
30 Aprile, 2024. In contrada ‘Cavatelle’, penetrando nel bosco le narici si riempiono dell’odore agrodolce di humus inumidito dalla prima rugiada; potrebbe essere una delle tante mattine di primavera pastenese, ma non lo è. Nell’aria si respira un atmosfera assolutamente diversa, tutto è in movimento e, allo stesso tempo, tutto sembra immobile, proprio come una storia raccontata mille volte, ma che sa sempre di nuovo. Sta per iniziare un viaggio straordinario: quello di un albero, e per l’esattezza di un ‘Cerro’ (Quercus cerris), che lascerà la ‘natura selvaggia’ per entrare progressivamente nel ‘mondo degli uomini’, fino ad incarnare un’intera comunità, quella di Pastena, un piccolo borgo della provincia di Frosinone, immerso in un paesaggio da mozzafiato. Circa due settimana prima, quell’albero era stato prescelto dalla comunità (le prime fasi del rito sono state descritte qui: https://agenparl.eu/2024/04/17/lazio-un-nuovo-maggio-per-pastena-la-tradizione-si-rinnova/
Sul tronco del cerro, era stata intaccata una croce: una sorta di ‘battesimo’, grazie al quale l’albero si sarebbe trasformato nel ‘Maggio’, diventando membro, a tutti gli effetti, della collettività pastenese e, al contempo, diretto partecipe e testimone del mistero della ‘Santissima Croce’. È l’inizio di una nuova vita che richiederà la morte dell’albero e che lo rivedrà poi innalzato nell’ ‘acropoli’ (la parte più alta del paese), a pochi metri dal ‘tempio’ (la chiesa di Santa Maria Maggiore). Il destino di quest’albero, suggerisce l’immagine biblica ‘del seme che deve morire per produrre molto frutto’ (Gv 12, 24-26). Anche in questo caso, ci si confronta con quella dimensione di morte che da vita, una morte vivificante perché trasforma l’albero di cerro in ‘Maggio’. Il frutto di questa morte, o meglio di questa trasformazione, è un ‘Dare’ che, nel caso specifico, si concretizza nella capacità di ristabilire e riarmonizzare i legami sociali tra membri di una stessa collettività umana, assicurandole prosperità, abbondanza, buoni raccolti e salute per gli uomini e il loro bestiame. Così, il destino di una pianta diventa tutt’uno con il destino di un’intera comunità, attraverso una serie di fasi complesse, in cui il ‘Maggio’ e i ‘cives‘ (cittadini), camminando insieme, percorreranno gli oltre cinque chilometri che separano il bosco dal centro storico di Pastena. In verità, sarebbe riduttivo misurare questa distanza, relativamente breve, con una semplice unità di misura. Trattasi, di fatto, di un vero e proprio ‘divario ontologico’, perché ha a che fare con la trasformazione esistenziale del ‘Maggio’ da albero selvatico ad una sorta di ‘civis egregius‘ (cittadino insigne) e catalizzatore vitale di un’intera comunità; nonché tramite e testimone del rinnovamento di questa. Intanto, in prossimità dell’area dove è avvenuto l’abbattimento del ‘Maggio’, si procede a piantare un giovane cipresso.
Il ‘Maggio’, in segno di rispetto, dovrà essere condotto a Pastena con tutta la sua cima (parte apicale). La cima, difatti, è la parte della pianta che guarda verso il cielo, quella che si fa strada tra l’intrico della vegetazione circostante, per assorbire la luce che la rinforza e la farà crescere e svettare, ogni anno di più, verso l’alto. La cima del ‘Maggio’ racchiude parte della sua bellezza e della sua forza, di cui non potrà essere privato, fino alla mattina del 1° Maggio, quando si potrà finalmente rimuoverla a colpi di scure, sostituendola – quasi immediatamente – con qualcosa di infinitamente più grande, una lunga croce di legno, il simbolo massimo della Cristianità. Trattasi quindi non di una ‘decapitazione’ ma bensì di un’incoronazione, che nobilita’ il ‘Maggio’, prima che questo sia definitamente innalzato nell’acropoli, sancendo la sua fase definitiva di ‘integrazione’ nella società pastenese e nella sua cosmogonia. Quando tutto ciò accadrà, il ‘Maggio’ sarà libero di svolgere la sua funzione apotropaica nei confronti dell’intera comunità (ovvero assicurerà abbondanza, prosperità e protezione da qualsiasi influsso maligno).
Ma ritorniamo adesso nel bosco delle ‘Cavatelle’, è qui che inizia la metamorfosi o trasmutazione del ‘Maggio’ che perderà, progressivamente, ogni elemento della sua ‘naturalità’ (rami, foglie, corteccia e quant’altro), ovvero della sua vita passata di albero. Il giorno 30 Aprile, poco dopo lo spuntare dell’alba, Don Luigi (il sacerdote), accompagnato dai Mastri di Festa e da una nutrita rappresentanza di pastenesi, raggiunge il ‘Maggio’, recita le omelie di rito e da la benedizione. Subito dopo, i Mastri di Festa – dopo aver fatto il segno della croce – iniziano la loro danza di colpi d’ascia ben cadenzati, infliggendo dei fendenti precisi alla base del ‘Maggio’ dandogli, così, l’inclinazione giusta per garantirne una caduta sicura. I loro nomi, insieme a quelli dei tagliatori, sono scritti su un taccuino, e ognuno – quando giunge il proprio turno – sarà chiamato a dare il suo contributo individuale. Oltre ai tagliatori, anche i figli e le figlie dei Mastri di Festa possono assestare il loro primo colpo d’ascia, ma si tratta d’intacchi superficiali e spesso imprecisi, visto che i giovanissimi non hanno ne’ la destrezza, ne’ la forza per competere con l’esperienza decennale dei tagliatori. Colpo dopo colpo, inizia ad apparire il ‘durame’, la parte più interna e più scura del legno; è formata da cellule morte che non trasportano più linfa, ma sono rese quanto mai dure dalla lignina. Ora la lama dell’ascia fa maggior fatica a penetrare ma, nonostante tutto, continua inesorabile. Scaglia dopo scaglia, il ‘Maggio’ perde parte della sua ‘natura selvaggia’ e, al contempo, assorbe l’energia vitale di quelle decine di mani che si alternano nel taglio, quasi una sorta di ‘magia contagiosa’ dove gli impulsi, e l’effetto di un contatto, si trasferiscono dalle persone al ‘Maggio’. Ad ogni colpo, l’albero si indebolisce e il ‘Maggio’ si rinforza. Sono momenti di assoluta ‘suspense’, si attende la caduta imminente di un ‘gigante’ di oltre 22 metri d’altezza e di 1,48 di diametro (misurazione presa a circa 1,5m dal terreno). L’incrinarsi del ‘Maggio’ e la sua caduta sono anticipati da un attesa trepidante e, subito dopo, segue un’esplosione di grida, applausi e gli spari dei fucilieri. La foresta è attraversata, in lungo e in largo, da un tripudio di umanità. Subito dopo l’impatto al suolo, si controlla immediatamente se, durante la caduta, la cima dell’albero, o una parte di esso, sia rimasto danneggiato. Per fortuna, il ‘Maggio’ è ancora integro!. Riinizia, cosi, il lavoro delle scuri e si procede alla rimozione dei rami, lasciando indenni quelli apicali. Il bosco, privato della chioma del ‘Maggio’ fa filtrare, nella sua la penombra, un raggio di luce che va a posarsi proprio su una giovane donna. La vedo avvicinarsi lentamente, scandagliando con occhi attenti il terreno circostante, per poi piegarsi e raccogliere alcune delle scaglie di legno staccatesi dalla madre pianta, durante il taglio. Le scaglie diventeranno ‘cimeli’ e saranno conservate come ‘simulacri’, testimonianze indelebili delle prime trasformazioni del ‘Maggio’ e dell’inizio della sua nuova ‘vita sociale’. Invece, le sue radici rimarranno ancorate al terreno che gli diede i natali, in quella foresta dove tutto è possibile e dove tutto ebbe luogo e che forse già nasconde un nuovo prescelto: il ‘Maggio’ dell’anno che verrà.
Nel tentativo di superare una difficoltosa salita, il ‘Maggio’ viene fatto scivolare su tronchi lunghi oltre un metro; gli uomini più forti contribuiranno alla complessa operazione, grazie ad un sistema di leve e avvalendosi dell’uso di pertiche chiamate ‘manovelle‘. Chi dirige l’enorme cordata, da indicazioni costanti su dove posizionarle, offrendo suggerimenti sul da farsi, soprattutto quando sorgono nuovi imprevisti. Infine, viene collocata una corda intorno al ‘Maggio’, divisa in una doppia linea, in modo che a tirarla ci siano due lunghissime file di persone disposte sia sul lato destro che su quello sinistro. Al grido di ‘Evviva la Santissima Croce!’ la fune inizia a tendersi, i muscoli di una moltitudine di persone sono adesso contratti all’unisono per affrontare l’immane sforzo. Il cuore sonoro e pulsante di quest’impresa collettiva è quello del tamburo che interseca e si sovrappone al battito cardiaco della miriade di uomini e donne che lavorano in tandem.
Raggiunto un determinato punto del bosco, alcuni giovani brandiscono degli enormi martelli e affondano nel tronco del ‘Maggio’ due chiodi molto spessi (li cavicchie), muniti di un grande anello a cui saranno collegate le catene, e a queste le corde. Alcune fasi della preparazione del ‘Maggio’, dal suo inchiodamento, fino all’innalzamento finale, si incrociano con l’iconografia sacrale della passione. La forma di questi chiodi è stata tramandata di generazione in generazione, ma circa ogni 10/15 anni, a causa dell’usura, devono essere rifatti, ovviamente, seguendo il modello originale. La simbologia del chiodo è evocativa dell’inalterabilità di quei sentimenti, a cui nessuna forza umana o naturale può opporsi o cancellare, come, appunto, inalterabile è la volontà dei pastenesi a tramandarsi questo rito, chissà da quante generazioni orsono. In seguito, il sollevamento del ‘Maggio’, nell’omonima piazza, evocherà altre simili suggestioni legate all’ ‘esaltazione’ della croce, un termine da interpretarsi nella sua etimologia più antica, ovvero come ‘innalzamento’ ed ‘ostensione’. A riprova di tutto questo, uno dei Mastri di Festa, a parole sue, mi fa notare che “la fatica esercitata nel trasporto del ‘Maggio’ è la stessa fatica della passione di Cristo”.
Siamo ancora all’interno del bosco, quando ha inizio ‘la conta’. I bovari, abbassano contemporaneamente il pugno, distendendo una o più dita, mentre un membro della comunità inizia a contarle, effettuando il calcolo per sorteggiare i primi tre bovari che dovranno attaccare al ‘Maggio’ le loro vacche bianche, tenute unite da un robusto giogo. Si inizia a contare in senso antiorario, dal più giovane al più anziano o viceversa. Intanto i rami apicali del ‘Maggio’ sono stati legati insieme, per evitare che le loro estremità possano danneggiarsi o ‘schiaffeggiare’ inavvertitamente qualche partecipante. Qualcuno prova a tirare il ‘Maggio’ con due coppie di mucche ma, spesso, i movimenti tra queste non sono ben coordinati e si rischia, così, di rendere più difficile il trasporto, invece di alleggerirlo. Davanti al corteo, sfila la ‘vaccarella sacra’ con la mantellina rossa e il suo giovane proprietario che l’assiste paziente, durante l’intero percorso.
Mentre il ‘Maggio’ viene trascinato fuori dal bosco, scorgo nella macchia alcuni olivi completamente abbandonati, sovrastati dalla vegetazione spontanea. Quindi, mi dico: un tempo, anche questo bosco era terra coltivata, che lentamente la natura ha voluto riprendersi, obliterando il lavoro degli uomini. Proprio al limite di questo spazio conteso tra ‘natura’ e ‘cultura’, è nato il ‘Maggio’ del 2024. Oggi, come in un’antica profezia, i discendenti di quei vecchi contadini pastenesi, che a suo tempo coltivarono queste terre, hanno deciso di sottrarre al bosco uno dei suoi alberi più belli, quasi si trattasse di una sorta di rivalsa per gli olivi ‘perduti’ e ormai attanagliati dai rovi, chissà da quanti anni. Questa, ovviamente, è soltanto una mia riflessione, una suggestione, del tutto personale.
Si procede adesso più celermente; ogni metro guadagnato è quasi una conquista epica e, dopo ogni sforzo, seguono applausi e grida d’incitamento. E’ un continuo motivarsi e incoraggiarsi a vicenda. Indipendente da chi è più forte o più debole, dal bovaro più o meno capace, tutti riceveranno un ‘Bravo’! e la medesima quantità di applausi. Il numero di metri da percorrere, per raggiungere Pastena, viene equamente suddiviso tra i bovari, per cui – ad ognuno – spetterà lo stesso numero di metri. Tuttavia, possono verificarsi errori di calcolo ed approssimazioni inesatte, che portano alcuni bovari a percorrere più metri rispetto ad altri e questo può diventare motivo di dispute e incomprensioni. A parte questo, ognuno partecipa al trasporto del ‘Maggio’, in base alle proprie capacità e alla propria abilità e – colpo dopo colpo – questo viene tirato fuori dalla foresta, fin giù la strada che lo condurrà nella sua nuova dimora: l’acropoli di Pastena. L’impresa è collettiva e non vengono mai celebrati i meriti individuali.
Prima delle undici si sarebbe dovuto raggiungere il cimitero ma, questa volta, siamo in abbondante ritardo. Il ‘Maggio’ viene adagiato in un luogo ben preciso ‘dal quale non è ancora possibile guardare Pastena’, e lì che dovrà riposare, mentre anche la gente si concede una meritata pausa, dissetandosi e mettendo sotto i denti qualche panino farcito. Però, non si tratta di una semplice pausa. Sembrerebbe, che il luogo dove viene fatto sostare il ‘Maggio’ rappresenti una sorta di spazio liminale (dal latino limen – minis, che letteralmente significa soglia). Liminale contiene, quindi, il significato di ‘confine’, una condizione fisica e psicologica che stabilisce lo spazio dell’ ‘appena prima’, ovvero il momento che anticipa un passaggio importante e irreversibile. E’ qui che al ‘Maggio’ viene offerto un momento di pausa, affinché possa accettare questa sua fase di transizione, ovvero, il cambiamento del proprio ‘sé’ da ‘albero’ a membro, a tutti gli effetti, della comunità pastenese. La grande curva di Sant’Antonio, appena oltre il cimitero, è quindi il ‘limite’, la ‘soglia’ prima che l’occhio incontri Pastena e le sue prime case, insomma l’ultimo punto che sancisce, a tutti gli effetti, l’ingresso del ‘Maggio’ nella sfera culturale e religiosa dei pastenesi. Ascoltando i discorsi dei più anziani, si ha quindi l’impressione che si voglia dare al ‘Maggio’ la possibilità di prepararsi al passaggio che lo attende: la sua nuova fase di aggregazione con la collettività umana. E’ proprio nell’ambito di questa pausa, che il ‘Maggio’ dovrà definitivamente abbandonare la condizione di certezza del suo status precedente, ristabilendo un nuovo equilibrio. Sembrerebbe, poi, che questa pausa è anche associata all’idea di voler concedere alle anime degli ormai defunti Mastri di Festa, l’onore di contemplate il passaggio del nuovo ‘Maggio’.
Raggiunta ‘Porta Napoli’, nella parte bassa del paese, si procede ad effettuare una manovra del ‘Maggio’, affinché entri di punta (ovvero dalla parte della chioma) nel suo luogo di destinazione definitiva, ovvero quel luogo che ho definito come ‘acropoli’ di Pastena. Così, il ‘Maggio’ si troverà posizionato correttamente per il momento del suo innalzamento, che avverrà la mattina seguente. Sono circa le quattro di pomeriggio, ed il ‘Maggio’ viene lasciato all’imbocco della ripidissima salita da cui si raggiunge la Chiesa di Santa Maria Maggiore. Tutti, adesso, confluiscono alla casa del Mastro di Festa per un meritato rinfresco. Ci si incontrerà poi in Chiesa, qualche ora dopo, per la funzione delle ventitré. Il buio è nuovamente calato su Pastena, le luci dei pochi lampioni si riflettono sul selciato, e c’è chi ha deciso di godersi lo spettacolo dalle finestre delle proprie case; anche il riverbero di quelle luci contribuisce a rendere ancor più suggestiva l’atmosfera. Ci stiamo avvicinando, infatti, al momento dell’ ‘Abbusso’ (la bussata), la fase più importante dell’intera giornata. La celebrazione notturna e appena terminata, Don Luigi (parroco di Pastena da ben 10 anni) preleva dall’altare un crocifisso ligneo in cui, si dice, sia incastonata un frammento della reliquia della SS. Croce. In un silenzio traboccante di trepidante attesa, una piccola processione procede dalla chiesa in direzione della casa del Mastro di Festa. A precederla, è Alberto, il ministro dell’altare, immerso nella sua tunica bianca. Egli sostiene tra le braccia un cuscino di stoffa color porpora, sul quale è legata, con un nastro, una grande chiave placcata d’oro che sarà utilizzata dal sacerdote per bussare alla porta del Mastro di Festa (va ricordato che la rappresentazione della ‘chiave’ è parte integrante dello Stemma di Pastena, per l’esattezza: un croce e due chiavi). Subito dietro Alberto, c’è Don Luigi e, ai suoi lati, alcune donne sostengono quattro lucernai, al cui interno ondeggia flebile, la fiamma di una candela. A seguire il corteo, alcune decine di pastenesi. Raggiunta la casa del Mastro di Festa, Don Luigi bussa tre volte alla porta, facendo intercorrere una breve pausa tra un colpo e l’altro. Solo alla terza bussata, dall’interno si sente salire una voce “Chi è?” e a questa risponde il Parroco: “E’ la Santissima Croce che viene a farvi visita”. Appena si spalancano le due ante della grande porta di legno, esplode il grido corale di tutti i partecipanti. “Evviva la Santissima Croce!”. A questo segue il suono delle percussioni di un vecchio tamburo di pelle e ferro; mi dicono, sia di manifattura statunitense e risalente agli anni ’40. Qualcuno mi ha raccontato che, durante la guerra, questo strumento musicale sia stato dato da un soldato marocchino ad un cittadino pastenese, in cambio di un agnello. La consegna della Santissima Croce al Mastro di Festa rappresenta uno dei momenti fondamentali in cui ‘il rituale pagano’ si fonde completamente con quello cristiano. I Mastri di Festa non sono soltanto i tutori principali del ‘Maggio’, ma anche i custodi della Santissima Croce; questa dovrà poi girare nella casa di ognuno di loro, prima di ritornare nuovamente in Chiesa, il 23 aprile, giorno che precede la novena della Santissima Croce. Adesso, la croce viene riposta su un altare, appositamente allestito all’interno della casa del Mastro di Festa. Poco dopo, inizia la distribuzione di dolci alla collettività. Le donne, con le loro ceste traboccanti di ciambelle e biscotti, si aprono un varco tra la folla che viene invitata ad entrare nella casa del Mastro di Festa per consumare una bibita o un bicchiere di vino. Intanto, la ‘vaccarella sacra’ è sempre li, con il suo sguardo vigile e dolcissimo, sembra osservare incuriosita tutto ciò che la circonda, rassicurata dalla presenza costante del suo padrone. Soltanto poche decine di metri separano Piazza Napoli dall’acropoli, ed il ‘Maggio’ è adesso in attesa di compiere l’ultimo tratto, grazie all’ ennesimo slancio congiunto dei partecipanti al rito. Bisogna, però, aspettare che scocchi la mezzanotte e tra gli spari dei fucilieri si coprirà quest’ultimo, ma faticosissimo dislivello. Alcuni Mastri di Festa, mi spiegano che il ‘Maggio’, deve ripartire un minuto dopo la mezzanotte perché è questo il momento in cui farà il suo ingresso trionfale nel mese di Maggio. Ovvero, scoccata la mezzanotte, si entra nel nuovo mese, quello durante il quale il ‘Maggio’ sarà innalzato nell’acropoli. I bovari e la gente iniziano a dileguarsi nel buio; il ‘Maggio’ – ormai liberato da corde e catene – giace, in tutta la sua possanza, sul selciato della piazza. Ci si riunisce tutti nuovamente per un breve scambio di saluti nella casa del Mastro di Festa. La stanchezza è tanta, ed ognuno ha desiderio di tornare alla propria dimora, anche le mucche rientreranno nelle stalle dopo che i bovari le avranno caricate sui rispettivi camion. Manca poco alle due del mattino, anch’io e mia figlia Emilia ci allontaniamo esausti, ma soddisfatti. Intanto, il verso stridulo di una civetta lacera l’aria, serpeggiando oltre i tetti di Pastena.
E’ il 1°Maggio, intorno alle 7 del mattino, nell’acropoli si susseguono in modo febbrile le ultime fasi di preparazione del ‘Maggio’, lo si priva della corteccia e di ogni smussatura, lo si alliscia quasi alla perfezione e si procede alla de-ramificazione della cima, anche con l’ausilio di una vecchia sega ad arco. La punta del ‘Maggio’ deve essere appiattita a colpi di accetta affinché su questa possa combaciare, ed essere inchiodata alla perfezione, la croce di legno. Quest’ultima è stata preparata dallo stesso anziano che, all’inizio di questa incredibile storia, aveva effettuato il primo intacco a croce sulla corteccia del ‘Maggio’, si proprio lì! nel bosco delle Cavatelle. Inoltre, nella parte terminale del ‘Maggio’ viene ancorata una ‘graffa’ di metallo, che sostiene la carrucola e la corda di salvataggio, che sosterrà, attraverso un’imbracatura, i giovani che, tra due giorni, si cimenteranno nella ‘scalata’ del ‘Maggio’. Si procede, poi, ad addobbare la parte inferiore della croce con dei bellissimi fiori gialli di una pianta nota come ‘cantamaggio’ o ‘finestrino’. Nel frattempo, un’altra squadra di uomini ha preparato le ‘forche’, pertiche formate da lunghe aste incrociate a X e tenute strette insieme da una corda, mentre altri hanno rimosso i ‘sanpietrini’ dal selciato per aprire una buca dove dovrà essere fatta scivolare la base del ‘Maggio’. Tutto e pronto, per iniziare l’opera ciclopica di sollevamento ma, prima di procedere, uno degli anziani che sopraintende alla complessa operazione, chiede a tutti un minuto di silenzio. Ognuno, in segno di rispetto, rimuove il proprio berretto mentre si commemora quello che viene definito come un ‘amico del Maggio’, per l’esattezza un bovaro scomparso lo scorso 23 Aprile. Segue un momento di profonda commozione e, dopo poco, al grido di “Evviva la Santissima Croce”, muscoli e funi iniziano nuovamente a vibrare, mentre echeggiano nell’aria gli spari dei fucilieri. Si avanza lentamente, sostenendosi gli uni con gli altri e, ad ogni mezzo metro guadagnato, vengono poste le force sotto il ‘Maggio’; si procede così, per oltre due ore di pura e indicibile fatica. La pioggia scroscia intensamente, mescolandosi con il sudore di chi non ha mai smesso di stringere quelle funi e issare le ‘forche’: la gente è stremata. Ancora pochi colpi per assicurarsi la giusta verticalità e il ‘Maggio’ è ormai eretto, la sua croce incontra e si pone in parallelo con quella sovrastante la chiesa, l’allineamento perfetto è stato finalmente raggiunto! Tra le campane a concerto, le urla di giubilo, gli applausi e gli spari dei fucilieri, anche questa giornata è miracolosamente terminata. Forse è proprio il caso di dire: ‘Tutto è compiuto’.
Dario Novellino, PhD. e’ antropologo e difensore dei diritti umani ed ambientali



























