
L’Europa sta affrontando una crisi industriale senza precedenti, e l’Italia non fa eccezione. Le recenti notizie su Volkswagen, che sta valutando la chiusura di stabilimenti in Germania a causa della concorrenza delle auto cinesi, devono suonare come un campanello d’allarme anche per il nostro Paese. Con la Cina che avanza impetuosamente nel mercato europeo, raggiungendo una quota record dell’11% a giugno e con previsioni di un quarto del mercato dei veicoli elettrici entro la fine dell’anno, la domanda non è più se dobbiamo agire, ma come farlo prima che sia troppo tardi.
La vendita delle nostre aziende strategiche agli stranieri è stata un errore colossale che ha messo a repentaglio l’identità nazionale. La cessione di marchi storici italiani ai francesi, culminata nella creazione di Stellantis, ha rappresentato non solo una perdita economica, ma anche un tradimento del nostro patrimonio industriale. L’Italia, una volta orgogliosa delle sue eccellenze nel settore automobilistico, ora deve fare i conti con la realtà di essere diventata una “terra di conquista”, priva di radici forti e con un futuro industriale sempre più incerto.
Il caso Stellantis è emblematico. Da quando è nata per mano di Carlos Tavares, l’Italia si è trovata in balia di un gigante industriale che sembra più interessato a fare leva sull’alzata dei toni e pressioni per ottenere sussidi pubblici, piuttosto che a valorizzare il patrimonio che ha acquisito. Come è possibile che il nostro Paese, che per decenni ha sostenuto la FIAT con le proprie tasse, ora si trovi a subire queste umiliazioni senza una reazione adeguata?
La soluzione non è complicata, ma richiede una volontà politica ferrea: è il momento di nazionalizzare le aziende strategiche e ricostituire un nuovo IRI (Istituto per la Ricostruzione Industriale). Solo così possiamo sperare di salvare l’industria italiana dal degrado e dall’abbandono. La nazionalizzazione non è una scelta ideologica, ma una necessità economica e strategica. Se l’Italia vuole mantenere la sua sovranità industriale e garantire un futuro ai propri lavoratori, deve riprendere il controllo delle sue risorse chiave.
La distruzione dell’Alitalia e la crisi dell’indotto automobilistico sono sintomi di una malattia più profonda: la mancanza di visione e coraggio da parte delle nostre élite politiche. Mentre ci si perde dietro polemiche sterili e scandali mediatici, le vere questioni, quelle che riguardano il futuro del Paese, vengono ignorate. Non possiamo permettere che migliaia di lavoratori perdano il loro posto di lavoro e il loro futuro a causa di una leadership incapace di prendere decisioni difficili ma necessarie.
È ora di rispondere a chi ci minaccia con chiusure e cassa integrazione, riaffermando il controllo statale su settori vitali per l’economia nazionale. Nazionalizzare significa proteggere i nostri interessi, significa difendere ciò che è nostro e garantire che le generazioni future possano ancora contare su un’industria forte e indipendente.
L’Italia ha bisogno di tornare a fare squadra, a tifare per se stessa, a riscoprire quel patriottismo economico che ha fatto grande il nostro Paese nel passato. Solo così possiamo sperare di evitare che la nostra economia finisca in malora, lasciando il campo libero a potenze straniere che vedono nella nostra debolezza un’opportunità per conquistare. La partita è ancora aperta, ma il tempo sta per scadere. L’Italia deve agire ora, prima che sia troppo tardi.