
(AGENPARL) – mar 12 marzo 2024 “UZBEKISTAN: L’AVANGUARDIA NEL DESERTO. LA FORMA E IL SIMBOLO”
VENEZIA, CA’ FOSCARI ESPOSIZIONI
17 APRILE – 29 SETTEMBRE 2024
PROGETTO ESPOSITIVO A CURA DI SILVIA BURINI E GIUSEPPE BARBIERI
PRESS PREVIEW
Preview per la stampa lunedì 15 e martedì 16 aprile 2024, dalle 10 alle 18
Inaugurazione martedì 16 aprile, 16.30
ORARI E APERTURE STRAORDINARIE
Martedì-Domenica: 10.00 -18.00
Lunedì chiuso
Ingresso libero
Apertura straordinaria serale sabato 22 giugno in occasione di Art Night
Comunicato stampa
L’Avanguardia nel deserto: una storia mai raccontata
La mostra “Uzbekistan. L’Avanguardia nel deserto” presenta per la prima volta al pubblico
italiano e del mondo occidentale una pagina straordinaria e ancora poco nota dell’arte della
prima metà del XX sec. Il progetto espositivo, che si dispone nella sede prestigiosa di Ca’
Foscari Esposizioni a Venezia, è promosso e sostenuto dalla Fondazione Uzbekistan Cultura ed
è curato da Silvia Burini e Giuseppe Barbieri, direttori del Centro Studi sull’Arte Russa
dell’Università Ca’ Foscari Venezia, coadiuvati da un prestigioso comitato scientifico
internazionale; mette insieme, in un arco cronologico dalla fine dell’Ottocento al 1945, circa
100 opere (soprattutto dipinti su tela e su carta, cui si aggiungono emblematici reperti della
tradizione tessile uzbeka) provenienti dal Museo Nazionale di Tashkent e dal Museo Savitsky
di Nukus, quello che la stampa internazionale indica da qualche anno, non impropriamente,
come “il Louvre del deserto”.
È la prima esposizione nella storia a stabilire delle precise relazioni tra le due più importanti
raccolte d’arte del Novecento presenti in Uzbekistan: si tratta di un elemento fondamentale
per comprendere la profondità di una vicenda artistica come questa, ma non è l’unica novità
della mostra. Finora si era pensato infatti alle opere e agli artisti anche più innovativi che
lavorano in Centro Asia nel terzo e quarto decennio del Novecento come a una declinazione
periferica e marginale della grande svolta operata nelle capitali russe dal 1898 al 1922 da una
straordinaria generazione di artisti (Fal’k, Kandinskij, Ekster, Lentulov, Rod?enko ecc.). Ciò che
invece si potrà osservare è la genesi e il successivo sviluppo di una autentica scuola
nazionale, di una “Avanguardia Orientalis” affascinante e unica. Un risultato straordinario,
che è stato possibile ottenere solo affiancando la raccolta del Museo Nazionale di Tashkent
(dove già all’inizio degli anni ’20 erano presenti importanti capolavori dell’Avanguardia russa,
tra cui 4 opere di Kandinskij) con quella di Nukus: da una parte l’anticipata ricezione di una
matrice di grande modernità, che riprende e diffonde anche tutte le esperienze dell’Europa
occidentale, dall’altra la sua trasformazione in un linguaggio totalmente originale, multietnico
e interdisciplinare.
La mostra presenta come sottotitolo “La forma e il simbolo”. Il primo termine rinvia
all’influenza esercitata sulla pittura del Centro Asia dall’Avanguardia storica russa mediante
le opere in parte inviate a Tashkent, in altra parte raccolte da Savickij a Nukus: una selezione
di segni di straordinaria qualità, mai in precedenza inviati fuori dei confini dell’Uzbekistan, tra
cui 4 opere di Kandinskij (due olii e due disegni su carta): Lentulov, Maškov, Popova,
Rod?enko, Rozanova sono solo alcuni dei protagonisti di uno scenario, quello della nascita
dell’astrattismo, da tempo riconosciuto come uno dei fondamenti dell’arte mondiale del
Novecento.
A queste si aggiunge un’ampia selezione di opere dell’Avanguardia Orientalis. Sono l’esito di
un dialogo culturale e artistico profondissimo: da una parte le secolari tradizioni delle sete
sfavillanti e la raffinata palette delle decorazioni architettoniche che riprendono i colori del
cielo e degli scenari naturali, l’incedere degli animali e i suoni di una lunga vicenda musicale;
dall’altra l’esigenza non più rinviabile di un codice pittorico nuovo, mai in precedenza
sperimentato nell’Oriente islamico. È proprio questo rapporto a conferire uno spessore
simbolico alle opere su tela e su carta che sono esposte.
Si tratta inoltre di un dialogo interculturale, che mette insieme artisti uzbeki, kazaki, armeni,
russi d’Oriente, siberiani, quasi tutti formatisi a Mosca e a Pietrogrado, ma tutti radicati in una
terra che scoprono e in cui scelgono di vivere e lavorare. L’Avanguardia Orientalis è pertanto
un’Avanguardia inclusiva, di confronto e collaborazioni, di incontri e di comuni ascendenze.
È una storia spesso avventurosa, che la mostra di Venezia ha scelto di declinare ponendo su
un piano di pari dignità i segni pittorici e grafici e quelli delle arti applicate, con una selezione
di manufatti tessili che da una parte rivelano insospettabili consonanze con le moderne
frontiere dell’arte, e insieme trasmettono, dall’altra, un patrimonio culturale profondamente
simbolico, legato ad antichi culti e a pratiche millenarie.
La rassegna di Ca’ Foscari è anche l’occasione per richiamare l’attenzione internazionale sulla
figura e l’opera di Igor Savickij.
La leggendaria figura di Savickij è la base del percorso, che ha tra i suoi obiettivi anche quello
di far conoscere a un pubblico di non solo addetti ai lavori una personalità essenziale per
preservare e tramandare molti aspetti, non solo dell’arte del XX sec., ma del complessivo
Cultural Heritage dell’Uzbekistan. A lui si deve, nel bel mezzo del deserto nel Karakalpakstan,
nella parte nord-occidentale dell’Uzbekistan, la costituzione di una delle più grandi collezioni
di arte d’Avanguardia russa nel mondo, seconda in termini di quantità solo a quella del
Museo Russo di San Pietroburgo, e pressoché unica testimonianza di uno dei più importanti
movimenti artistici della storia russa del XX sec.
Archeologo di formazione, pittore per diletto e talento, collezionista per felice ossessione,
dalla fine degli anni ’50 e fino agli anni ’70 del ‘900 Savickij ha raccolto a Nukus migliaia di
reperti archeologici e manufatti di artigianato e arte popolare della regione, affiancandoli col
tempo ad altre molte migliaia di dipinti e di fogli di grafica provenienti dall’Uzbekistan e
dall’Unione Sovietica, in una concezione attualissima di “museo sintetico”, che la mostra
riprende e ragiona nell’ampio catalogo Electa, come pure nella disposizione delle opere e
nell’originale allestimento multimediale veneziano.
Savickij ha viaggiato senza sosta per raccogliere migliaia di opere d’arte che nel frattempo
erano ormai scomparse anche dall’orizzonte e dalla memoria degli studi: le ha rintracciate
negli atelier degli artisti o le ha acquistate da vedove ed eredi, nei “deserti” del rifiuto
staliniano e post staliniano per la modernità dell’Avanguardia di inizio Novecento. Ha
mantenuto al centro dei suoi interessi le opere degli artisti che avevano vissuto a lavorato nel
Turkestan, dove lui stesso era stato evacuato negli anni della Seconda Guerra Mondiale. Ha
fatto rivivere nel deserto di Nukus le radici dell’arte moderna in Uzbekistan.
A Savickij si deve anche la comprensione e la raccolta di un importante, e pressoché inedito,
gruppo di opere, pittoriche e grafiche, del Gruppo Amaravella (il termine, sanscrito, di
etimologia incerta, probabilmente relativo a “spazio in espansione”), impegnato, in un breve
volgere di anni, tra 1923 e 1928, a tradurre visivamente, nel solco della lezione di Nikolaj
Roerich, i nodi cruciali delle teorie cosmiste all’epoca diffuse nel mondo russo. Il Museo di
Nukus è il principale contenitore (e tra i pochissimi al mondo) di opere del Gruppo, che
saranno esposte per la prima volta a Ca’ Foscari.
Ufficio Stampa
Studio ESSECI di Sergio Campagnolo
Università Ca’ Foscari Venezia
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