano, in
concomitanza ai tempi forti dell’anno liturgico.6
2.3 – La malattia e il mistero che chiami vita
Ero poco più di un bambino quando la nostra sorella più
piccola cominciò a non star più sulle gambe. Fu l’inizio di
un periodo di analisi, consulti e ricoveri, che nel giro di
qualche mese la portarono a non riconoscere più nemmeno
la mamma. La dimisero con un referto che non lasciava
La Diocesi parteciperà al Giubileo degli adolescenti (25-27 aprile 2025)
e a quello dei giovani (28 luglio-3 agosto 2025), preceduto dalla giornata
di formazione per il Grest (28 luglio). La prossima estate sarà caratterizzata anche dall’ospitalità di gruppi provenienti da altre Regioni e
Paesi, che uniscono il pellegrinaggio a Roma con quello in Umbria
(25-28 luglio 2025).
Il calendario delle veglie di preghiera, proposte in tutte le zone pastorali: 4 ottobre, 21 novembre, 23 gennaio, 20 febbraio e 15 maggio;
gli appuntamenti diocesani: 19 dicembre (in Cattedrale in preparazione
al Natale), 21 marzo (nella chiesa perugina di San Pietro, verso la
Pasqua) e 7 giugno (in Cattedrale, veglia di Pentecoste). Il Vescovo
parteciperà alla preghiera ogni mese in una zona diversa. L’11 maggio
celebreremo la Giornata mondiale delle vocazioni.
margini. Con lei venne a casa il medico condotto. Invitò i
miei a rassegnarsi, consolandosi con gli altri figli. Dalle risposte dei genitori imparai, più che sui libri che vennero
poi, come ogni persona sia portatrice di uno sguardo insostituibile; dalla loro umile tenacia ho appreso che la speranza
non è virtù da indossare quando non resta altro, ma forza
che sostiene e impegna.
Iniziò un pellegrinaggio che per un paio d’anni vide madre
e figlia far la spola con Milano, dove un ospedale offriva
una cura sperimentale. Una donna della nostra Valle, andata
a servire nella grande città, offrì la sua accoglienza: per lei i
miei familiari erano degli sconosciuti, eppure aprì loro la porta
di casa.
Mille altre volte nella mia vita di prete avrei ritrovato gesti
analoghi. Ho conosciuto tante famiglie nelle quali la fragile
esistenza di un bambino o di un anziano è circondata da
una rete d’amore, dedizione e servizio, rinnovata quotidianamente. Credo in queste persone, nella loro resistenza e
nella loro stanchezza: ho imparato a rispettare i “perché”
disarmanti che a volte pongono al Cielo e a nutrirmi della
loro fede essenziale.
Non che sia facile. La malattia interrompe l’ordine delle
cose, cambia le priorità, costringe a deporre nel vestibolo
di ieri progetti, impegni e abitudini, proprio come avviene
con i giochi dell’infanzia. Coinvolge l’intera famiglia, la
carica d’incertezze, preoccupazioni e impegni gravosi:
quanto è decisivo che non sia lasciata sola a misurarsi con
pesi che schiacciano, specie quando finiscono per scaricarsi
su un’unica persona.
Se non ci si può illudere di vivere senza soffrire, non si può
nemmeno soffrire senza sperare. Perché non è la sofferenza
che santifica, ma semmai il modo di interpretarla e di viverla;
la stessa preghiera, più che richiesta di guarigione fisica, è
forza d’affidamento con cui affrontare senza smarrirsi il
percorso delle terapie.
namente delle fragilità fisiche e psichiche: nei nostri reparti
ospedalieri lavorano uomini e donne, la cui professionalità
e umanità deve poter incontrare la stima di tutta la comunità.
2.4 – A invecchiare s’impara
Il Signore Gesù non si è mai sottratto all’incontro con il
sofferente, anzi, gli si è fatto prossimo: ai suoi occhi non ci
sono intoccabili, le caste non trovano cittadinanza nel suo
regno. Indossa le vesti di uno di loro –“Egli ha preso le nostre
infermità e si è caricato delle malattie” (Mt 8, 17) – e dirà a
quanti l’hanno assistito: “Venite, benedetti del Padre mio…”
(Mt 25, 34).
Nell’esempio che ci ha lasciato, troviamo una porta spalancata: attraversiamone la soglia in punta di piedi, con sobrietà
e rispetto per la storia di ciascuno: l’Anno santo ci aiuti a
intensificare la nostra presenza accanto alle persone ammalate e ai loro familiari; oltre che come sacerdoti, orientiamo la prossimità di diaconi e di ministri della comunione.
La Giornata del malato, che celebreremo l’11 febbraio, sarà
vera se vissuta nella quotidianità.
Di questa fedeltà sono segno i nostri cappellani ospedalieri:
don Domenico all’Istituto Seppilli, don Abele presso Fontenuovo e don Andrea all’Istituto Donini di Perugia; p.
Luigi, p. Alessandro, p. Salvatore e p. Nazzareno, ministri
della consolazione nell’Ospedale S. Maria della Misericordia;
don Wladimiro, don Giovanni, don Piotr e don Matteo all’Opera don Guanella7; suor Adriana, suor Maria Chiara e
suor Stefanina a Villa Nazarena a Pozzuolo.
Accanto a loro, la gratitudine va agli operatori sanitari che
– con l’agire del proprio ruolo – si fanno carico quotidia22
Quest’estate, in occasione della Giornata mondiale dei
nonni, Papa Francesco ci ha consegnato l’esempio biblico
di Rut, giovane nuora di Noemi. Quest’ultima incarna la figura della persona anziana che, con il venir meno del proprio
ruolo sociale e il declino delle forze, è presa da una sensazione di inutilità, che la spinge a farsi da parte.
Rut, però, non accetta di lasciare sola Noemi: “Non insistere
con me che ti abbandoni – dice, rivolta alla suocera – perché dove
andrai tu, andrò anch’io e dove ti fermerai, mi fermerò” (Rt 1, 16).
La sua scelta di fedeltà rimette in circolo la speranza.
Quante Rut nelle nostre case ci testimoniano il rispetto per
la dignità infinita di ogni persona! Hanno per lo più il volto
di figli e di nipoti, che non si sottraggono alla fatica di conciliare gli impegni del lavoro e della scuola con quelli della
cura. Altre volte sono donne venute dall’Est o dal Sud del
mondo, donne di fede profonda quanto la loro sofferenza
per la lontananza dagli affetti.
Altre Rut le ho riconosciute nel personale delle Case di riposo, negli Ospedali di Comunità, in Case-famiglia, in Centri
A novembre sarà inaugurata, presso l’Opera don Guanella-Centro
Sereni di Perugia, una residenza protetta per anziani: offrirà ai disabili
del territorio la possibilità di essere accuditi e aiutati nelle capacità residue, a testimonianza di come la vita sia per tutti un dono che va custodito sempre.
diurni e in tante realtà del privato sociale che innervano il
territorio perugino–pievese.
Gli anziani sono parte qualificante della comunità cristiana.
Visitarli è versare olio di consolazione sulle loro giornate;
e, allo stesso tempo, quest’opera di misericordia restituisce
un beneficio inestimabile a chi la compie.
Vissuto così, il Giubileo può costituire un’occasione per
rafforzare percorsi virtuosi di incontro tra le generazioni.
Vi contribuisce anche il miglioramento della qualità della
vita degli ultimi decenni, che – in una sorta di capovolgimento dei ruoli sociali – coinvolge tante persone anziane,
divenute braccia e cuore per le nuove famiglie. La loro pensione va a sostenerne le spese, integra la rata del mutuo
della casa, dà una mano quando c’è da cambiare la macchina
o il vestito, accompagna la vacanza-studio del nipote…
Con la loro esperienza rappresentano – come scrive il Papa
– la cinghia di “trasmissione della fede e della saggezza di
vita alle generazioni più giovani”.
Sono cittadini attivi: almeno fino alla pandemia, un terzo
di loro aveva in tasca la tessera di un’associazione e uno su
dieci era impegnato regolarmente in qualche attività di volontariato. La disponibilità, le competenze e i servizi offerti
dagli anziani sono un tesoro da valorizzare: permette loro
di non sciuparsi nell’inerzia e arricchisce di presenze sagge
e operose la comunità ecclesiale come quella civile.
Cosa augurare ai nostri anziani nella circostanza dell’Anno
giubilare? Forse potrebbero bastare poche parole di Romano
Guardini: la vecchiaia non sia per nessuno soltanto la conclusione della vita, ma possa avere un senso proprio e,
forse, persino un senso buono e profondo.
Per non chiudersi nel rimpianto delle occasioni perdute,
nei sensi di colpa o nella rabbia per i torti – veri e presunti
– subiti, all’anziano serve darsi nuove ragioni di vita. Difficilmente le potrà trovare in evasioni alienanti, offerte a
buon mercato dalla macchina consumistica. Le motivazioni
vengono dal superamento dell’eccessiva preoccupazione di
sé; nascono dal coltivare curiosità intellettuale e dal porre
attenzione agli altri e al loro bene; crescono nella proporzione in cui si coltiva il proprio mondo interiore, di cui è
parte sostanziale la fede, che consente di affrontare senza
disperare anche l’ultimo passaggio: “Se noi abbiamo avuto speranza in Cristo soltanto per questa vita, siamo da commiserare più
di tutti gli uomini. Ora, invece, Cristo è risorto dai morti, primizia
di coloro che sono morti” (1Cor 15, 19-20).
Qualche anno fa, un amico missionario, p. Gabriele Ferrari,
parlando ai religiosi, li esortava a non subire né negare la
terza età, ma a saperla portare, anche con le perdite che la
segnano. Per farlo non indicava particolari tecniche, ma
suggeriva di approfondire un cammino spirituale, nutrito
con la fedeltà della preghiera, l’ascolto orante della Parola
di Dio, l’abbandono fiducioso in Lui.
Nessun cammino s’improvvisa. Durante l’Anno santo sarà
importante riuscire nelle nostre comunità a metterne a tema
le tappe: aiuterà l’anziano a riconciliarsi con la propria condizione, a non assolutizzare le proprie idee, a dar prova di
pazienza e di riconoscenza, di tenerezza e di compassione;
a provare ancora stupore davanti alla bontà e alla bellezza,
fino a saper passare la mano con fiducia: “Ti ho lasciato un
foglio sulla scrivania, manca solo un verso a quella poesia,
puoi finirla tu…”.8
Il riferimento è al duetto fra Alfa (pseudonimo di Andrea De Filippi)
2.5 – Poveri, il mantello della carità
Bassi salari, precarietà diffusa, peso dei canoni di locazione,
difficoltà nella gestione del bilancio familiare: una serie di
concause contribuisce alla diffusione della povertà anche
tra fasce sociali che ieri ne erano al riparo. È sufficiente
sfogliare il “Rapporto sulle povertà e le risorse” della Caritas
diocesana con un occhio alle cifre delle persone accolte,
per intuire la reale portata dei problemi in cui tanti sono
costretti a dibattersi.
Rosaria e Orazio mantengono ancora un legame profondo
con la Caritas, di tanto in tanto passano per un saluto, lasciando immancabilmente una pianta fiorita ai piedi della
Vergine Maria. Quando vi bussarono la prima volta erano
in una condizione di grave emergenza abitativa ed economica. L’accompagnamento costante da parte degli operatori
della Caritas ha permesso loro di sentirsi sostenuti negli
adempimenti burocratici relativi alla pensione, nell’accesso
ai servizi sanitari e nella stessa dinamica di coppia: un sostegno che ha fatto emergere in loro le potenzialità con cui
rialzarsi e ritrovare la propria indipendenza. Dopo tre anni
di accoglienza al Villaggio della Carità e un progetto di
reinserimento abitativo, sono riusciti ad ottenere una casa
in affitto. Oggi non hanno più bisogno di usufruire nemmeno dell’Emporio della Solidarietà.
Don Marco, direttore della nostra Caritas, me ne racconta
la storia, a conferma di quanto sia importante riuscire a ottenere la fiducia della persona in difficoltà, così che impari
e Roberto Vecchioni – presentato all’ultimo Festival di Sanremo – dove
nel finale l’ottantenne professore lascia la parola al ventenne, senza
smettere di accompagnarlo: in silenzio, ascolta il giovane, apprezzando
lo stile e le parole con cui completa il testo della canzone.
a confrontarsi e, per il periodo che serve, anche a lasciarsi
guidare. È un lavoro delicato, che – con la sensibilità e la
competenza dei nostri operatori – punta a far sì che le persone tornino a camminare con le loro gambe.
“Di fronte al susseguirsi di sempre nuove ondate di impoverimento, c’è il rischio di abituarsi”, scrive il Papa nella
Bolla con cui indice il Giubileo. La risposta offerta dalla
Caritas è agli antipodi della rassegnazione, come pure dell’assistenzialismo. Non si ferma nemmeno alla denuncia
dei problemi: nel documentarli con puntualità, si prende
cura delle persone per consentire loro di affrontarli. In
Diocesi ho conosciuto una Caritas che si rigenera quotidianamente in un’esperienza di preghiera e di fede; è una
realtà che non pretende di far da sola, né si arroga alcun diritto di prelazione; stimola il lavoro di rete ed educa la comunità nell’intento che ciascuno risponda con responsabilità. È una pedagogia che punta alla difesa della vita e alla
promozione dei diritti delle persone e delle famiglie, nella
ricerca di ogni possibile alleanza con cui realizzare azioni
costruttive a beneficio di tutti.
Le risposte non si fanno attendere. Il servizio della nostra
Caritas incontra una comunità generosa, che sa rimboccarsi
le maniche con l’intelligenza del cuore; una comunità che,
anche con la più piccola azione caritativa, genera a livello
sociale un incredibile effetto moltiplicatore. Lavorano in
questa direzione i volontari dei 41 Centri d’Ascolto, i donatori, il Banco Farmaceutico e quello Alimentare, i Supermercati e gli Esercizi coinvolti nel progetto di riduzione
degli sprechi alimentari, i Servizi sociali territoriali e il
Centro di salute mentale. È un respiro che anima le Case
della Carità di Sanfatucchio, Madonna dei Bagni, Grondici,
Foligno e Casa Kosovo.
Alla vigilia di quest’anno giubilare chiedo a tutte le parrocchie di sostenere l’impegno della Caritas, dedicando in particolare la terza domenica d’Avvento (15 dicembre) e la
quarta di Quaresima (30 marzo) a una colletta di solidarietà.
Il prossimo 17 novembre, in comunione con il Papa vivremo, inoltre, la Giornata mondiale dei poveri.
In particolare, sentiamoci coinvolti nell’individuazione e
nel reperimento di immobili da mettere a disposizione per
rispondere all’emergenza abitativa: è il presupposto che
consente a singoli e famiglie di non impoverirsi ulteriormente e di tornare a sperare.
2.6 – Migranti, il pane della dignità
Diversi anni fa ho passato un breve periodo in Eritrea. Il
governo dittatoriale – il medesimo che è al potere ancor
oggi – espelleva tutti i missionari. Trovo la capitale, Asmara,
priva perfino della farina. Manca lo zucchero. Per il pane si
fa la coda e lo si acquista soltanto con la tessera. Il gasolio
è razionato. Nessuno può lasciare la città senza permesso.
La circolazione nel Paese passa da un posto di blocco all’altro.
Si ferma un camion. Ne scendono in fretta alcuni militari.
Ragazzi e ragazze sono fatti salire a forza sul cassone e
portati per un tempo senza fine nei centri di addestramento.
Antonius, Patriarca della Chiesa ortodossa, ha provato a
dirsi contrario: il regime l’ha deposto e messo agli arresti;
quindi, ha convocato il Sinodo della Chiesa e nominato il
suo successore…
I giornalisti dissidenti sono stati uccisi. Altri imprigionati
da anni in località segrete. Chiusi i media, chiusa l’Università.
I dispensari, le cliniche e gli ospedali – fondati e gestiti dai
nostri religiosi – requisiti e nazionalizzati. Così le scuole.
Per molti ragazzi significa tornare sulla strada a sniffare
colla e vivere di espedienti. I giovani sognano di scappare,
pur nella consapevolezza di esporre i familiari a pesanti ritorsioni. Sanno anche che, se presi, verranno torturati. Per
chi riesce a farcela, il futuro si chiama Unione Europea.
Alle spalle i 2000 euro sborsati per poter raggiungere il Sudan. Poi altri per attraversare il deserto libico. E altri ancora
per varcare un braccio di Mediterraneo, che per molti si rivelerà tombale.
“La nostra vocazione ci ha portati in mezzo a questo popolo
– mi dice tra le lacrime un’anziana suora italiana, in Eritrea
dal 1946 –: non maltrattate quanti fuggono dalla persecuzione e sono semplicemente alla ricerca di libertà e di vita”.
La medesima richiesta ce la rinnova il Giubileo, chiedendoci
di non far mancare “segni di speranza” a quanti “abbandonano la loro terra alla ricerca di una vita migliore per se
stessi e le loro famiglie”.
Per anni abbiamo pensato che la presenza migrante fosse
momentanea, legata a un’emergenza. Oggi ci accorgiamo
che è stabile, strutturale, destinata a radicarsi, a diventare
parte integrante del nostro tessuto sociale. Ogni passo che
allontana dai pregiudizi e dalle paure, dalle semplificazioni
e dalle forzature ideologiche, è fonte di conoscenza e di incontro, di collaborazione e di reciproco arricchimento.
Pur nella complessità del fenomeno migratorio, l’accoglienza
è destinata a rivelarsi l’investimento migliore. Il nostro Paese
invecchia in un rigido inverno demografico. Ampi settori
del mondo del lavoro faticano a trovare disponibilità. In
molte nostre case si fermerebbe la famiglia, se anziani e
ammalati non fossero assistiti da persone dell’Est e del Sud
del mondo.
conoscere a ciascuno il pane della dignità. Loro, di per sé,
l’hanno già pagato tante volte e a caro prezzo.9
Soprattutto, chi arriva è spesso portatore di valori che noi
rischiamo di aver lasciato inaridire: la famiglia, la custodia
della vita, la cultura e la religiosità popolare, la speranza
che si fa tenacia, costanza e spirito di sacrificio, più forte di
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