
(AGENPARL) – ven 26 gennaio 2024 Vol. 1
PARCO
ARCHEOLOGICO
DI POMPEI
E-Journal
http://pompeiisites.org/e-journal-degli-scavi-di-pompei/
La Redazione
Il coordinamento dell’e-journal è affidato al direttore pro tempore del PAP, che nomina la segreteria di
redazione tra i funzionari del Parco. Il comitato scientifico della rivista è composto dai funzionari architetti,
archeologi, restauratori, ingegneri e antropologi del PAP. Il Comitato scientifico del PAP si esprime
annualmente sulla iniziativa, suggerendo eventuali modifiche e miglioramenti. Per la valutazione dei
contributi, la segreteria di redazione si può avvalere anche di esperti esterni
Direttore
Gabriel Zuchtriegel
Comitato scientifico
Ludovica Alesse, Valeria Amoretti, Teresa Argento, Immacolata Bergamasco, Silvia Martina Bertesago, Maria
Antonella Brunetto, Vincenzo Calvanese, Ilaria Cangiano, Rachele Cava, Concetta Filodemo, Stefania
Giudice, Elena Gravina, Serena Guidone, Raffaele Martinelli, Crescenzo Mazzuoccolo, Paolo Mighetto,
Maria Rispoli, Antonino Russo, Paola Sabbatucci, Giuseppe Scarpati, Anna Maria Sodo, Arianna Spinosa,
Alessandra Zambrano
Comitato di redazione
Valeria Amoretti, Giuseppe Scarpati
Ufficio stampa e comunicazione
Marella Brunetto (Responsabile)
Giuseppe Barbella, Antonio Benforte, Giuseppina Brancati, Sophie Hay, Enrico Inserviente, Federica
Savarese, Alessandro Tartaglione, Marialuisa Vitale
PARCO
ARCHEOLOGICO
DI POMPEI
Indice
Scavo di due vittime dell’eruzione nell’insula dei Casti Amanti.
Nuovi dati vulcanologici e sismologici
Ri-scavare Pompei: nuovi dati interdisciplinari dagli ambienti indagati
pag. 20
Una natura morta con xenia dallo scavo della casa IX 10,1 a Pompei
pag. 31
Stabiae. Scavi a Villa San Marco (2023)
pag. 39
Of Mice and Men
pag. 49
Il Larario della Casa IX, 10, 1
pag. 60
Passione elettorale nelle mura domestiche: un larario, una macina, un candidato.
Nuove scoperte nella casa IX 10, 1, e il dialogo possibile tra teoria e prassi della
campagna elettorale
La disciplina dell’odiosa baracca: la casa con il panificio di Rustio Vero a Pompei
(IX 10,1)
Scavo e restauro della Casa di Leda – Regio V 6. Nuovi rinvenimenti
(IX 10,1)
pag. 75
pag. 84
pag. 100
PARCO
ARCHEOLOGICO
DI POMPEI
Editoriale
Il primo volume delle Notizie degli Scavi di Antichità uscì nel 1876, grazie soprattutto a un archeologo
e manager della cultura con una grande visione: Felice Barnabei. Nato nel 1842 nel piccolo borgo di
Castelli in provincia di Teramo, nel 1875 diventa il segretario del Direttore Generale dei musei e degli scavi,
Giuseppe Fiorelli, al quale succederà nel 1896. Nel decennio precedente, dal 1865 al 1875, mentre Fiorelli
dirigeva gli scavi di Pompei, Barnabei aveva insegnato latino e greco presso il Convitto Nazionale di Napoli:
un’occasione per il giovane studioso di occuparsi anche dell’archeologia delle città vesuviane e non solo.
La finalità di Notizie degli Scavi, rivista annuale pubblicata dall’Accademia dei Lincei, è semplice ma avrà
un grande seguito, che continua fino ai giorni nostri: pubblicare tempestivamente i risultati delle indagini
archeologiche in corso su suolo italiano, mese per mese, regione per regione.
Il valore di tale iniziativa è inestimabile: chi è del settore sa quanto preziosa sia la rassegna annuale di nuove
scoperte, e quanto ci mancherebbe oggi in termini di conoscenza e dati se l’idea di Barnabei non fosse
divenuta realtà.
Un periodico, con la possibilità della soscrizione, all’epoca era il mezzo più rapido e più efficace per diffondere
le novità nelle biblioteche di università e studiosi in tutta l’Europa e oltre. Era l’internet di allora. Perciò,
portare avanti la visione di Barnabei e Fiorelli oggi vuol dire usare la rete per diffondere tempestivamente e
in formato digitale i dati che continuamente emergono dagli scavi e dalle ricerche in corso a Pompei e nel
territorio circostante.
È con questo obiettivo che nel 2023 il Parco Archeologico di Pompei ha fondato l’E-Journal degli Scavi di
Pompei, a seguito di un confronto con il Consiglio Scientifico dell’ente. Il titolo è un voluto omaggio al
“Giornale degli Scavi di Pompei” di Fiorelli. Con la fondazione della rivista online si è voluto aggiungere
una base scientifica alla divulgazione mediatica di nuove scoperte, avvenute sia nell’ambito di interventi
seguiti dal Parco sia nel corso di progetti di università italiane e straniere. Una divulgazione che corrisponde
a un’esigenza giusta di trasparenza e informazione della comunità, che finanzia con fondi pubblici e con i
biglietti d’ingresso il proseguimento delle ricerche. Da maggio 2023, la diffusione delle importanti novità
archeologiche è sempre accompagnata dalla messa in rete di un primo inquadramento scientifico dei dati
emersi sul nostro E-Journal. In tal modo, il Parco Archeologico di Pompei si è allineato con le best practices
della ricerca scientifica, dove è uso annunciare nuove scoperte contestualmente alla pubblicazione in rivista
accreditata e sottoposta a controllo di qualità.
Il comitato scientifico dell’E-Journal degli Scavi di Pompei, presieduto dal direttore del parco pro tempore,
è composto dai funzionari archeologi, architetti, antropologi, restauratori e ingegneri del sito. Ciò non solo
è una garanzia della qualità scientifica pluridisciplinare dei contributi, ma vuole essere anche un segnale: i
musei e i parchi archeologici, da statuto ministeriale, hanno tra i loro compiti anche quello della ricerca.
Coinvolgere i funzionari nella gestione della rivista è un tentativo di dare corpo a questa missione dei nostri
enti e di valorizzare le competenze all’interno dell’amministrazione. Ovviamente questo non significa una
chiusura verso il mondo dell’università, che anzi speriamo di avere sempre al nostro fianco nella realizzazione
di una prassi archeologica all’altezza della società del XXI secolo: l’E-Journal per noi vuol dire archeologia
trasparente, democratica, condivisa e accessibile per tutti e su tutti i livelli in tempi brevi.
Ringraziamo tutti i funzionari del Parco Archeologico di Pompei, i collaboratori che ci hanno supportati
in questa nuova impresa, i Professori che ci hanno sostenuti e consigliati mettendo a disposizione la loro
esperienza. Ringraziamo inoltre l’Ufficio Stampa del Parco, e tutti coloro che, moralmente e fattivamente,
hanno contribuito alla nascita dell’E-Journal.
Valeria Amoretti, Giuseppe Scarpati, Gabriel Zuchtriegel
PARCO
ARCHEOLOGICO
DI POMPEI
Scavo di due vittime
dell’eruzione nell’insula
dei Casti Amanti.
Nuovi dati vulcanologici
e sismologici
Scavo di due vittime dell’eruzione
nell’insula dei Casti Amanti.
Nuovi dati vulcanologici e sismologici
Valeria Amoretti¹, Chiara Comegna¹, Saverio De Rosa², Fabrizio Galadini³, Giuseppe Scarpati¹, Domenico Sparice?,
Antonella Terracciano², Gabriel Zuchtriegel¹
“Avvennero molti infortuni a questo mondo, ma
nessuno che valga ad arrecare cotanta soddisfazione
ai posteri” scrive Goethe nel suo Viaggio in Italia,
sotto la data del 13 marzo 1787. Quanto tragico
fosse quell’ “infortunio”, lo si sta indagando ancora
oggi, grazie a nuove tecnologie e metodologie
della ricerca archeologica e vulcanologica. Sin
dai primi scavi, iniziati nel 1748, il rinvenimento
di vittime dell’eruzione del 79 d.C. ha fatto
grande impressione sui contemporanei, anche
oltre l’ambito archeologico. Si pensi, per citare
un esempio particolarmente emblematico, al
racconto Arria Marcella di Théophile Gautier
(1852), ambientato nella villa di Diomede che
aveva restituito i corpi di venti vittime, rifugiatesi
nel criptoportico del complesso scavato tra il
1771 e il 1774 (Dessales 2002, p. 30).
Leggiamo quanto riportato nel diario dello
scavo, diretto da Francesco La Vega, che seguì
personalmente le operazioni di recupero dei corpi.
Sotto la data del 12 dicembre 1772, è annotato:
“ora essendosi scavato per non molti palmi il
corridore suddetto [il criptoportico], vi si sono
trovati 18 scheletri di persone adulte, oltre quelli
di un ragazzo e di un piccirillo. Si conosce bene che
questi, e forse altri che si potranno ancora trovare
continuandosi questo scavo, furono sorpresi in
quel sito della casa, come il più lontano da soffrire
qualunque insulto, ma che non potè riguardarli
da una pioggia di cenere, che cadde dopo quella
del lapillo, e che si conosce bene fu accompagnata
con dell’acqua, la quale le aprì le strade per farla
introdurre in tutte le parti…” (PAH I. 1, p. 268).
fig.1
¹ Ministero della Cultura, Parco Archeologico di Pompei, Via Plinio 26, 80135, Pompei (NA).
² Libero professionista.
³ Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, sezione di Roma 1, via di Vigna Murata 605, 00143, Roma.
? Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, sezione di Napoli, Osservatorio Vesuviano, Via Diocleziano 328, 80124, Napoli.
PARCO
ARCHEOLOGICO
DI POMPEI
Se in grandi linee la dinamica dell’eruzione e del
suo impatto sulla sopravvivenza degli abitanti
risulta già conosciuta a quell’epoca, si nota
al tempo stesso che molto restava ancora da
comprendere, in primis la natura e genesi dei
flussi piroclastici, confusi qui con una specie di
“alluvione fluidissima, resa dopo qualche tempo
terra molto tenace” che “abbracciò e circondò
d’ogni intorno tutt’i corpi…” (ibidem). È infatti
nella villa di Diomede, che avviene una prima
sperimentazione della tecnica dei calchi, prima
ancora che Giuseppe Fiorelli la introduca in
maniera sistematica nel 1863 (Osanna, Capurso,
Masseroli 2021). Il calco del petto di una giovane
donna, che fece un enorme scalpore, purtroppo è
andato perduto già molto tempo fa; ancora meno
attenzione si prestava alla documentazione e alla
conservazione dei resti osteologici.
Se oggi abbiamo la possibilità, grazie all’evoluzione
dell’archeologia e con il supporto del laboratorio
di ricerche applicate “Annamaria Ciarallo”,
collocato all’interno del Parco Archeologico
di Pompei, in collaborazione con l’Istituto
Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, di ricavare
una quantità di dati di gran lunga superiore dai
resti umani trovati a Pompei, uno dei risultati più
importanti riguarda la dinamica dell’eruzione,
le cause di morte e i tentativi di ripararsi – tutti
temi accennati nello scritto di La Vega su cui
oggi possiamo gettare nuova luce. Negli ultimi
decenni, infatti, è emerso con sempre più chiarezza
che i flussi piroclastici non sono l’unica causa di
morte, ma che un certo numero di persone aveva
perso la vita già prima del loro arrivo a causa di
crolli di muri e tetti. Mentre i tetti della città
furono caricati di uno strato crescente di lapilli (si
stima che durante le 18 ore di “pioggia” di lapilli,
il peso per metro quadro aumentava di circa 100
kg per ora: v. Osanna, 2019, p. 286), una serie di
terremoti, che sembra abbiano accompagnato
l’eruzione, doveva aumentare in maniera
esponenziale il rischio di crolli.
I dati qui presentati consentono di analizzare la
dinamica di un crollo di questo tipo e l’impatto
che esso ha avuto su due vittime nei minimi
dettagli, aggiungendo così nuove conoscenze su
quella domanda che aveva incuriosito
già La Vega, ma anche Goethe e Gautier.
Insula dei Casti Amanti
(IX 12): prime attività di
scavo 2023
Nell’ambito dei “Lavori di riconfigurazione delle
scarpate e restauro dell’insula dei Casti Amanti –
Lotto II” si sono avviate le indagini archeologiche
previste da progetto, che nella fase iniziale si
concentrano nell’area della Casa dei Pittori al
Lavoro, con ingresso secondario sul vicolo est
dell’insula al civico 9. Lo scavo di questo isolato è
stato eseguito a più riprese negli anni 1982-2005,
rimanendo incompiuto in diversi settori.
fig.2
fig.3
PARCO
ARCHEOLOGICO
DI POMPEI
Gli scavi stratigrafici effettuati al disotto delle
quote di età imperiale romana hanno dimostrato
che l’area era frequentata sin da epoca arcaica,
con un’occupazione più intensa a partire dalla
seconda metà del III secolo a.C. (Varone 2002;
Varone 2005a; Berg 2005).
Negli edifici portati alla luce con le indagini
pregresse, che si sono potuti identificare con
un panificio e un’abitazione, si sono rilevate
tracce evidenti di lavori in corso, sia di carattere
edilizio e idraulico (la presenza di diversi cumuli
di calce e lo svuotamento delle fosse settiche
aperte al momento dell’eruzione per i danni di
un terremoto recente), sia di carattere decorativo
(la ridipintura di un grande salone che ha dato la
denominazione alla Casa dei Pittori al Lavoro).
Di grande interesse sono i rinvenimenti effettuati
nell’area del panificio, che ha restituito la stalla
con i resti degli equidi destinati al funzionamento
delle macine e un grande triclinio affrescato
in III stile finale con raffigurazione di scene di
banchetto, compresa quella con una coppia
nell’atto di scambiarsi un bacio che ha ispirato la
denominazione convenzionale dell’insula.
Nella Casa dei Pittori al Lavoro, oltre all’ambiente
con la decorazione parietale in corso di rifacimento
al momento dell’eruzione, in cui si vedono le
sinopie dei quadretti mai realizzati, degno di nota
è il triportico che inquadrava il viridarium, dove si
sono potute rilevare le tracce delle incannucciate
che hanno consentito di ricostruire la sistemazione
antica del giardino (Pesando, Guidobaldi 2018).
I nuovi interventi hanno interessato l’ambiente A
(fig. 1), che occupa la zona nord-est della Casa dei
Pittori al Lavoro con cui condivide il muro
perimetrale ovest. Si tratta di un’area già
superficialmente indagata con le precedenti
attività di scavo (quota di inizio scavo m 29 slm).
Riguardo alle murature, la tecnica edilizia della
prima fase è a telaio litico ed è leggibile nelle parti
dei muri perimetrali in cui l’intonaco è andato
perso e dove non insistono interventi moderni. I
muri perimetrali ovest (USM 68) ed est (USM 70)
conservano i buchi per le travi del solaio, tuttavia
si segnala che eccetto il primo foro da sud, gli altri
sono stati integrati attraverso restauro. Nel muro
perimetrale orientale si segnala inoltre la presenza
di una finestra affacciata sul vicolo.
L’ambiente è scandito da due muri divisori
perpendicolari fra loro, costruiti in opera incerta,
in modo che lo spazio risulta suddiviso in un
settore meridionale, un settore occidentale e una
stanza delimitata dai setti murari perpendicolari
(USM 24 orientato E/W ed USM 50 orientato
N/S). L’ingresso all’ambiente avviene tramite
un accesso localizzato nel settore occidentale del
muro perimetrale settentrionale (USM 69).
La parte sud dell’ambiente A è occupata dalla
latrina di cui si conservano le due spallette (UUSS
45, 46) e l’intonaco sul fondo. La latrina è stata già
totalmente scavata durante la precedente fase di
indagini, il terreno di riporto copre direttamente
il lastricato composto da cinque tegole con aletta
a quarto di cerchio, disposte di piatto (US 72).
Le tegole hanno pendenza digradante dal banco
della cucina, che occupa l’angolo sud-ovest, verso
lo scolo della latrina sulla strada.
L’angolo sud-ovest conserva tracce di un intonaco
decorato in cattivo stato di conservazione
che doveva riferirsi alla prima fase decorativa
documentabile. Nonostante lo stato di
conservazione non ottimale, è possibile leggere
sull’intonaco che riveste ad ovest la parete
meridionale (USM 71) una figura maschile stante
con tunica corta e cornucopia, interpretabile
come Lare (fig. 2). L’intonaco (USR 31) riveste
anche la porzione meridionale della parete
occidentale (USM 68) proseguendo con lo
stesso schema figurativo. Si intravedono infatti
due figure maschili parzialmente conservate e
disposte su registri diversi, mentre ai lati sono
visibili motivi serpentiformi. L’intonaco è
coperto da una preparazione successiva (USR 32)
che ingloba un’olla di ceramica comune (US 33,
D. orlo 13,5 cm.) con orlo estroflesso, alloggiata
nella parete e rivolta verso l’esterno (fig. 3). Il
banco della cucina (USM 51, h. 71 cm. lung. 133
cm.) si appoggia ai muri perimetrali sud e ovest. É
costruito in opera incerta con l’angolare nord-est
composto da blocchi di tufo giallo di dimensioni
regolari (24-31 cm. x 9 cm) impiegati anche per
lo zoccolo.
PARCO
ARCHEOLOGICO
DI POMPEI
La parte superiore è rivestita da coppi a sezione
semicircolare (US 28) allineati e alloggiati nel
muro sud, attraverso un taglio nell’intonaco
decorato (USR 31). Nell’ultima fase dell’ambiente
la cucina era stata defunzionalizzata, come
testimonia il cumulo di calce bianca (US 26 q.
28,88 m slm.) che occupa interamente il piano
del banco (fig. 4).
uno strato di crollo (US 37) disposto in senso estovest, coprendo due anfore (US 38) conservate
solo parzialmente e poste di piatto, probabilmente
in seguito ad un collasso delle parti superiori (fig. 6).
fig.5
fig.4
La rimozione dei lapilli ha messo in luce lungo
la parete ovest otto anfore ancora in situ (US
66), allineate in senso nord-sud (fig. 5); inoltre,
addossato all’angolo nord-ovest del banco da
cucina, un secondo cumulo di calce bianca di
dimensioni più ridotte (US 67). In prossimità
del vano d’accesso aperto nella parete perimetrale
nord (USM 69) si sono rinvenuti elementi in
ferro pertinenti probabilmente al cardine della
porta.
L’asportazione di uno strato di riporto moderno
ha rimesso in vista uno strato di crollo (US 29)
che occupa la fascia orientale dell’ambiente,
disponendosi lungo il muro perimetrale est (USM
70). La sua rimozione ha scoperto un sottile strato
di pomici grigie rimescolate ed un secondo strato
di crollo (US 39) che occupa quasi interamente la
stanza. Immediatamente a nord del setto murario
(USM 24) che divide dalla latrina si è individuato
fig.6
PARCO
ARCHEOLOGICO
DI POMPEI
Il setto murario orientato nord-sud (USM
50) è conservato solo parzialmente, essendo
stato oggetto di più crolli, uno dei quali in
particolare ha fratturato il muro orizzontalmente
provocando poi uno slittamento della porzione
superiore verso est. La frattura fra i due setti
murari (USM 24 e USM 50) ha permesso il
rotolamento di pomici di colore bianco dal
settore ovest (q. 28,60 m. slm), la cui rimozione
ha evidenziato uno strato di crollo composto da
frammenti di intonaco ed elementi di tufo (US
81). Il secondo livello del crollo è invece composto
solo da frammenti di intonaco che conservano lo
stesso schema decorativo dei muri, con pannelli
di colore bianco bordati da sottili cornici di colore
rosso e bruno. La rimozione dello strato di crollo
(US 39) ha scoperto il deposito di cenere da flusso
piroclastico (US 48) che, sviluppandosi in senso
nord-sud, occupava la porzione centrale della
stanza. Dal settore settentrionale provengono
un’olla in bronzo e un’ascia in ferro (US 57).
L’olla risulta quasi integra con il fondo
parzialmente collassato e conserva tracce del ferro
pertinenti ad un coperchio in materiale organico
andato perso (fig. 7). Immediatamente a nordovest dell’olla, in prossimità della parete nord,
si è recuperata anche un’ascia in ferro di cui si
conserva piccola parte del legno del manico.
Nel flusso piroclastico si sono trovati frammenti
di vetro, una coppetta di vetro blu e due monete
in bronzo, al disotto si è individuato un sottile
strato di lapilli rimescolati bianchi e grigi.
La loro rimozione ha consentito il rinvenimento
di una lastra di tufo addossata al muro nord (US
90) con tracce di bruciato (US 91) e cenere (fig.
8-9), usata plausibilmente come piano cottura,
intorno al quale si dispongono ceramiche da
fuoco e da dispensa (US 115) e alcuni piatti
ancora impilati (US 73).
Nel settore centrale dello scavo si è identificato
sempre il deposito di cenere da flusso piroclastico
(US 78=US 48), arricchito da maggior presenza
di pomici. Da qui provengono uno spillone di
bronzo, due vaghi di collana in pasta vitrea, tre
unguentari di vetro integri, un falcetto in ferro.
La rimozione dello strato di lapilli rimescolati ha
rimesso in luce, nel settore sud dell’ambiente, i
resti di due vittime (US 76 e US 80). Entrambe
risultavano poste sul fianco e coperte dagli strati di
crollo in giacitura primaria, che si sono susseguiti
in quest’area (fig. 10). Il flusso piroclastico,
provenendo da nord, ha coperto parzialmente
le vittime arrestandosi ai corpi e incuneandosi
parzialmente al di sotto di essi. Dopo la rimozione
degli scheletri mediante scavo microstratigrafico,
si è potuto individuare un sottile strato di terra
marrone frammisto di pomici sporadiche,
a copertura del piano di calpestio portato
successivamente in vista.
GS, AT
fig.8
fig.9
fig.7
PARCO
ARCHEOLOGICO
DI POMPEI
Il contributo
dell’archeosismologia
La particolare complessità delle evidenze indagate
ha suggerito un approccio multidisciplinare
nelle fasi di acquisizione e interpretazione dei
dati, richiedendo professionalità specifiche nel
campo dell’antropologia, della numismatica,
dell’archeobotanica, della vulcanologia e, non
ultima, dell’archeosismologia.
In relazione agli aspetti sismologici, è opportuno
ricordare che i terremoti del I secolo d.C.,
compresa la sismicità del periodo che ha di poco
preceduto l’eruzione del 79 d.C., sono stati
oggetto di costante attenzione scientifica, come
dimostrato dalle numerose pubblicazioni degli
anni passati (es. Maiuri, 1942; Adam, 1989; De
Simone, 1995; Nappo, 1995; Varone, 1995;
2005b; Marturano, Varone, 2005; Marturano,
Nappo, Varone, 2006; Nicola, 2018; Amato et al.,
2022). Il terremoto tradizionalmente attribuito
al 62 d.C. è considerato il più forte nella storia
sismica dell’area vesuviana. La sua origine sarebbe
da ricondursi a processi sismogenetici diversi
da quelli che hanno accompagnato l’attività
vulcanica in epoca moderna e contemporanea
(Cubellis, Luongo, Marturano, 2007). Nel
catalogo sismico CFTI5Med (Guidoboni et al.,
2018), gli effetti sono stimati con l’Intensità 9
della scala Mercalli-Cancani-Sieberg (MCS) a
Pompei, 8-9 a Ercolano, 7-8 a Napoli e Nocera
Inferiore. I valori espressi per Pompei ed Ercolano
definiscono danni assai rilevanti. Lo stesso catalogo
parametrizza la sismicità successiva, quella
direttamente legata all’eruzione del 79, citando, su
basi epigrafiche, danni a Nola, Nocera Inferiore e
Napoli. Molti dei lavori citati fanno riferimento
alle ricostruzioni degli edifici danneggiati dagli
eventi sismici, a modifiche strutturali, a restauri e
trasformazioni con variazione della destinazione
d’uso, a rinvenimenti, nei contesti di scavo, di resti
di cantieri edilizi attivi al momento dell’eruzione.
Non altrettanta attenzione è stata data agli effetti
dei terremoti che hanno accompagnato l’eruzione
del 79 d.C. (sin-eruttivi) – peraltro citati da Plinio il
Giovane nella seconda lettera a Tacito (Scandone,
Giacomelli, Rosi, 2019) – anche a causa del fatto
che è stato meno frequente il ritrovamento,
fig.10
o più probabilmente meno dirimente
l’interpretazione stratigrafica di unità di crollo
possibilmente attribuibili agli effetti dello
scuotimento sismico sin-eruttivo, aspetto
spesso centrale nelle indagini cosiddette
archeosismologiche (e.g. Galadini, 2009).
Pertanto, si sono rivelati di grande importanza
scientifica il rinvenimento e la caratterizzazione
di un’unità di crollo che hanno riguardato parte
dell’attività di scavo condotta nell’ambiente
in questione. L’unità è qui costituita da un
grande blocco murario avente dimensioni ca.
200×140×30 cm (US 23), poggiante su pochi
centimetri di pomici grigie, a loro volta giacenti
sul piano di calpestio, coperto da un accumulo di
frammenti murari e intonaci che costituiscono
un cumulo di crollo che ha seppellito il primo
individuo (US 76).
PARCO
ARCHEOLOGICO
DI POMPEI
La giacitura del blocco murario è conseguente
alla traslazione di una porzione della parete
ovest verso l’interno della stanza, a seguito dello
scorrimento su un piano di taglio con geometria
complessa (sub-orizzontale nella parte bassa) e
dell’immediato collasso sul sottostante livello
di calpestio. Il cumulo di crollo nell’angolo sudovest, così come quello nell’angolo sud-est che
ha parzialmente sepolto il secondo individuo
(US 80), è il prodotto del disfacimento dei
muri nella caduta delle parti alte dell’edificio.
La giacitura del grande blocco murario, che si
appoggia lateralmente sul residuo in posto della
parete di provenienza, e il mantenimento della
connessione tra le parti che lo costituiscono
suggeriscono l’immediatezza dell’evento (fig. 11).
Come spesso avviene nell’analisi delle evidenze
di eventi catastrofici dell’antichità, è possibile
formulare ipotesi sull’origine del crollo
procedendo per esclusione. Al proposito, la
ricostruzione stratigrafica è in grado di fornire utili
indicazioni sul rapporto tra il collasso dell’edificio
e gli effetti dell’eruzione, indicando una sequenza
che può essere semplificata in una prima fase di
accumulo di pomici grigie sul pavimento della
stanza, seguita dal crollo delle porzioni murarie al
di sopra delle due vittime e solo successivamente
dall’arrivo dei primi flussi piroclastici.
L’insieme dei dati acquisiti consente quindi
di escludere la sola deposizione dei prodotti
dell’eruzione come processo determinante
all’origine della distruzione.
In sintesi, quanto osservato nel corso dello scavo
archeologico può essere riassunto nei seguenti
punti: i) il coinvolgimento di due individui nel
collasso dell’edificio e le caratteristiche dell’unità
di crollo attestano la subitaneità dell’evento
distruttivo, ii) la distruzione dell’edificio non
sembra attribuibile alla deposizione di prodotti
dell’eruzione, pur potendo esserne stata concausa,
iii) il crollo è avvenuto in un momento tra la fase
finale della sedimentazione delle pomici grigie e
prima dell’arrivo delle correnti piroclastiche. In
conclusione, quanto finora acquisito consente
di stabilire la compatibilità della distruzione delle
strutture murarie soprattutto con gli effetti di
uno degli eventi sismici connessi all’eruzione del
fig.11
Le vittime e il contesto
stratigrafico vulcanologico
Per quello che riguarda la successione degli eventi
vulcanici, la sequenza stratigrafica generale dei
depositi dell’eruzione del 79 d.C. a Pompei è
formata da un deposito di lapilli pomicei, variabili
in colore dal bianco alla base al grigio nella parte
alta, la cui sedimentazione dura circa 18-19 ore,
coperto da una sequenza di depositi di cenere e
lapilli sedimentati da diverse correnti piroclastiche
succedutesi nella seconda fase dell’eruzione (e.g.
Sigurdsson et al., 1985; Cioni, Marianelli, Sbrana,
1990; Scarpati et al., 2020; Doronzo et al., 2022).
Tale successione, che si presenta ben riconoscibile
in ambienti aperti, assume delle caratteristiche
stratigrafiche anomale negli ambienti chiusi
a causa dell’interazione con le strutture (e.g.
Luongo, Perrotta, Scarpati, 2003).
PARCO
ARCHEOLOGICO
DI POMPEI
Nel caso dell’ambiente A i corpi scheletrizzati
delle due vittime, entrambi in decubito laterale,
sono stati rinvenuti in due differenti aree della
stanza. L’individuo 1 (US 76) era in decubito
laterale destro, nell’angolo sud-ovest, giacente
sul piano di calpestio via interposizione di pochi
centimetri di pomici grigie (fig 12).
Un cumulo di crollo (US 81), interamente
formato da frammenti murari e di intonaco,
derivante dal cedimento della parete ovest
dell’ambiente, copriva quasi interamente
l’individuo e parzialmente il blocco murario US
23. Nel dettaglio, il crollo copriva il cranio, il
busto, gli arti superiori e parte di quelli inferiori,
lasciando scoperta la schiena che era rivolta verso
la parte centrale dell’ambiente.
Gli arti superiori erano flessi, con mano sinistra, a
cui era un anello, in posizione dorsale al di sotto
di parte della US 81. La mano destra giaceva sotto
il grande blocco murario, sopra citato, scivolato a
seguito del crollo (US 23).
A seguito dei fenomeni di decomposizione,
i frammenti della US 81 hanno subito un
riassestamento, interessando e penetrando il
volume interno del corpo. Un deposito di cenere
grigia con pomici disperse (US 78) copriva
la schiena della vittima e avvolgeva il cranio
penetrando tra i vuoti del cumulo di crollo. Gli
arti inferiori, ripiegati anch’essi, si presentavano
coperti dalla US 81, come il cinto pelvico, il piede
sinistro a contatto con il muro e il torace. Evidente
da subito è stata l’innaturale posizione della
porzione superiore del corpo, in quanto la cassa
toracica presentava totale assenza di volume.
L’identificazione, prima in fase di scavo e poi
di rimozione, di numerose fratture costali che
hanno portato al ripiegamento di emitorace
destro e sinistro su loro stessi, alla migrazione dello
sterno quasi a ridosso della colonna vertebrale
e lo sfondamento del corpo scapolare destro
da parte delle corrispondenti coste, fratturate
anch’esse, è un chiaro segnale di un importante
trauma toracico da schiacciamento in senso
latero-anteriore. Il coxale sinistro presentava
anch’esso una serie di fratture perimortem. Altri
traumi interessavano il cranio, che presentava
mandibola dislocata, zigomo sinistro fratturato,
come pure lo sfenoide. In generale, si è potuta
notare una traslazione del cranio facciale rispetto
al neurocranio (Wedel, Galloway 2014). Durante
la rimozione delle vertebre cervicali e del cranio,
che ha evidenziato la presenza delle pomici grigie
immediatamente al di sotto, sono stati trovati resti
di materiale organico, verosimilmente un involto
di stoffa che conteneva gli averi dell’individuo.
All’interno, oltre a 5 elementi in pasta vitrea
identificabili come vaghi di collana, sono state
rinvenute 6 monete. Due nominali sono in
argento: un denario repubblicano, databile
alla metà del II sec. a.C., e un altro denario, più
recente, da riferire alle produzioni di Vespasiano.
I bronzi (due sesterzi, un asse e un quadrante),
sono anch’essi coniati durante il principato di
Vespasiano.
fig.12
PARCO
ARCHEOLOGICO
DI POMPEI
Il contenuto del piccolo “complesso associato”
è perfettamente aderente alla circolazione
monetale dell’ultima fase della vita di Pompei,
dove ai nominali più recenti – in questo caso
monete coniate a nome di Vespasiano – vanno
ad associarsi nominali molto più antichi.
L’individuo 2, rinvenuto nell’angolo sud-est della
stanza, era in decubito laterale sinistro con arto
superiore destro – presentante frattura di ulna e
radio – ripiegato, arto superiore sinistro flesso con
la mano a proteggere il cranio (fig. 13).
Il corpo poggiava su un cumulo di pomici grigie
penetrate da una finestra lungo la parete est
dell’ambiente con affaccio sul vicolo che borda il
lato orientale dell’insula.
L’arto inferiore destro, totalmente coperto
dal crollo della muratura (US 95), presentava
numerose fratture perimortem, in particolare
nella porzione distale tibiale e multiple fratture
peroneali. Anche l’arto sinistro presentava
frattura dell’epifisi prossimale del perone, e come
il cranio e il busto poggiava sul cumulo di lapilli,
consentendo il mantenimento dell’articolazione
del ginocchio, rotula inclusa, in posizione rialzata.
Il piede destro, obliterato dal crollo, poggiava
invece a diretto contatto con il piano di calpestio,
rendendo chiara la situazione stratigrafica. Alcune
fratture perimortem, da mettere in relazione al
crollo e in particolare a quello di un grande blocco
di muratura rinvenuto a contatto con il bacino,
sono state evidenziate in corso di scavo a livello
del coxale e dell’emitorace destro, mentre si erano
conservati il volume e l’integrità dell’emitorace
sinistro. L’individuo era coperto da un deposito
eterogeneo formato da pomici prevalentemente
grigie, frammenti di intonaco staccatisi dalle
pareti adiacenti e porzioni di muratura derivanti
dal crollo della parete sud dell’ambiente. Tale
deposito ha sostituito e parzialmente mantenuto
i volumi originari del corpo, da cui emergevano
solo la parte alta del cranio, il ginocchio sinistro
e parte dell’arto superiore destro. Un deposito
di cenere grigia con pomici disperse inglobava
la porzione di cranio emergente dal cumulo
e il cumulo stesso. Tale deposito di cenere è
stratigraficamente compatibile con lo stesso
deposito descritto per l’individuo 1 (US 78) ed
è stato sedimentato da un flusso piroclastico. Lo
scavo ha messo in luce labili residui di materiale
organico di colore scuro immediatamente al di
sopra del corpo, verosimilmente in relazione con
alcuni frammenti di probabile osso lavorato:
la forma circolare, ancora percepibile, avvalora
una prima ipotesi di un elemento di mobilio
utilizzato come riparo (De Carolis 2007). Il
profilo biologico preliminare dei due individui
indica sesso maschile per entrambi, determinato
sulla base dei caratteri macroscopici di cranio
e cinto pelvico (Bertoldi 2009). Considerata
la poca leggibilità delle sinfisi pubiche in corso
di scavo, una prima determinazione dell’età (?
55 anni) è stata effettuata sulla base della forte
consunzione della superficie occlusale dei denti
mascellari e mandibolari in entrambi gli individui
(Lovejoy 1985), associata ad alcune perdite
dentarie intra vitam nell’individuo 2. Tale ipotesi
di età maturo-senile viene rafforzata in entrambi
i casi dalla totale ossificazione dell’articolazione
manubrio-sternale e del processo xifoideo, oltre
che dall’ossificazione della cartilagine tiroidea e
dal grado di obliterazione delle suture craniche.
La statura in vita, al momento determinata in
corso di scavo dalla lunghezza femorale, risulta in
1,58 e 1,68 cm ± 3,27 (Trotter 1952, 1958; 1977).
Tali dati preliminari, inclusa la presenza di
eventuali patologie, verranno rivalutati nel corso
di successive analisi in laboratorio.
VA, CC, SD, DS
fig.13
PARCO
ARCHEOLOGICO
DI POMPEI
Bibliografia
Adam J.P. 1989, Osservazioni tecniche sugli effetti del terremoto di Pompei del 62, in E. Guidoboni (a
cura di), I terremoti prima del Mille in Italia e nell’area mediterranea, SGA, Bologna, pp. 460-474.
Amato V., Covolan M., Dessales H., Santoriello A. 2022, Seismic microzonation of the Pompeii
Archaeological Park (Southern Italy): local seismic amplification factors, in Geosciences 12, 275.
Berg R. 2005, Saggi archeologici nell’insula dei Casti Amanti, in Nuove ricerche archeologiche a Pompei
ed Ercolano, Atti del Convegno Internazionale, Roma 28-30, Novembre 2002, a cura di P.G. Guzzo, M.P.
Guidobaldi, Napoli, pp. 200-215.
Bertoldi F. 2009, Determinazione del sesso e dell’età alla morte, in F. Mallegni, B. Lippi, Non Omnis
Moriar, Roma, pp. 31-42.
Cioni R., Marianelli P., Sbrana A. 1990, L’eruzione del 79 d.C.: stratigrafia dei depositi ed impatto
sugli insediamenti romani nel settore orientale e meridionale del Somma-Vesuvio, in Rivista di studi
pompeiani, 4, pp. 179-198.
Cubellis E., Luongo G., Marturano A. 2007, Seismic hazard assessment at Mt. Vesuvius: maximumexpected
magnitude, in Journal of Volcanology and Geothermal Research 162, pp. 139-148.
De Carolis E. 2007, Il mobile a Pompei ed Ercolano. Letti, tavoli, sedie e armadi. Contributo alla
tipologia dei mobili della prima età imperiale, Roma.
De Simone A. 1995, I terremoti precedenti l’eruzione. Nuove attestazioni da recenti scavi, in Archäologie
und Seismologie. La regione vesuviana dal 62 al 79 d.C. Problemi archeologici e sismologici, Colloquium,
Boscoreale, 26-27 Novembre 1993, pp. 37-43.
Dessales H. 2020, The Villa of Diomedes. The making of a Roman villa in Pompeii, Paris, coll. “Histoire
et Archéologie”, Hermann, p. 30.
Doronzo D.M., Di Vito M.A., Arienzo I., Bini M., Calusi, B., Cerminara M., Corradini S., de Vita S.,
Giaccio B., Gurioli L., Mannella G., Ricciardi G.P, Rucco I, Sparice D., Todesco M., Trasatti E., Zanchetta,
G. 2022, The 79 CE eruption of Vesuvius: A lesson from the past and the need of a multidisciplinary
approach for developments in volcanology, in Earth-Science Reviews, 231.
Fiorelli G. 1860-1864, Pompeianarum Antiquitatum Historia: quam ex cod. mss. et a schedis diurnisque
R. Alcubierre, C. Weber, M. Cixia, I. Corcoles, I. Perez-Conde, F. et P. La Vega, R. Amicone, A Ribau,
M. Arditi, N.D’Apuzzo ceteror, quae in publicis aut privatis bibliothecis servantur nunc primum collegit
indicibusque instruxit Ios. Fiorelli ordini Academ. Herculanens. adiectus. Napoli, I, p. 268.
Galadini F. 2009, Defining the causes of ancient building collapse (structural decaying vs. seismic
shaking) in archaeological deposits of central Italy, in Il Quaternario, 22, pp. 73-82.
Guidoboni E., Ferrari G., Mariotti D., Comastri A., Tarabusi G., Sgattoni G., Valensise G. 2018, CFTI5Med,
Catalogo dei Forti Terremoti in Italia (461 a.C.-1997) e nell’area Mediterranea (760 a.C.-1500). Istituto
Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV). doi: Link “https://doi.org/10.6092/ingv.it-cfti5”
PARCO
ARCHEOLOGICO
DI POMPEI
Bibliografia
Lovejoy C.O. 1985, Dental wear in the Libben population:its functiona pattern and role in the
determination of adult skeletal age at death, in American Journal of Physical Anthropology 68, pp.47-56.
Luongo G., Perrotta A., Scarpati C. 2003, Impact of the AD 79 explosive eruption on Pompeii, I. Relations
amongst the depositional mechanisms of the pyroclastic products, the framework of the buildings and the
associated destructive events, in Journal of Volcanology and Geothermal Research, 126(3-4), pp. 201223.
Maiuri A. 1942, L’ultima fase edilizia di Pompei, Roma.
Marturano A., Nappo C., Varone A. 2006, Trasformazioni territoriali legate all’eruzione del Vesuvio
del 79 d.C., in F. Vitiello (a cura di), Archaeology, Volcanism and remote Sensing, Atti del II Convegno
Internazionale, Sorrento 20-22 giugno 2001, Roma, pp. 89-107.
Marturano A., Varone A. 2005, The A.D. 79 Eruption: Seismic activity and effects of the eruption on
Pompeii, in M. Balmuth, D. Chester, P. Johnston (eds.), Cultural Response to the Volcanic Landscape:
The Mediterranean and Beyond. Archaeological Institute of America, pp. 241-260.
Nappo C. 1995, Evidenze di danni strutturali, restauri e rifacimenti nelle insulae gravitanti su Via Nocera
a Pompei, in Archäologie und Seismologie. La regione vesuviana dal 62 al 79 d.C. Problemi archeologici
e sismologici, Colloquium, Boscoreale, 26-27 Novembre 1993, pp. 45-54.
Nicola R., Galassi S., Tempesta G. 2018, I terremoti del I secolo d.C. a Pompei. Osservazioni intorno ai
danni e consolidamenti nelle Terme Stabiane con particolare riguardo ad uno sperone nel Destrictarium,
in RA restauro archeologico, 26 (2), pp. 72-91.
Osanna M. 2019, Pompei. Il tempo ritrovato. Le nuove scoperte, Roma, p. 286.
Osanna M., Capurso A., Masseroli S. M. 2021, I Calchi di Pompei da Giuseppe Fiorelli ad oggi, Studi e
Ricerche del Parco Archeologico di Pompei, vol. 46.
Pesando F., Guidobaldi M.P. 2018, Pompei, Oplontis, Ercolano, Stabiae, Bari, pp. 248-249.
Scandone R., Giacomelli L., Rosi M. 2019, Death, Survival and Damage during the 79 AD Eruption of
Vesuvius which destroyed Pompeii and Herculaneum, in J-Reading Journal of reasearch and didactics in
Geography, 2, pp. 5-30.
Scarpati C., Perrotta A., Martellone A., Osanna M. 2020, Pompeian hiatuses: new stratigraphic data
highlight pauses in the course of the ad 79 eruption at Pompeii, in Geological Magazine, 157(4), pp.
695-700.
Sigurdsson H., Carey S., Cornell W. Pescatore T. 1985, The Eruption of Vesuvius in AD 79, in National
Geographic Research, 1(3), pp. 332-387.
Trotter M. 1952, Estimation of stature from long limb bones of American whites and Negroes, in American
Journal of Physical Anthropology, 10, pp. 469-514.
Trotter M. 1958, A re-evaluation of estimation of stature based on measurements taken during life and the
long bones after death, in American Journal of Physical Anthropology, 16, pp. 79-123.
PARCO
ARCHEOLOGICO
DI POMPEI
Bibliografia
Trotter M. 1958, A re-evaluation of estimation of stature based on measurements taken during life and the
long bones after death, in American Journal of Physical Anthropology, 16, pp. 79-123.
Trotter M. 1977, Corrigenda to “Estimation of Stature from long limb bones of American Whitesand
Negroes”, in American Journal of Physical Anthropology, 47, pp. 355-356.
Varone A. 1995, Più terremoti a Pompei? I nuovi dati degli scavi di via dell’Abbondanza, in Archäologie
und Seismologie. La regione vesuviana dal 62 al 79 d.C. Problemi archeologici e sismologici, Colloquium,
Boscoreale, 26-27 Novembre 1993, pp. 29-35.
Varone A. 2002, L’insula dei Casti Amanti (IX, 12), in Pompei. La vita ritrovata, a cura di F. Coarelli,
Udine, pp. 334-345.
Varone A. 2005a, Il progetto di scavo e pubblica fruizione dell’insula pompeiana dei Casti Amanti (Insula
IX, 12), in Nuove ricerche archeologiche a Pompei ed Ercolano, Atti del Convegno Internazionale, Roma
28-30, Novembre 2002, a cura di P.G. Guzzo, M.P. Guidobaldi, Napoli, pp. 191-199.
Varone A. 2005b, Convivere con i terremoti. La travagliata ricostruzione di Pompei dopo il terremoto del
62 d.C. alla luce delle nuove scoperte, in T. A. M. Mols, E. M. Moormann (a cura di), Omni pede stare.
Saggi architettonici e circumvesuviani in memoriam Jos de Waele, Napoli, pp. 315-323.
Wedel V., Galloway A. 2014, Broken Bones. Anthropological Analysis of Blunt Force Trauma, Springfield.
PARCO
ARCHEOLOGICO
DI POMPEI
Raccolta immagini
fig.1
fig.2
fig.3
fig.4
fig.5
fig.6
fig.7
fig.8
fig.9
PARCO
ARCHEOLOGICO
DI POMPEI
Raccolta immagini
fig.10
fig.11
fig.12
fig.13
Didascalie:
Fig. 1 – Stralcio Planimetria progetto di scavo – Riconfigurazione scarpate e restauro Insula Casti dei Amanti
Fig. 2 – USR 31- vista da nord
Fig. 3 – USR 31,32, US 33 in corso di scavo -vista da est
Fig. 4 – USM 51, UUSS 28,26 .vista da est
Fig. 5 – US 66 in corso di scavo- vista da nord
Fig. 6 – UUSS 37,38,39 -vista da nrod.
Fig. 7 – US 57 -vista da sud
Fig. 8 – UUSS 73-115 vista da sud
Fig. 9 – UUSS 73-115 -dettaglio- vista da sud
Fig. 10 – UUSS 76,80
Fig. 11 – US 23 – vista da nord.
Fig. 12 – Vittima n.1, US 76 – vista da est. In evidenza i traumi perimortem ai danni del distretto toracico.
Fig. 13 – Vittima n.2, US 80, in corso di scavo – vista da sud. In evidenza i rapporti stratigrafici fra il crollo e l’individuo e la traccia circolare indice
della presenza di materiale organico.
PARCO
ARCHEOLOGICO
DI POMPEI
Ri-scavare Pompei: nuovi
dati interdisciplinari dagli
ambienti indagati
a fine ‘800 di Regio IX,
PARCO
ARCHEOLOGICO
DI POMPEI
Ri-scavare Pompei: nuovi dati
interdisciplinari dagli ambienti indagati
Valeria Amoretti¹, Chiara Comegna2, Gennaro Iovino3, Alessandro Russo3, Giuseppe Scarpati1, Domenico Sparice4, Gabriel Zuchtriegel1
Contesto storico
e stratigrafico
L’attività di scavo in corso all’insula 10 della Regio
IX di Pompei rientra negli interventi previsti dal
progetto “Scavo e messa in sicurezza e restauro
dell’insula 10 Regio IX ai fini della riconnessione
con il tessuto urbano di via di Nola”, che prevede
l’avanzamento del fronte di scavo verso sud-est,
fino all’allineamento con i fronti delle adiacenti
insulae 9 e 14. L’obiettivo è di liberare un’ampia
parte rimasta non scavata (circa 3.200 mq) con i
lavori effettuati nell’area tra la fine del XIX e gli
inizi del XX secolo.
La Regio IX occupa la porzione centrale della
città ed è delimitata alle estremità nord e sud dai
decumani di via di Nola e di via dell’Abbondanza.
Un terzo asse, ancora in parte sepolto dalla coltre
piroclastica, attraversava la zona centrale con
andamento est-ovest identificato con la vìu mefiu
o mefiru menzionata in una iscrizione osca letta
sulla facciata della Casa del Moralista (Vetter
1957, s. 57; Varone, Stefani 2009, pp. 257-259).
La struttura dell’intero blocco urbanistico si deve
alla generale pianificazione avvenuta nel corso
del III secolo a.C. (Gallo 2001, pp. 85-91; Giglio
2016; Pesando, Giglio 2017, pp. 21-28) e consiste
in una maglia regolare di isolati rettangolari,
allungati con un rapporto tra larghezza e
lunghezza di 1:3 (30 x 90 m), sviluppata intorno
ai tre assi stradali principali con andamento estovest, su cui si affacciano i lati brevi delle insulae.
I lati maggiori si sviluppano lungo vicoli di
dimensioni minori, con andamento nord-sud,
che disegnano la fitta maglia del quartiere. Lo
scavo dell’area venne interrotto negli ultimi due
decenni dell’Ottocento ad eccezione della Casa di
Obellio Firmo (IX,14,3-4), la sola identificata nel
1888 e scavata tra il 1903 ed il 1911 (Spinazzola
1953, pp. 335-365). Solo nel corso del XX secolo
sono riprese le ricerche che hanno disseppellito la
Casa di Giulio Polibio (IX,13) e la porzione sudorientale dell’insula dei Casti Amanti (IX,12).
Le uniche due unità edilizie visibili nell’insula
10, ai civici 1 e 2, furono parzialmente indagate
tra il 1888 ed il 1891. La facciata dell’isolato
venne messa in luce nell’autunno del 1888
contestualmente alle facciate delle insulae 2-5
della Regio V poste di fronte (Archivio scientifico
PAP, Diari di scavo 1888, 91-95), protraendosi
fino al 1891 (Sogliano 1891, p. 266). Non
possediamo però alcun resoconto dello scavo
condotto dai soprastanti poiché lo stesso Sogliano
rimanda di riferire intorno a queste abitazioni,
quando saranno state completamente scoperte.
Lo scavo non verrà mai completato e delle unità
edilizie individuate nell’insula 10, identificate
dai civici 1 e 2, vennero scavati soltanto gli
ambienti prospicienti la via di Nola. L’accesso
al civico 1 era inibito da un muro moderno,
costruito sul fondo dell’ingresso per contenere il
terrapieno retrostante. Dal piano stradale di via
di Nola, la quota del fronte di scavo aumentava
progressivamente di circa 5 m fino al pianoro che
ingloba la quasi totalità dell’insula. Al civico 2 si
sviluppa la Casa ad atrio che al momento
della ripresa delle indagini presentava i piani di
¹ Parco Archeologico di Pompei, Via Plinio 26, 80045, Pompei (NA).
² Archeobotanica Ales S.p.A.
³ Libero professionista.
? Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, sezione di Napoli, Osservatorio Vesuviano, Via Diocleziano 328, 80124, Napoli.
PARCO
ARCHEOLOGICO
DI POMPEI
calpestio degli ambienti coperti da uno strato di
terreno scivolato dal terrapieno.
Sulla base delle tecniche edilizie (opera a blocchi
ed opera a telaio), alterate in più parti da
interventi antichi e moderni di consolidamento
e ricostruzione, gli edifici potrebbero essere stati
realizzati già nel corso del III a.C. e successivamente
ristrutturati modificando l’assetto distributivo
degli ambienti originari di età sannitica. Le case ad
atrio di III secolo a.C. sono state trasformate già
nel corso del I secolo d.C. in officine per attività
produttive, con l’impianto di un panificio nel
settore occidentale del civico 1, e di una lavanderia
nell’atrio del civico 2.
Le attività di scavo in corso stanno interessando
il settore nord-ovest dell’isolato (civico 1), in
particolare gli ambienti 4, 7 e 7a (fig. 1), delimitati
dal fronte settentrionale di via di Nola e dal vicolo
ad ovest dell’insula.
Le strutture parzialmente a vista facevano già
supporre la presenza di un impianto produttivo
con forno, ipotesi che ha trovato conferma
allorché si è proceduto alla rimozione dell’interro
(US 1), costituito dal terreno accumulatosi
successivamente alle attività d’indagine condotte
nell’Ottocento; queste ultime, essendosi
concentrate oltre che sull’unità abitativa al
civico 2 anche sui vani prospicienti via di Nola,
avevano, infatti, interessato i nostri tre ambienti,
fortunatamente senza giungere ovunque alla
quota pavimentale.
fig. 1
Partendo da nord s’incontra l’ambiente 4 (fig. 2),
di forma rettangolare, diviso in due zone: quella
occidentale con pavimento in cocciopesto su cui
poggiano elementi in muratura che sostenevano,
probabilmente, tavolati o madie per la lavorazione
dell’impasto del pane; quello orientale con
pavimento basolato verosimilmente destinato
alla macinazione delle granaglie. Sul piano
pavimentale poggiava un deposito di pomici
spesso 0.4 m.
fig. 2
PARCO
ARCHEOLOGICO
DI POMPEI
Questa destinazione d’uso per il tratto basolato
trova conforto nel rinvenimento di un taglio
di forma circolare intorno a cui si dispongono i
basoli, che fa ipotizzare la presenza di un’originaria
macina asportata in età moderna.
La rimozione delle pomici ha messo in luce il
crollo del solaio del piano superiore, al di sotto
del quale sono stati identificati i resti ossei di due
individui posti lungo la parete nord della zona
orientale dell’ambiente e i resti parziali di un terzo
corpo alterato dalle manomissioni successive.
Il muro sud dell’ambiente 4 presenta, pressoché
centralmente, un vano di passaggio all’adiacente
ambiente 7a dove insiste, ad ovest del vano, il
forno (fig. 3) relativo al panificio.
In quest’ambiente, al momento, è stata
parzialmente rimossa l’US 1 e si è scavata
fig. 4
Adiacente alla parete meridionale del forno è
il vano 7, anch’esso solo parzialmente scavato.
Elemento significativo di quest’ultimo ambiente
è la presenza di due strutture circolari in muratura,
attualmente non del tutto visibili, su cui, in
origine, dovevano poggiare le mete circolari di
due macine, mete che però non sono presenti
sulle basi. La condizione dello scavo ancora in
fieri induce ad essere cauti, ad ogni modo è lecito
domandarsi se la mancanza delle macine sia
imputabile ad asportazioni avvenute durante gli
scavi ottocenteschi.
GI, AR, GS, GZ
fig. 3
l’anticamera e la camera del forno riempita da
materiale di risulta degli scavi ottocenteschi,
penetrato attraverso un foro nella volta del forno
stesso.
Lungo la parete nord del vano 7a si è messa in luce
una vasca rettangolare (1.50 x 0.80 m ca.) di cui
ancora non si è raggiunto il fondo.
A sud del forno (fig. 4), la sezione di scavo ha
evidenziato la presenza di scarti di materiali
edilizi (relativi alle diverse fasi di scavo e
intervento avvenute nell’area a partire dal XIX
secolo) intervallati da lenti di cinerite e pomici
rimaneggiate, i quali coprono un deposito di
pomici in giacitura primaria.
Analisi specialistiche
preliminari
Le caratteristiche dell’ambiente e la sua complessità
stratigrafica hanno richiesto l’intervento di
specifiche professionalità scientifiche afferenti al
Laboratorio di Ricerche Applicate del PAP e alle
convenzioni in atto, al fine di una integrazione
dei dati di scavo nell’ottica di una visione il
più possibile completa, dimostrando come il
confronto in cantiere possa risultare dirimente
per l’interpretazione dei rinvenimenti sin dai
primi momenti, pur nella consapevolezza della
preliminarietà delle interpretazioni.
PARCO
ARCHEOLOGICO
DI POMPEI
L’apporto archeobotanico
fine dell’analisi del contenuto organico di tale
strato a forte componente organica, in cui erano
chiaramente visibili frammenti di noccioli di olive,
è stato applicato un protocollo che ha previsto la
campionatura totale del sedimento presente tra
i basoli ed una campionatura parziale di quello
presente intorno alla traccia della macina (Chabal
et al. 1999, fig. 5). Il volume totale del campione
prelevato tra i basoli è di 3,5 l, mentre quello
Tra i basoli dell’intera pavimentazione
dell’ambiente 4 è stato rilevato uno strato (US
163) a matrice organica di colore nero. Questo
strato risultava più compatto e a matrice più fine
intorno alla traccia lasciata dalla fondazione della
macina verosimilmente asportata, per il quale
è stata effettuata una campionatura a parte. Al
fig. 5
prelevato intorno alla traccia della macina è di 0,5 l.
I campioni sono stati trasferiti in laboratorio dove
è avvenuta la setacciatura in acqua, utilizzando
setacci con maglie da 2 mm e 0,5 mm. Le risulte
sono state vagliate allo stereomicroscopio con
ingrandimenti da 6x a 60x, così da poter isolare
i semi ed altri eventuali elementi ex-organici
(fig. 6). Della risulta del campione di sedimento
prelevato tra basoli è stata vagliata, al momento,
solo una sottocampionatura di 0,5 l.
fig. 6
PARCO
ARCHEOLOGICO
DI POMPEI
In entrambi i campioni gli unici rinvenimenti
archeobotanici sono risultati essere noccioli di
olive che presentano modalità di frammentazione
diversificate. Nel campione prelevato tra i basoli i
78 frammenti sono di dimensioni maggiori (fig.
7), mentre il campione di sedimento prelevato
fig. 7
presso la macina ha restituito solo resti di minime
dimensioni per un totale di 16 frammenti (fig. 8).
fig. 8
La presenza di noccioli di olive in contesti di
pertinenza di forni è ampiamente attestata
proprio a Pompei (Rowan 2015; Monteix et
al. 2011; Coubray, Monteix, Zech-Matterne
2019) poiché i noccioli venivano utilizzati come
combustibile supplementare al legno ed al carbone
di legno poiché più economici e probabilmente
facilmente reperibili in città (Rowan 2015; Veal
2009). Del resto lo stesso Plinio ne raccomanda
l’uso come combustibile (Plin., N.H., XV, 22).
L’interpretazione preliminare del sedimento
presente sul piano pavimentale dell’ambiente 4
potrebbe pertanto essere pertinente con quella di
uno strato formato dai residui della lavorazione
di parte del combustibile utilizzato per il vicino
forno. Tale ipotesi verrà confermata o smentita
durante il prosieguo dello scavo e delle analisi.
Allo stesso modo sarà soggetta a ulteriore revisione
l’interpretazione della presenza di 19 minimi
frammenti di noccioli di olive all’interno dei 50
gr. di campionatura provenienti dall’interno
del forno, verosimilmente parte della risulta del
combustibile impiegato durante gli ultimi utilizzi.
L’apporto vulcanologico
Dal punto di vista vulcanologico, le informazioni
deducibili sono limitate a causa degli scavi
di fine ‘800 che hanno cancellato gran parte
della stratigrafia dei depositi che riempivano
l’ambiente 4. Ciò nonostante, è ben chiaro il
rapporto stratigrafico tra gli individui adulti,
ritrovati nel settore nord-est dell’ambiente, e
quanto rimaneva della stratigrafia primaria
dell’eruzione del 79 d.C. Diverso è il discorso
relativo ai pochi resti scheletrici di un individuo
infantile ritrovati nel settore sud-est. Questi
ultimi, rinvenuti alla stessa altezza dei resti degli
individui adulti, erano inglobati in un deposito
completamente rimaneggiato e alterato che ha
impedito una descrizione stratigrafica accurata.
Il rimaneggiamento era dovuto alla penetrazione
delle radici di un grosso ailanto che occupa
l’angolo sud-est dell’ambiente e, probabilmente,
all’operazione di asportazione della macina.
Gli scheletri degli individui adulti poggiavano
sul piano di calpestio senza interposizione di
PARCO
ARCHEOLOGICO
DI POMPEI
materiali vulcanici. Diversi frammenti relativi
al crollo del solaio dell’ambiente erano a diretto
contatto con le parti scheletriche. Un deposito
di lapilli pomicei bianchi, spesso 40 cm, copriva
i frammenti di crollo e penetrava gli spazi tra i
singoli blocchi. In assenza dei frammenti del
solaio, i lapilli erano a diretto contatto con gli
scheletri, inserendosi parzialmente nel volume
interno a seguito della decomposizione del corpo.
Lo strato di pomici bianche era presente
in maniera uniforme in tutto l’ambiente e
rappresentava l’unico testimone dei prodotti
vulcanici primari. Tale deposito è perfettamente
compatibile con la cronologia degli eventi
dell’eruzione del 79 d.C. a Pompei che, nella
prima fase, è caratterizzata dalla sedimentazione
di pomici bianche seguite da pomici grigie, il
cui spessore totale raggiunge quasi 3 m (e.g.
Sigurdsson et al. 1985; Cioni, Marianelli, Sbrana
1990; Scarpati et al. 2020; Doronzo et al. 2022).
Lo spessore del deposito di lapilli in questo
ambiente rappresenta, quindi, un valore minimo
che in origine doveva essere ben maggiore. A
differenza dei risultati ottenuti di recente tramite
l’analisi dettagliata del contesto stratigrafico di un
crollo, e delle relative vittime, nell’insula dei Casti
Amanti (Amoretti et al. 2023) o in passato in
altri contesti pompeiani (e.g. Luongo, Scarpati,
Perrotta 2003; Luongo et al. 2003), le notevoli
lacune nella stratigrafia e i rifacimenti che hanno
interessato gli alzati, inficiandone la leggibilità,
non permettono di ricostruire in dettaglio la
dinamica degli eventi.
L’apporto antropologico
I resti dei tre individui, rinvenuti
inaspettatamente durante la rimozione degli
ultimi 40 cm di stratigrafia residua erano
caratterizzati da una serie di peculiarità derivanti
dalle non comuni condizioni di morte e poi di
giacitura (fig. 9).
L’individuo 1, di probabile sesso femminile
(determinato provvisoriamente dalle pochissime
caratteristiche morfologiche evidenziabili sul
campo), giaceva in decubito dorsale a diretto
contatto con la pavimentazione basolata, sulla
quale è stato individuato il sottile strato di
materiale organico poi sottoposto ad analisi
archeobotaniche.
fig. 9
PARCO
ARCHEOLOGICO
DI POMPEI
Il corpo scheletrizzato era a diretto contatto
con i pesanti blocchi del solaio collassato e
lapilli pomicei bianchi, in totale assenza del
deposito cineritico, verosimilmente asportato
nelle operazioni di scavo precedenti. Quattro
grandi blocchi in particolare sembrano avere
avuto un impatto diretto con il corpo, a livello di
cranio/rachide cervicale, emicostato destro, arto
superiore/coxale sinistri e arto inferiore destro
(fig. 10, in corso di scavo).
Il cranio era voltato sul lato destro mentre la
colonna e la cassa toracica, appiattiti fino a
misurare in alcuni punti meno di 2 cm, giacevano
in connessione anatomica, come pure gli arti
superiori, entrambi leggermente ripiegati, con
omero sinistro intraruotato. Vicino alla mano
sinistra, in cui erano probabilmente trattenute
e da cui sono scivolate, sono state rinvenute due
fig. 10
monete, verosimilmente due assi, il cui conio
è ancora da identificare con precisione. L’arto
inferiore destro presentava rotazione/traslazione
a livello dell’articolazione del ginocchio, mentre
quello sinistro risultava extraruotato, con piede
in posizione laterale con il lato plantare a vista.
È chiaro come tali indicatori, insieme alle
numerosissime fratture a livello della quasi
totalità degli elementi scheletrici, siano
conseguenza dei forti traumi sul corpo
dell’individuo al momento della morte, ma
anche dei fattori tafonomici intervenuti
successivamente a causa della pressione
esercitata dal peso differenziato degli elementi
sovrastanti, unitamente al profilo irregolare del
piano pavimentale.
Il secondo individuo, anch’esso adulto di
probabile sesso femminile, giaceva sul fianco
sinistro, il cranio sfondato a livello della base
cranica e incassato nella gabbia toracica, il
distretto maxillo-facciale rivolto e pressato
contro il muro est dell’ambiente. L’arto sinistro
era flesso, il polso anch’esso contro al muro, le
falangi ripiegate. L’arto superiore destro era al di
sotto del corpo, con l’avambraccio coperto dal
cinto pelvico. In quest’ultimo era chiaramente
rilevabile una rotazione che ha portato
all’incrocio dei due femori, al posizionamento
del distretto in posizione prona e alla dislocazione
del femore destro dalla cavità acetabolare. Anche
in questo caso alle numerose e importanti
fratture perimortem, presenti in particolare a
livello toracico e cranico, si aggiungono una serie
di evidenti fattori tafonomici che andranno
accuratamente valutati e discriminati durante il
prosieguo delle analisi (Duday 2006).
Il terzo individuo è rappresentato, per le cause
già descritte nei precedenti contributi, da pochi
frammenti ossei pertinenti a un individuo
infantile di circa 3-4 anni (età provvisoriamente
attribuita sul solo grado di sviluppo e lunghezza
in scavo della diafisi femore destro: Bertoldi
2009; Schaefer, Black, Scheuer 2009); la
presenza di alcuni metatarsali in connessione
suggeriscono che la morte dell’individuo sia
avvenuta in prossimità dell’angolo sud-est
dell’ambiente.
PARCO
ARCHEOLOGICO
DI POMPEI
Bibliografia
Amoretti V., Comegna C., De Rosa S., Galadini F., Scarpati G., Sparice D., Terracciano A., Zuchtriegel
G. 2023, Scavo di due vittime dell’eruzione nell’insula dei Casti Amanti. Nuovi dati vulcanologici e
sismologici, in E-Journal degli Scavi di Pompei, 1, http://pompeiisites.org/wp-content/uploads/
Bertoldi F. 2009, Determinazione del sesso e dell’età alla morte, in Mallegni F., Lippi B, Non Omnis
Moriar, Roma, pp. 46-47.
Chabal, L., Fabre L., Terral J.F., Théry-Parisot I. 1999, L’anthracologie, in La botanique (Archéologiques),
Paris, Errance, pp. 43–104.
Cioni R., Marianelli P., Sbrana A. 1990, L’eruzione del 79 d.C.: stratigrafia dei depositi ed impatto
sugli insediamenti romani nel settore orientale e meridionale del Somma-Vesuvio, in Rivista di studi
pompeiani, 4, pp. 179-198.
Coubray S., Monteix N., Zech-Matterne V. 2019, Of olives and wood: baking bread in Pompeii, in R.
Veal, V. Leitch (a cura di). Fuel and Fire in the Ancient Roman World: towards an integrated economic
understanding, McDonald Institute for Archaeological Research, pp. 121-133.
Doronzo, D.M., Di Vito, M.A., Arienzo, I., Bini, M., Calusi, B., Cerminara, M., Corradini S., de Vita S.,
Giaccio B., Gurioli L., Mannella G., Ricciardi G.P, Rucco I, Sparice D., Todesco M., Trasatti E., Zanchetta,
G., 2022, The 79 CE eruption of Vesuvius: A lesson from the past and the need of a multidisciplinary
approach for developments in volcanology in Earth-Science Reviews, 231; 104072.
Duday H. 2006, Lezioni di archeotanatologia: archeologia funeria e antropologia di campo, Soprintendenza
archeologica di Roma, Roma.
Gallo A. 2001, Pompei. L’insula 1 della Regio IX, settore occidentale, in Studi della Soprintendenza
Archeologica di Pompei, 1, Roma.
Giglio M. 2016, Considerazioni sull’impianto urbanistico di Pompei, in Vesuviana, 8, pp. 11-48.
Luongo, G., Perrotta, A., Scarpati, C. 2003, Impact of the AD 79 explosive eruption on Pompeii, I. Relations
amongst the depositional mechanisms of the pyroclastic products, the framework of the buildings and the
associated destructive events, in Journal of Volcanology and Geothermal Research, 126 (3-4), 201-223.
Luongo, G., Perrotta, A., Scarpati, C., De Carolis, E., Patricelli, G., Ciarallo, A. 2003, Impact of the AD
79 explosive eruption on Pompeii, II. Causes of death of the inhabitants inferred by stratigraphic analysis
and areal distribution of the human casualties, in Journal of Volcanology and Geothermal Research,
126(3-4), 169-200.
Monteix N., Aho S., Coutelas A., Garnier L., Matterne Zeck V., Zanella S. 2011, Pompéi, «Pistrina»:
recherches sur les boulangeries de l’Italie romaine, in Mélanges de l’école française de Rome, 123 (1),
306–13.
Rowan E. 2015, Olive oil pressing waste as a fuel source, in antiquity, in American Journal of Archaeology,
119 (4), pp. 465–82.
PARCO
ARCHEOLOGICO
DI POMPEI
Bibliografia
Pesando F., Giglio M. (a cura di) 2017, Rileggere Pompei V. L’insula 7 della Regio IX, in Studi e Ricerche
del Parco Archeologico di Pompei, 36, Roma.
Scarpati, C., Perrotta A., Martellone A., Osanna M. 2020, Pompeian hiatuses: new stratigraphic data
highlight pauses in the course of the ad 79 eruption at Pompeii, in Geological Magazine, 157 (4), pp.
695-700.
Schaefer M., Black S., Scheuer L. 2009, Juvenile osteology. A Laboratory and field manual, Elsevier, p.
Sigurdsson, H., Carey, S., Cornell, W. Pescatore, T. 1985, The Eruption of Vesuvius in AD 79, in National
Geographic Research, 1(3), pp. 332-387.
Sogliano A. 1891, II. Dipinti ed epigrafi nell’isola ad oriente della 7, Regione IX, e nelle isole 2 e 5,
Regione V, in Notizie degli Scavi di Antichità, pp. 266-273.
Spinazzola V. 1953, Pompei alla luce degli scavi nuovi di via dell’Abbondanza (anni 1910-1923), I,
Roma.
Varone A., Stefani G. 2009, Titulorum Pictorum Pompeianorum qui in CIL Vol. IV collecti sunt Imagines,
in Studi della Soprintendenza Archeologica di Pompei, 29 Roma.
Vetter E. 1953, Handbuch der italischen Dialekte, 1, Oskische Inschriften, Heidelberg.
Veal R. 2009, The Wood Fuel Supply to Pompeii Third Century BC to AD 79. An Environmental, Historical
and Economic Study Based on Charcoal Analysis, Ph.D. Thesis, University of Sydney, Sidney.
PARCO
ARCHEOLOGICO
DI POMPEI
Raccolta immagini
fig.1
fig.2
fig.3
fig.4
fig.5
fig.6
fig.7
fig.8
fig.9
Didascalie:
Fig. 1 – Settore nord-ovest dell’insula 10 della Regio IX, ambienti 4, 7, 7a
Fig. 2 – Veduta da ovest dell’ambiente 4
Fig. 3 – L’imboccatura del forno nell’ambiente 7a
Fig. 4 – Sezione di scavo a sud del forno nell’ambiente 7a
Fig. 5 – Sedimento presente intorno alla traccia di macina nell’ambiente 4
Fig. 6 – Campioni di sedimenti in corso di analisi allo stereomicroscopio
Fig. 7 – 78 frammenti di noccioli di olive dall’ambiente 4
Fig. 8 – 16 frammenti di noccioli di olive dall’ambiente 4
Fig. 9 – Resti di due individui nell’ambiente 4
Fig. 10 – Una delle vittime schiacciata da frammenti di muratura in crollo
fig.10
PARCO
ARCHEOLOGICO
DI POMPEI
Una natura morta con
xenia dallo scavo della casa
IX 10,1 a Pompei
PARCO
ARCHEOLOGICO
DI POMPEI
Una natura morta con xenia dallo scavo
della casa IX 10,1 a Pompei
Alessandro Russo¹, Gabriel Zuchtriegel 2
Gli scavi presso l’isolato 10 della Regio IX, iniziati
tra il 1888 ed il 1891 e presto sospesi, sono stati
di recente ripresi (gennaio 2023) all’interno delle
attività di ricerca e tutela del Parco Archeologico
di Pompei nel progetto di messa in sicurezza
dei fronti (Amoretti et al. 2023). Le attività di
scavo, tuttora in corso, interessano il settore nord
dell’isolato (civico 1), in particolare gli ambienti
del panificio (4, 7 e 7a) e gli ambienti distribuiti
intorno all’atrio (2) (fig. 1) con accesso da via di
Nola.
Le strutture parzialmente a vista facevano già
supporre la presenza di un ampio atrio con la
canonica successione degli ambienti sul lato
orientale e, sul lato opposto, l’ingresso al settore
produttivo del forno. L’atrio è stato liberato dal
materiale di risulta degli scavi ottocenteschi (US
1) rivelando il crollo delle coperture compluviate
all’interno dello strato di pomici bianche
(US 163) e una porzione residuale degli strati
vulcanici da flusso (cineriti US 143) nel settore
meridionale. Questo settore ancora in parte
ingombro dai crolli conserva il tablino affrescato
(14) che occupa l’intero versante con, nell’angolo
sud-ovest, un corridoio di accesso ad un settore
ancora non esplorato. La rimozione delle ceneri
vulcaniche ha rivelato in questo punto la presenza
superstite di un pannello affrescato a fondo nero
con natura morta (fig. 2).
La composizione, realizzata in campo libero al
centro di un pannello a fondo nero racchiuso
da una bordura di tappeto, è strutturata su due
piani prospettici resi da mensole. Sulla mensola
superiore è poggiato un grande vassoio in argento
ad anse mobili contenente un cantharus dello
stesso materiale, ricolmo di vino, e diversi frutti
secchi e di stagione. Parte di questi frutti sono
dipinti al di sopra di un elemento di colore
bruno (forse una cesta o, più probabilmente, una
focaccia) che occupa l’intera porzione sinistra del
vassoio. La mensola inferiore resa in prospettiva
rievoca una mensa in legno su cui ricade una
benda pendente dai frutti della composizione.
fig. 1
fig. 2
¹ Libero professionista.
² Parco Archeologico di Pompei, Via Plinio 26, 80045, Pompei (NA).
PARCO
ARCHEOLOGICO
DI POMPEI
Il grande vassoio non trova precisi confronti
nell’instrumentum in argento rinvenuto in area
vesuviana che ha restituito servizi da mensa con
piatti da portata (lanx) (Guzzo 2006, p. 215 e
231) ma non vassoi. Trattandosi di un vassoio per
trasportare quantità consistenti di cibo, ricorda
per funzione alcuni bacili ad anse mobili noti nello
strumentario in bronzo da cui si differenzia solo
per il profilo maggiormente piano (Tassinari 1993,
S6100a). Nella documentazione iconografica
trova un confronto diretto con il vassoio dipinto
nel cubicolo (d) della Casa dei Vettii, (fig.3) e con
un quadro di natura morta proveniente dalla
Casa dei Cervi di Ercolano (fig. 4) (De Caro
2001, pp. 74-75). Anche la coppa su alto piede
che contiene il vino non trova confronti diretti
nello strumentario rinvenuto nell’area vesuviana,
tuttavia in questo caso ha un puntuale raffronto
nella pittura, in una delle composizioni di natura
morta dal tablino (92) dei Praedia di Giulia Felice
(II,4,3) (fig. 5). La forma rievoca quella della kylix
su alto piede (lip cup) con due insolite anse a presa
orizzontale tipiche degli scyphi in argento (Guzzo
2006, pp. 196-201). Tra i frutti rappresentati nel
vassoio spicca per la posizione in primo piano una
ghirlanda con corbezzoli gialli (Ciarallo 2006, tav.
1) e foglie inseriti su di una asticella azzurra avvolta
da un nastro rosso. All’estremità del corbezzolo in
primo piano è annodata una benda bruna che
pende sulla mensa. Direttamente deposti nel
vassoio sono due datteri, una melagrana e forse
un fico, e della frutta secca sgusciata. La porzione
fig. 4
fig. 5
sinistra del vassoio è occupata da un oggetto
piatto ricolmo di altra frutta secca (si riconoscono
un dattero ed un fico), in parte sbriciolata. La
resa di tale oggetto, nonché il fatto che esso sia
coperto da elementi lumeggiati di diverso colore
che sembrano indicare delle spezie o un qualche
condimento, suggerisce che si tratti di una focaccia
edibile piuttosto che di una cesta come in uno dei
quadri della casa dei Cervi di Ercolano (fig. 6) (De
Caro 2001, p. 72, n°49) o di un supporto ligneo,
ipotesi quest’ultima che già nel caso di un affresco
con un simile oggetto proveniente sempre dalla
Casa dei Cervi (il confronto più stringente finora
noto) aveva suscitato qualche dubbio (cfr. Riz
1990, n° 31; De Caro 2001, p. 74).
fig. 3
PARCO
ARCHEOLOGICO
DI POMPEI
A tal proposito si rammenta che l’uso di focacce
come offerte, che al tempo stesso assumono
la funzione di “supporti” o “contenitori” per
altri oggetti votivi (frutta in particolare), ha una
lunga tradizione nell’Italia del I millennio a.C.,
attestata da numerose terrecotte miniaturistiche
a forma di focaccia/piattino, trovate nei santuari
della penisola (cfr. Zuchtriegel 2012, p. 201
sg.; Meirano 2017). Si segnala, in particolare,
la presenza di “pasticcetti imitanti una patera”,
raffigurati su un piatto d’offerta dell’area sacra di
Calderazzo a Medma (Meirano 2017, p. 357).
Il quadretto qui presentato si inserisce in una
categoria di nature morte a cui è stato attribuito
il nome di xenia, che significa “doni ospitali”,
basandosi su una serie di testimonianze letterarie,
in primis Vitruvio (I sec. a.C.), Marziale (I sec. d.C.)
e Filostrato (II/III sec. d.C.). Tali testimonianze
consentono di cogliere alcuni significati impliciti
in questo genere di rappresentazioni, molto
diffuso soprattutto nell’ultima fase della pittura
pompeiana, nel cosiddetto IV stile (De Caro
2001; Costa 2020). Vitruvio (VI 7,4), infatti, ci
informa che “quando i Greci diventavano più
raffinati e le loro condizioni di vita più opulente”
creavano all’interno delle proprie abitazioni
piccoli appartamenti per gli ospiti, dove era uso
mandare, dopo la prima sera trascorsa insieme a
cena, “polli, uova, verdure, frutta e altri prodotti
della terra”, facendo in tal modo sentire gli invitati
come a casa loro. Come precisa lo scrittorearchitetto, ideo pictores ea, quae mittebantur
hospitibus, picturis imitantes xenia appellaverunt
(“per questo motivo, i pittori hanno chiamato
ciò che si mandava agli ospiti, quando è
rappresentato in pittura, xenia”). Il XIII libro
degli epigrammi di Marziale porta il titolo xenia
e consiste essenzialmente in un elenco di cibi più
o meno ricercati. L’autore, ironico come al solito,
consiglia di mandare i suoi versi, acquistabili
“per quattro soldi” (nummis quattuor), agli
ospiti pro munere, ovvero al posto degli xenia
veri. Questo gioco letterario è senz’altro utile per
capire meglio anche la funzione delle immagini,
che accolgono l’ospite delle case pompeiane con
xenia dipinti che rimandano alla raffinatezza,
non solo culinaria ma anche letteraria ed
artistica, del padrone di casa. Due descrizioni
di immagini di Filostrato, intitolate proprio
“xenia”, confermano che tale genere di pittura
godeva di una lunga fortuna: i cibi menzionati
richiamano abbastanza fedelmente alcuni dipinti
pompeiani ed ercolanesi. Nel libro I, 31 delle
Imagines, l’autore descrive un insieme di frutti
(fichi, castagne, pere, mele, ciliegie, uva e miele),
mentre nel libro II, 26 rievoca una composizione
con conigli (uno vivo, uno morto) e anatre,
pani speziati e frutta in un cesto; non manca un
calice di vino. Se la funzione di “dono ospitale”
traspare chiaramente dal termine xenia, sia nei
testi letterari, sia nelle immagini (si dispone, in
ambito vesuviano, di un dossier di più di trecento
rappresentazioni) è frequente il riferimento
alla sfera sacra. Mentre nei testi si invocano
divinità (si veda, a tal proposito, anche il corpus
dell’Antologia Palatina), un’immagine dalla casa
dei Cervi a Ercolano associa la natura morta con
xenia a una statua di Dioniso, rendendo così il
carattere votivo dell’offerta esplicito. Il rifarsi ad
antichi costumi greci e, al tempo stesso, l’evocare
una sacralità oramai del tutto artificiale, per non
dire fittizia, forniscono un duplice pretesto per
un tema che riemerge in maniera sistematica e
che caratterizza anche il quadro qui presentato:
la semplicità e la frugalità bucolica della maggior
parte dei cibi, che anche i testi presentano come
il frutto del lavoro nei campi (a volte anche della
caccia), e che è in palese contrasto sia con certi
altri elementi figurativi (nel nostro caso, il piatto
e il cantaro d’argento) sia con la qualità stessa di
alcune pitture.
fig. 6
PARCO
ARCHEOLOGICO
DI POMPEI
A differenza di quanto sostenuto da Marziale
in riferimento ai suoi epigrammi, alcuni dei
dipinti di più elevata qualità, tra i quali possiamo
contare anche quello dell’atrio della casa IX 10,1,
avevano certamente un costo di molto superiore
al valore reale di quanto rappresentato con tanta
perizia artistica. Come ha osservato Stefano
De Caro (De Caro 2001, p. 26) a proposito di
rappresentazioni di xenia nelle città vesuviane,
“gli antichi filoni che avevano contribuito alla
nascita del genere, quello dell’offerta votiva ai
santuari e quello dell’offerta laica di vivande
all’ospite sono stati ormai perfettamente fusi con
gli elementi della tradizione romana.” Se questo
è vero, non ha molto senso cercare di individuare
un significato univoco per ogni singola
rappresentazione, dato che si tratta appunto di
una tradizione lunga e complessa, nella quale
antichi significati di derivazione ellenistica si
stratificano e si sovrappongono con nozioni
della cultura romana del I sec. d.C. A maggior
ragione, in un caso come il nostro, dove manca
ancora una conoscenza del contesto nel suo
complesso, ci sembra consigliabile non spingerci
troppo in avanti nella lettura di una singola
immagine che era parte di un insieme molto più
ampio (si segnala, in via preliminare, un quadro
mitologico con la rappresentazione di Achille a
Sciro che sta emergendo sullo sfondo del tablino
della stessa casa in questi giorni). Ci sembra però
opportuno condividere già alcune osservazioni su
Aeneas primique duces et pulcher Iulus
corpora sub ramis deponunt arboris altae
instituuntque dapes et adorea liba per herbam
subiciunt epulis (sic Iuppiter ipse monebat)
et Cereale solum pomis agrestibus augent.
Consumptis hic forte aliis ut vertere morsus
exiguam in Cererem penuria adegit edendi
et violare manu malisque audacibus orbem
fatalis crusti patulis nec parcere quadris:
“Heus ! etiam mensas consumimus,” inquit Iulus,
nec plura adludens.
un elemento peculiare del dipinto in questione,
in quanto, come vedremo, esso potrebbe trovare
una spiegazione all’intero della stessa cornice
interpretativa elaborata dalla ricerca, più in
generale, per quel tipo di immagini: ci riferiamo
a quello che agli occhi di un osservatore moderno
potrebbe sembrare una pizza, ovvero l’oggetto,
o meglio, l’insieme di oggetti che occupa la
metà sinistra del piatto d’argento sul quale è
appoggiato anche il cantaro di vino. Ora, è del
tutto evidente che di “pizza” nel senso moderno
non ha senso parlare, poiché si rischierebbe di
forzare un concetto contemporaneo al punto da
renderlo arbitrario. Esistono però due passi nel
corpus virgiliano che sembrano evocare una specie
di pane o focaccia condita con verdure, frutti,
erbe e formaggio a mo’ di imbottitura. Quello
che più colpisce è che in questi passi si toccano le
stesse reminiscenze che secondo Stefano De Caro
(De Caro 2001) e Silvana Costa (Costa 2020)
caratterizzano il genere delle nature morte con
xenia più in generale: il tema dell’offerta, sia sacra
che ospitale, nonché l’ambito bucolico, quella
lode della semplicità e della frugalità dei prischi
tempi così tipica dell’arte e della poesia ellenisticoromana.
Il primo passo di interesse in questo contesto
si trova nel libro VII dell’Eneide, dove l’autore
descrive l’arrivo dei Troiani sulle coste del Lazio
(vv. 128-136):
Enea, i capi supremi e Iulo si distendono
sotto i rami d’un albero altissimo: preparano
i cibi, mettendo sull’erba larghe focacce di farro
come fossero tavole (consigliati da Giove),
e riempiono di frutta i deschi cereali.
Allora, consumati quei poveri cibi,
la fame li spinse ad addentare le sottili focacce
spezzandone l’orlo. “Ahimè – fece Iulo,
scherzando – noi mangiamo anche le nostre mense”.
PARCO
ARCHEOLOGICO
DI POMPEI
Si compie così la profezia, anticipata già nel libro
III, secondo la quale i Troiani guidati da Enea
avrebbero trovato una nuova patria quando
avrebbero mangiato le loro mense (vv. 315-320).
Che le focacce che servivano da supporto ai “frutti
della terra” erano immaginate, almeno in parte,
di forma rotonda, si evince dall’uso del termine
orbis, che indica appunto un oggetto discoidale.
C’è chi ha suggerito che l’espressione nec parcere
quadris nel verso successivo (v. 115) si riferisse
a focacce di forma quadrata. Seppure una tale
lettura non può essere esclusa categoricamente,
ci sembra più plausibile che in realtà si tratti
di un gioco di parole: da un lato, si allude alla
divisione in quattro di un pezzo pane (dunque,
al panis quadratus romano; a Pompei e Ercolano
si sono conservati pani con quattro spicchi: Parisi
Presicce, Rossini 2015, p. 253; cf. Meirano 2017,
p. 355), dall’altro lato quadra può significare
anche “mensa, tavola”.
Abbiamo qui sia il tema dell’offerta sacra, sia quello
dell’ospitalità, seppure in maniera indiretta, dal
momento che il mangiare il pasto frugale è segno
di aver finalmente trovato una terra ospitale per i
fuggitivi troiani.
Giudicando dalle non poche citazioni virgiliane
nei graffiti di Pompei, possiamo dedurre che il
passo era abbastanza noto e consentiva di mettere
il dipinto della casa IX 10, 1 in relazione all’opera
del grande poeta d’epoca augustea. Ciò che si
vede nel nostro dipinto si presenta, sotto questa
angolazione, come quella offerta che è al tempo
stesso il simbolo di aver trovato una casa, un
posto dove stabilirsi per bene, e la reminiscenza
di un tempo passato, in cui anche i grandi eroi
pranzavano su un prato e in maniera semplice,
come umili coltivatori della terra.
Dell’altro passo a cui ci riferiamo non è certa
l’attribuzione a Virgilio; se non fu lui stesso
l’autore, certamente si trattava però di un abile
imitatore. Una poesia in stile bucolico di 122 versi
dal titolo Moretum descrive un contadino che si
prepara una prima colazione frugale, che consiste
in un pane non lievitato cotto al momento e
appunto il moretum, una specie di pesto fatto
di aglio, erbe e formaggio. Ricette simili sono
tramandate da Columella (De re rustica XII, 59)
e Ovidio (Fasti IV, 365-370). In nessuno di questi
testi si dice in maniera esplicita che questa specie
di pesto venisse spalmato su un pezzo di pane o su
una focaccia, anche se lo possiamo immaginare.
In ogni caso, i puntini color giallo e ocra che
coprono il pane rappresentato nella casa IX 10,1,
potrebbero indicare quel tipo di condimento.
L’autore del Moretum, infatti, descrive così il
colore della pietanza dello stesso nome: “A poco
a poco ogni erba perse il suo verde, e di tanti
colori ne fece uno solo che non era tutto verde,
poiché la parte bianca del formaggio respingeva
questo colore, ma neanche restava bianco, in
quanto il latte a contatto con le erbe perdeva il
suo candore.” (vv. 100-105)
Al di là della pertinenza di questo specifico passo,
quello che emerge ancora una volta è il contrasto
tra la frugalità del pasto e il prezioso “contenitore”,
sia esso una poesia in stile virgiliano o un dipinto
parietale come nel caso della casa IX 10,1. La messa
in scena a cui sono sottoposti pani non lievitati,
focacce, erbe e poma agresta, alla fine, appare così
forse non tanto dissimile, con le dovute riserve,
al destino della pizza nel nostro presente, che ha
visto questo pasto “povero” conquistare le cucine
di chef stellati in tutto il mondo, per essere, infine,
nel 2017, riconosciuta quale “arte tradizionale
del pizzaiuolo napoletano” come parte del
patrimonio culturale dell’umanità.
PARCO
ARCHEOLOGICO
DI POMPEI
Bibliografia
Amoretti V., Comegna C., Iovino G., Russo A., Scarpati G., Sparice S., Zuchtriegel G. 2023, Ri-scavare
Pompei: nuovi dati interdisciplinari dagli ambienti indagati a fine ‘800 di Regio IX, 10, 1, 4, in E-Journal
degli Scavi di Pompei, 2, 2023.
Ciarallo A. 2006, Elementi vegetali nell’iconografia pompeiana, Roma.
Costa S. 2020, La natura morta e l’osservatore: per una rilettura di un “genere minore” nella pittura
pompeiana, in Giulierini P., Coralini A., Sampaolo V., Picta Fragmenta. La pittura vesuviana: una
rilettura, Milano.
De Caro S. 2001, La natura morta nelle pitture e nei mosaici delle città vesuviane, Napoli.
Guzzo P.G. 2006, Argenti a Pompei, Milano.
Meirano V. 2017, Offerte incruente in Magna Grecia: un approccio iconografico per lo studio di dolci e
pani in contesto rituale, in Scienze dell’Antichità, 23, 3, 2017, pp. 351-371.
Parisi Presicce, Rossini 2015, Nutrire l’Impero: storie di alimentazione da Roma a Pompei, Roma.
Riz A.E. 1990, Bronzegefasse in der Romisch-Pompejanischen Wandmaleret, Mainz.
Tassinari S. 1993, Il Vasellame Bronzeo di Pompei, Roma.
Zuchtriegel, G. 2012. Gabii I. Das Santuario Orientale im Zeitalter der Urbanisierung, Venosa.
PARCO
ARCHEOLOGICO
DI POMPEI
Raccolta immagini
fig.1
fig.2
fig.3
fig.4
fig.5
fig.6
Didascalie:
Fig. 1 – Settore sud-ovest della IX, 10, 1, ambiente 2.
Fig. 2 – Natura morta dall’atrio 2, angolo sud-ovest.
Fig. 3 – Natura morta dal cubicolo (d) della Casa dei Vettii.
Fig. 4 – Natura morta con statua di Dioniso, testa di capro e frutta da Ercolano, Casa dei Cervi (IV,21), MANN inv. 8615, (De Caro 2001).
Fig. 5 – Natura morta (pannello sinistro) con pollo ghirlanda e coppa in argento, da Pompei, Praedia di Giulia Felice (II,4,3), MANN inv. 8611.
Fig. 6 – Natura morta con frutta e vaso d’argento, Ercolano, Casa dei Cervi (IV,21), criptoportico, braccio est, (De Caro 2001).
PARCO
ARCHEOLOGICO
DI POMPEI
Stabiae. Scavi a Villa
San Marco (2023)
PARCO
ARCHEOLOGICO
DI POMPEI
Stabiae. Scavi a Villa San Marco (2023)
Maria Luisa Catoni ¹, Carlo Rescigno2
La Villa San Marco è parte del parco topograficoarcheologico che racchiude quanto avanza
dell’antica Stabiae. Sul pianoro di Varano, la villa
fu costruita lungo il ciglio a traguardo sul mare
e sul golfo nel settore coincidente con il nucleo
probabilmente più antico della città (Barbet,
Miniero 1999) (fig. 1).
Identificata nel corso dei primi scavi borbonici,
indagata a cielo aperto e per cunicoli, fu interrata,
nuovamente portata in luce da Libero D’Orsi che
ne completò lo scavo e realizzò un imponente
restauro ricostruendone muri e coperture. Il
terremoto degli anni ottanta del secolo scorso
la danneggiò causando, per esempio, il crollo di
quanto era stato ricostruito del portico superiore.
La villa si compone di tre quartieri maggiori,
il settore dell’atrio, con annesso un piccolo
complesso termale; l’area del portico inferiore,
organizzata intorno a un profondo giardino
con piscina su cui prospettano due dietae e un
monumentale salone; il portico superiore a sud,
a tre bracci rivolti verso il mare a racchiudere un
ampio giardino.
fig. 1
¹ Scuola IMT Alti Studi Lucca.
² Università degli Studi della Campania ‘Luigi Vanvitelli’, Scuola Superiore Meridionale.
PARCO
ARCHEOLOGICO
DI POMPEI
La villa è stata al centro di successive edizioni,
partendo dalla pubblicazione delle pitture che
furono riconosciute pregevoli e originali da Olga
Elia che vi dedicò, con le altre testimonianze
stabiane, più studi e una breve monografica (Elia
1938, 1951 e il volume di sintesi 1957). I lavori
e le emergenze del post terremoto produssero
un’opera integralmente dedicata al complesso,
curata da A. Barbet e P. Miniero (1999), volume
che raccoglie un insieme di punti di vista a partire
dalla documentazione più antica controllata
tramite limitati interventi di scavo in profondità.
Sulla villa si è successivamente tornati a discutere
con contributi di rilettura dell’evidenza, ma
anche con nuovi interventi di scavo, presso il
cosiddetto atrio servile e presso il complesso
termale che si apre oltre la via di Breccia e che
era, oggi sappiamo, in rapporto con il nostro
complesso (Ruffo 2009, 2010; Esposito 2012).
Sondaggi geognostici permisero inoltre all’équipe
della RAS di individuare il limite del portico
superiore, restituendo a esso la sua originaria
monumentalità (Bonifacio 2007).
scavi sistematici (Rescigno, Zuchtriegel 2023).
Oggi è in corso un progetto di ricerca condotto
congiuntamente dal Parco Archeologico di
Pompei, dalla Scuola Superiore Meridionale,
dall’Università della Campania e dalla Scuola
IMT Alti Studi Lucca.
In questo programma si è deciso di partire
dall’emergenza costituita dallo scavo preliminare
realizzato nel 2006 presso il limite SO del portico
superiore (fig. 2), separato dall’area visitabile dalla
via cupa moderna, ubicato in aperta campagna e
bisognevole di interventi di ripristino di coperture
e di restauri. Con un primo scavo, realizzato nel
2020, ci si è dedicati allo studio di un settore
nuovo, una sequenza di stanze costruite a ridosso
del braccio breve meridionale del portico, aperte
verso un giardino a sud, una articolazione nuova
del complesso che dobbiamo supporre, allo stato
attuale delle nostre conoscenze, che lo concludesse
(Rescigno, Silani 2023).
La villa compare con il suo repertorio di pitture
anche nel percorso del Museo Libero D’Orsi
ove si conservano i rinvenimenti più recenti dal
sito stabiano (Stabiae 2020): pitture, mosaici
e rinvenimenti dagli scavi borbonici da Villa
S. Marco sono presenti anche nel Museo
Archeologico Nazionale di Napoli e, in minor
quantità, presso istituzioni estere.
Il complesso è aperto al pubblico costituendo,
con Villa Arianna, quanto è a oggi visitabile del
settore superiore dell’antica città.
La villa è stata in anni recenti oggetto di un
ampio progetto universitario centrato su Stabiae.
L’Università di Bologna e l’Università della
Campania hanno rispettivamente realizzato
un piano della conoscenza, rinnovando la
documentazione esistente, e aperto i primi nuovi
fig. 2
PARCO
ARCHEOLOGICO
DI POMPEI
Con lo scavo avviato nell’aprile del 2023 e
tuttora in corso, si è tornati a indagare il portico
monumentale superiore scavandone un’ampia
porzione coincidente con l’angolo meridionale.
Lo scavo ha lo scopo di ricomporre l’unità
originaria di un portico lungo 108 m nel braccio
lungo a monte e almeno 34 m nei due bracci
laterali. La pianta si compone dunque di tre ampi
corridoi coperti, privi di articolazione interna,
con colonne tortili in mattoni e stucco a scaricare
il peso del tetto e a circondare il giardino. Una
canaletta e un viale recintato separavano il portico
dal giardino, raccogliendo l’acqua di displuvio dal
tetto.
Della grande dimora sono note più fasi
cronologiche che le ricerche passate e presenti
hanno permesso di riconoscere, discutere ma
non totalmente di comprendere e definire.
Nel trascorrere di questi interventi la villa, pur
conservandosi fedele a una basilare articolazione
degli spazi, conobbe profondi cambiamenti che
ne mutarono le forme alterandone le funzionalità
originarie e introducendo ampi quartieri di
rappresentanza e ospitalità che sembrano far
volgere verso forme di utilizzo non solo residenziali
il complesso: dalla villa, nelle sue ultime fasi, è
possibile raggiungere il quartiere termale oltre la
via di Breccia.
Per formalizzare la successione delle fasi in una
sequenza, anche se ancora molto provvisoria,
a una fase quasi incognita di epoca tardo
repubblicana, seguirebbe una ricostruzione di
epoca augustea che porterebbe alla definizione
dei volumi principali del complesso, cui sono
pertinenti avanzi di pitture in terzo stile. In epoca
claudia, questo nucleo fu rivisitato, aggiungendo
nuovi quartieri, tra cui forse il grande porticato
superiore, e ridecorandolo. Il terremoto del 62
d.C. danneggiò il complesso ma definire quali
siano le parti ricostruite, quali quelle restaurate,
quali i settori sopravvissuti appare ancora oggi un
obiettivo di ricerca da considerare oltre le ipotesi
di norma citate in letteratura come certezze.
Di notevole interesse il complesso di stanze a sud,
che aggiunge un quartiere alla villa: un settore già
definito nelle fasi precedenti, costruito a ridosso
del portico, centrato su di un giardino. Distrutto
dal terremoto, fu ricostruito in forme cursorie
in parte riutilizzando materiali dalle macerie,
decorandone le pareti con un moderato impiego
di colori floridi, restaurando i vecchi tessellati
danneggiati ridipingendo in bianco il piano e
riproponendo in nero gli schemi geometrici
precedentemente realizzati in pietra (una tecnica
che può osservarsi anche in altri settori della villa,
per esempio all’ingresso dell’atrio). Si tratta di una
sequenza di piccoli quartieri ospitali, costituiti
ognuno da due stanze: un vestibolo con porta
aperta sul giardino, contenente un armadio e,
verso est, una porta che dava accesso alla stanza
principale, ampia, priva di finestre, vero e proprio
luogo di soggiorno dalla poca luce controllabile
tramite la porta e una finestrella feritoia. I muri
divisori interni di questi ambienti sono in opera
craticia, le pitture, a pannelli, con ampi tappeti
contenenti figure svolazzanti e immagini maggiori
in quelli centrali definiti da esili architetture,
si arricchiscono, in uno dei due ambienti di
soggiorno finora identificati, di quadretti
con rappresentazioni bucoliche e mitiche. La
lunghezza complessiva di questo braccio del
portico, ricostruita a partire dalle dimensioni del
lato breve opposto, permetterebbe di restituire la
sequenza di almeno quattro quartierini ospitali.
A ridosso e alle spalle anche del lungo portico
orientale erano presenti altre stanze in batteria,
eliminate e ridotte a un unico grande corridoio
nella fase probabilmente post sismica. Intorno
al portico, dunque, si addensavano ambienti
seriali la cui funzione e le cui fasi di sviluppo
meriterebbero di essere meglio comprese e
definite.
PARCO
ARCHEOLOGICO
DI POMPEI
Il grande portico superiore, che nel settore ad oggi
noto presenta un pavimento in terra pressata, si
trasformava in alzato in una galleria di immagini:
alle pareti schemi a pannelli e ad architetture
fantastiche, inquadrabili nel repertorio del
IV stile, al soffitto pannelli figurati tra ricche
cornici a comporre cassettoni ampi anche due
intercolunni. Il nuovo scavo ha permesso di
portare in luce un ampio settore di pitture ancora
in situ e ampi stralci di sezioni crollate dalle pareti
o dal soffitto e contemporaneamente di indagare
nel dettaglio le dinamiche della distruzione del
complesso (fig. 3). Il grande portico reagì alle
cadute di materiali eruttivi ovviamente in forme
diverse e peculiari rispetto agli ambienti di una
domus e sul sito si è composta una sequenza
stratigrafica specifica in cui si nasconde il racconto
di dettaglio della sua distruzione come anche
del rapporto fra un evento catastrofico e forme
architettoniche.
Narra Plinio il Giovane: “Senonché il cortile da
cui si accedeva alla sua stanza, riempiendosi di
cenere mista a pomici, aveva ormai innalzato tanto
il suo livello che, se mio zio avesse ulteriormente
indugiato nella sua camera, non avrebbe più
avuto la possibilità di uscirne.
fig. 3
Svegliato, viene fuori e si ricongiunge al gruppo
di Pomponiano e di tutti gli altri, i quali erano
rimasti desti fino a quel momento. Insieme
esaminano se sia preferibile starsene al coperto
o andare alla ventura allo scoperto. Infatti, sotto
l’azione di frequenti ed enormi scosse, i caseggiati
traballavano e, come se fossero stati sbarbicati
dalle loro fondamenta, lasciavano l’impressione
di sbandare ora da una parte ora dell’altra e poi
di ritornare in sesto. D’altronde all’aperto cielo
c’era da temere la caduta di pomici, anche se
erano leggere e corrose; tuttavia il confronto tra
i due pericoli indusse a scegliere quest’ultimo.
In mio zio una ragione predominò sull’altra,
nei suoi compagni una paura s’impose sull’altra.
Si pongono in testa dei cuscini e li fissano con
dei capi di biancheria; questa era la loro difesa
contro tutto ciò che cadeva dall’alto” (Plinio il
Giovane, VI.16). Queste brevi considerazioni,
quasi in apparenza standard nelle cronache di una
eruzione di tipo esplosivo, trovano paralleli vividi
nelle sequenze di Villa S. Marco. Come nei piccoli
PARCO
ARCHEOLOGICO
DI POMPEI
ambienti, il tetto del grande portico dovette
resistere alla iniziale poggia di lapillo (bianco) che
si fermò in parte sui tetti e, seguendo la pendenza
degli stessi verso il giardino, lo riempì ed entrò nel
porticato attraverso il colonnato creando cumuli
non omogenei. Iniziarono ben presto ad aprirsi
prime falle nel manto di tegole, causando brevi
crolli e aperture da cui il lapillo ulteriormente
penetrò negli spazi coperti. In fase avanzata della
pioggia di lapilli (grigio), crollarono sezioni più
ampie del tetto sotto il peso dei materiali eruttivi.
Sopravvissero ora, come isole, spezzoni ampi di
tetti, sorretti probabilmente da travi scampate
ai crolli. E’ in questa fase che forse sopraggiunse
sull’area un gruppo di persone: uno scheletro e
resti isolati sono stati scoperti nel 2006 e nel corso
dei nostri scavi. Inesorabile giunse il flusso, con
una magnitudo difficile da ricostruire, ma che
dovette lentamente circondare quanto avanzava
a volte trascinando quanto non riusciva ad
opporre una resistenza omogenea: nel flusso sono
comparsi stralci significativi di tetto e soffitto.
Al comporsi dei depositi eruttivi si
accompagnarono scosse telluriche che
provocarono distacchi di intonaci e stucchi.
I nuovi scavi permettono oggi di ricostruire
con molti dettagli le forme del tetto (fig. 4) e del
colonnato: tegole piane e coppi, tegole angolari
(colliciae), i bauletti in cementizio per fissare i
coppi e il tetto ai muri, qualche bollo. Le antefisse
a palmetta sono note dai vecchi scavi e potranno
essere recuperate dallo scavo dei piani antistanti
al colonnato. Dei capitelli delle colonne, in stile
corinzio realizzati in stucco, possediamo oggi
elementi sufficienti per una precisa ricostruzione
a partire da un esemplare quasi integro.
L’architrave era dipinto e completato con figure
a rilievo in stucco.
fig. 4
PARCO
ARCHEOLOGICO
DI POMPEI
Lo schema pittorico alle pareti è emerso con un
dettaglio di forme, soluzioni e decorazioni che
dobbiamo ritenere osservato in forme simili solo
dai primi scavatori borbonici e da chi scavò con
Libero D’Orsi: oggi di questi sistemi, in situ,
si conserva una pallida eco e in Museo brevi
citazioni. In una grammatica e con un passo
che si accordava forse ai ritmi delle colonne
e al cassettonato del soffitto, contraendosi
negli incontri angolari, nel registro centrale si
alternavano pannelli architettonici e tappeti con
figure svolazzanti (fig. 5). Le architetture simulate
sono di forme diverse, lineari o con profondi
sfondi prospettici simulati e utilizzano perlopiù
variazioni di tinte di azzurro.
fig. 6
fig. 5
Ogni cornice si arricchisce di ricami e fregi,
chiaramente provenienti da album codificati
di modelli ma che, diversamente distribuiti,
contribuiscono a creare una impressione di
costante originalità (fig. 6). Tappeti e quinte
architettoniche sono popolati di figure, sedute su
poggi e cornici, in due casi sono chiaramente attori
ritratti presso le loro maschere o a specchiarsi in
esse (fig. 7). Il tema figurato ritorna, entro le
architetture fantastiche, in forma di statue come
in una quinta architettonica in forma di statue
come in una quinta architettonica, dominata da
un pinnacolo vegetale affiancato da due statue di
guerrieri dorate, a simulare il bronzo.
fig. 7
PARCO
ARCHEOLOGICO
DI POMPEI
Il repertorio si completa con quadretti, distribuiti
simmetricamente, entro sportelli o cornici a tema
paesaggistico, tra cui segnaliamo una visione di
portici con scena marina popolata di esili figure
umane monocrome, una scena di genere con
piccolo Pan e una capra (fig. 8) una di naumachia,
dai colori vividi e dalla bella caratterizzazione delle
navi, o ancora con nature morte, con cesti di
frutta o selvaggina (fig. 9). A complemento delle
architetture si inseriscono lunghe predelle che
comprendono fregi dorati come nell’esemplare
con corteo di tritoni.
Ancora da scavare lo zoccolo di base, mentre
perduta, e forse recuperabile da gruppi di
frammenti in crollo, è la cornice superiore che
sappiamo, dai vecchi scavi, essere a padiglione.
fig. 8
Già Olga Elia aveva proposto una ricostruzione
grafica delle pareti del portico. Oggi, a distanza di
anni, lo scavo restituisce una parte nuova di tale
complesso conservata nella sua interezza e base
possibile per più approfonditi studi ma anche per
un rinnovato approccio di ricerca, conservazione,
ricostruzione virtuale, fruizione.
fig. 9
PARCO
ARCHEOLOGICO
DI POMPEI
Bibliografia
Barbet A., Miniero P. (a cura di) 1999, La Villa di San Marco a Stabia, Pompei-Roma.
Bonifacio G. 2007, Ufficio Scavi di Stabia. C.mare di Stabia: indagini archeologiche nell’area del pianoro
di Varano, in Rivista di Studi Pompeiani 18, pp. 197-200.
Elia O. 1938, Iconografia aulica romana in pitture stabiane, in Bollettino d’Arte, XXIII, pp. 101-114.
Elia O. 1951, Scoperta di dipinti a Stabiae, in Bollettino d’Arte, XXXVI, pp. 40-46.
Elia O. 1957, Pitture di Stabia, Napoli.
Esposito D. 2012, Su un possibile Praedium imperiale a Stabiae, in Oebalus 6, pp. 143-163.
Osanna M., Muscolino F., Toniolo L. (a cura di) 2020, Stabiae: Museo archeologico Libero D’Orsi.
Guida, Milano 2020.
Rescigno C., Silani S. 2023, Novità dai portici di Narcisso, in Rescigno C., Zuchtriegel G. (a cura di),
Stabiae. Ricerche, progetti, prospettive, Napoli.
Rescigno C., Zuchtriegel G. (a cura di) 2023, Stabiae. Ricerche, progetti, prospettive, Napoli.
Ruffo F. 2009, Sulla topografia dell’antica Stabiae. Osservazioni sulla Villa San Marco e sul cosiddetto
impianto urbano alla luce delle recenti indagini archeologiche (2008-2009), in Oebalus 4, pp. 235-271.
Ruffo F. 2010, L’insula sud-occidentale del cosiddetto ‘impianto urbano’ di Stabiae. Nuovi dati dalla
recente campagna di scavo (2009), in Oebalus 5, pp. 177-239.
PARCO
ARCHEOLOGICO
DI POMPEI
Raccolta immagini
fig.1
fig.2
fig.3
fig.4
fig.5
fig.6
fig.7
fig.8
fig.9
Didascalie:
Fig. 1 – Stabiae, pianoro di Varano: ubicazione di Villa San Marco.
Fig. 2 – Stabiae, Portico Superiore di Villa San Marco. (elaborazione grafica di M. Silani)
Fig. 3 – Portico Superiore: perete S, decorazione pittorica, registro centrale.
Fig. 4 – Portico Superiore: lato S, crollo di una sezione del tetto tra flusso piroclastico e lapillo.
Fig. 5 – Portico Superiore: angolo SE, decorazione pittorica, registro centrale.
Fig. 6 – Portico Superiore: lato S, decorazione pittorica, registro centrale e avvio dello zoccolo di base.
Fig. 7 – Portico Superiore: parete S, registro centrale, figura di attore.
Fig. 8 – Portico Superiore: parete S, registro centrale, scena con Pan e una capra.
Fig. 9 – Portico Superiore: parete S, sezione in crollo, frammento con natura morta.
PARCO
ARCHEOLOGICO
DI POMPEI
Of Mice and Men
PARCO
ARCHEOLOGICO
DI POMPEI
Of Mice and Men
New discoveries in the servants’ quarters of the Roman villa of Civita Giuliana near Pompeii
Gabriel Zuchtriegel¹, Chiara A. Corbino1
The villa of Civita Giuliana, situated about
600 metres north of ancient Pompeii, was first
discovered and partially excavated in the years
1907/8. At that time, the villa was known as “villa
Imperiali” after the owner of the land plot. After
the excavation, the trenches were backfilled, as
was often the case then—things would only start
to change one year later with the discovery of the
villa of the Mysteries. Some finds (approximately
25% according to the law) were brought to the
Antiquarium of Pompeii, where they got destroyed
during the bombing of the site in 1943. The other
75% of the objects were kept by the landowner
who sold most of them, some abroad, without
leaving any records (Stefani 1994).
fig. 1
¹ Archaeological Park of Pompeii, Via Plinio 26, 80045, Pompei (NA)
PARCO
ARCHEOLOGICO
DI POMPEI
New excavations on the site have begun, more
than a hundred years after the first exploration
of the villa. In 2017, the Archaeological Park
of Pompeii started to cooperate with the local
Public Attorney’s Office who were investigating
illegal excavations in the area. As it turned out,
the owners of a house situated on the spot of the
ancient villa had dug an underground network
of tunnels to systematically loot the site and
deprive it of frescoes and precious finds destined
to be smuggled abroad and sold on the antiquities
market (Osanna, Toniolo 2022).
The archaeological excavation of the villa, begun
under the direction of then director M. Osanna, is
still going on and has led to a series of unexpected
discoveries (fig. 1). Among these were a stable
where it was possible to make a plaster cast of
a horse, the remains of a ceremonial carriage
(pilentum) decorated with silver and bronze
medallions and appliques, and two victims of the
eruption of Mt. Vesuvius, of whom casts were
made (Osanna, Toniolo 2022, pp. 97-233).
As if this had not been thrilling enough, several
rooms excavated since 2021 have provided a
unique insight into the living conditions of
enslaved people in antiquity. In two rooms it has
been possible to reconstruct much of the ancient
furniture and to recover numerous small finds
(room “a” and “c” in fig. 1). As a result, we get a
glimpse of virtually photographic quality into the
lives of a group of people who hardly appear in
the written sources, and if they do so it is almost
exclusively from an elite perspective.
Room “c” was excavated in autumn 2021 and
became known as the “slave room” of Civita
Giuliana (la stanza degli schiavi: see Osanna,
Toniolo 2022, p. 235-270; Zuchtriegel 2022, p.
166; 2023, pp. 144-148). Like the other rooms
of the servants’ quarters brought to light so far, it
measured about 16 square metres in size. Entering
from the portico that surrounds the courtyard,
where the carriage had been parked, a visitor
would have faced the backwall of the building,
from where a single window, rather small and in
fig. 2
PARCO
ARCHEOLOGICO
DI POMPEI
the upper part of the wall, illuminated the room.
The walls in opus reticulatum, dating to the late
first century BC, were not plastered, except for a
white patch beneath the window. At its centre, a
nail had been driven into the wall. The oil lamp
that hung from it was found broken on the floor
beneath. Thus, the function of this patch of
plaster must have been to reflect and amplify the
scanty light of the lamp.
As room “c” was filled to the height of about 1 m
from floor level with the pyroclastic layer that had
enveloped everything as a hot ash cloud and then
become solid, thereby conserving the imprints
of organic materials that have long decomposed,
much of the wooden furniture and the textiles
could be reconstructed as plaster casts (fig. 2).
The method to obtain plaster casts from decayed
organic objects that leave a void in the ash was
first applied systematically by Giuseppe Fiorelli
in 1863, although earlier attempts are attested,
the casts of furniture being among the earliest
examples (Osanna, Capurso, Masseroli 2021).
The room contained three beds of a very primitive
type, for which in ancient Latin the term grabatus
seems to have been common, from Greek
????????? (see De Carolis 2007, pp. 91-92).
Roughly dressed posts were assembled to form
the bedframe; the whole thing could have been
taken apart and reassembled in a few minutes.
There was no mattress. Instead, thin ropes were
fixed along the posts to form a loose netting,
almost like a hammock, on which the blankets
were put (fig. 3). On the autumn day of AD 79
that was to be the last one of ancient Pompeii, the
blankets were left in a disorderly manner on the
netting. The beds along the north and east wall
each measured about 1.70 m, the one along the
south wall 1.40 m, presumably because it was for
a child or a small person. Beneath the beds, there
were wooden containers, clay jugs and what looks
like a night pot. In addition, amphorae lying
fig. 3
under the beds were interpreted as makeshift
suitcases for the personal belongings of the people
living here.
Unfortunately, the tunnels of the looters dug
along the walls in search of wall paintings have
destroyed about half of the beds along the north
and south walls, while the one along the east
wall is only partially preserved because a section
of it was buried in pumice that had fallen in
through the window before the arrival of the
pyroclastic surges that create the conditions for
the conservation of the imprints in the ash.
Apart from being a bedroom, this meagre space
was also used as a storage room. Six large amphorae
stored in the northeast and the southeast corners
alongside smaller vessels were found during the
excavation. In addition, the steering mechanism
of a carriage was found leaning against the bed
along the southern wall, while the centre of the
room was occupied by a box containing what
looks like horse-gear and a harness. Sleeping,
working, storing: all these activities seem to have
taken place simultaneously in this room.
PARCO
ARCHEOLOGICO
DI POMPEI
The restoration and analysis of the amphorae and
other finds is still underway. Yet, there is already
evidence that the servants sharing this room were
not the only inhabitants. The micro-excavation of
the pottery vessels and archaeozoological analyses
indicate that also some small rodents were
present in room c (cf. Nappi 2001). Remains
of two wood/yellow-necked mice (Apodemus
sylvaticus/ flavicollis), one adult and one juvenile,
respectively, were found in the amphora stored
horizontally under the bed along the southern
wall of the room (fig. 4). Given that the amphora
was empty at the moment of the excavation (i.e.,
the ash did not fill it), it is likely that it contained
some organic material (textiles, grain or other
perishables) which blocked the ash from entering
the vessel. The two mice evidently remained
hidden among the contents of the amphora and
may have died during the eruption though we
cannot exclude that their remains were already
there at that time.
fig. 5
Another rodent, a subadult of a black rat (Rattus
rattus), was found in a coarse clay jug with trefoil
mouth that had been put under the south-eastern
corner of the bed along the north wall (fig. 2 jug
in bottom left corner; fig. 5). The jug contained a
semi-liquid substance the exact nature of which
remains to be identified. It can be inferred that
the rat had been attracted by the contents of the
jar and was trying to get out during the eruption,
until it was killed by the pyroclastic surge that
filled the room with hot ash, as suggested by the
imprint of the rat’s body showing its forepaws
leaning on the jug wall while its hind paws were
placed on the base. Though this species originated
in Asia (Masseti 1995), the remains from Civita
Giuliana suggest that the black rat was already
widespread in the Pompeii area in the first century
AD. Other remains of this species were collected
from Pompeian contexts dated to the second
century BC (Salari 2014). In the first century BC,
Varro (De Re Rustica, 1.8) mentions a type of
mousetrap for vineyards that was widely used on
the island of Pandateria (modern Ventotene).
fig. 4
PARCO
ARCHEOLOGICO
DI POMPEI
Although rodents figured prominently
in ancient literature (e.g., the comic epic
Batrachomyomachia, Aesop and Horace’s, satires
2.6, elaboration on the fable of the town and the
country mouse) as well as in popular jokes (see
Philogelos no. 173: a man trying to sell honey in
which a mouse has fallen), the scale of ancient
rodent infestation and its possible impact on
the spread of diseases is still debated (cf. Harper
2017, p. 201: the evidence according to which the
“Roman world was crawling with rats” is actually
not very compelling). The data from one room
in a villa in the Pompeian countryside will not
change this; however, the presence of no less than
three rodents suggests that the impact of mice
and rats on ancient hygiene, disease control and
storage conditions should not be underestimated.
Given the scarcity of space in room “c”, as
reflected in the way the beds were arranged, it
is surprising that the neighboring room “b”
presented itself almost entirely empty, although it
was subject to the same eruption conditions and
to the same post-depositional processes as room
“c”. Not so room “a”, which offers yet another
opportunity to study the casts of furniture and
objects of daily use in their original context (fig.
6). There are both similarities and differences
between rooms “a” and “c” in this regard—a fact
that invites us to further reflect on the social and
cultural environment in which enslaved people
lived in the Pompeian countryside.
fig. 6
PARCO
ARCHEOLOGICO
DI POMPEI
Like the other rooms, room “a” has an entrance
door offset to the south. Again, there are no
traces of plaster covering the opus reticulatum
walls, a fact that fits into the general picture; as
has long been observed, the servants’ quarters in
Pompeii are often recognisable by the absence of
wall decoration. To the left of the entrance there
is a bed of the grabatus type as described above, of
which only about 30% survives due to the damage
caused by the tunnels dug by looters before 2017.
The bed is 0.68 m high, the original length can
be reconstructed as approximately 1.80 m, the
width as 0.90 m (fig. 7).
The loose weave of the rope netting of the bed
is perfectly preserved by the plaster cast as is the
blanket left strewn untidily on the bed. As with
the other beds of this type, there does not appear
to have been a mattress on this bed. The remains
(carbonized wood) of a big L-shaped shelf were
discovered above the bed on the west wall. A large
wicker basket found towards the center of the
room in the cinerite must have once stood on the
shelf but was hurled off by the pyroclastic surge.
Contained inside it were two smaller baskets – all
are preserved as plaster casts. On the shelf that
surrounded the room were found cups, plates,
and various other pieces of crockery.
Along the north wall a bed of a different type has
come to light (fig. 8). It is known in Italian as letto
a spalliera and represents a more comfortable bed
as compared to the grabatus. An ancient term for
it was lectus cubicularis, because it was used to
rest in the cubiculum (bedroom), unlike the lectus
triclinaris on which banqueters reclined during
meals and feasts (De Carolis 2007, pp. 80-91; it
has to be kept in mind that all such classifications
remain schematic and do not necessarily reflect
the use of these terms across a large geographic
area or a long period of time). At least two of
the wooden side panels that are characteristic of
this type of bed could be identified thanks to the
stain left on the ash by the red painted outlines of
fig. 7
PARCO
ARCHEOLOGICO
DI POMPEI
rectangles that once decorated the panels. The bed
has been severely damaged by the looter tunnels.
However, the dimensions can be reconstructed as
follows: the mattress was roughly 0.30 m above
floor level, while the panels reached a height of at
least 0.95 m from floor level. The bed was about
1.80 m long and 1 m wide.
In the northeast corner of the room stands an
upright amphora of Dressel 25 type wedged
between the wall and the bed. Along the east
wall beneath the window, which is 2.20 m
above floor level, there are two small cupboards
next to one another. The northernmost one
measures 0.83 m height, 0.95 length, 0.56 m
depth. It contained some metal objects among
which there was a knife blade and a small
scythe that are currently being analysed and
conserved. The smaller cupboard is 1.10 m
high, 0.68 m long and 0.33 m deep (fig. 9).
Both cupboards, although damaged by the
looting tunnels, display evidence of having
been made of long, narrow planks of wood
as the plaster cast of them shows (cf. De Caro
2007, pp. 190-191, “armadietto”). In front of
them, sits a very simple bench with four legs,
about 0.36 m high, 1.60 m long and 0.24 m
wide.
In the southeast corner, there are two Dressel
2-4 amphorae one of which was found
stoppered with a pebble stone. A bunch of
wooden poles lean against the wall; next to
them, another amphora, which is upturned,
awaits complete excavation.
In front of the amphorae in the southeast
corner there are the various plaster casts of
wooden elements that are not immediately
recognisable and may have fallen from the shelf
above. In amongst these a rectangular iron
blade of a hoe can be identified.
fig. 9
What do these extraordinarily preserved rooms tell
us about slave quarters that the available written
and archaeological evidence about the material
life of Roman slaves (Joshel, Hackworth Peterson
2014) has not yet revealed? We will be able to fully
answer this question only after the completion of
the excavation. However, we can already draw
some preliminary conclusions from the data that
have emerged so far. On the one hand, the slave
quarters of the villa of Civita Giuliana do not
give the impression of a prison-like building that
prevented enslaved people from running away.
As far as we know, no iron grills blocked the—
admittedly small—windows. Neither the doors
of the single rooms nor the passage leading from
the stable toward the outside of the complex seem
to have been closed with locks—no traces of door
fig. 8
PARCO
ARCHEOLOGICO
DI POMPEI
locks have been found. At the same time, the
small lock of the box found in the center of room
“c” is perfectly recognisable, thus suggesting
that iron door locks, if there were any, should be
preserved as well. This, on the other hand, might
help explain the situation inside the villa complex.
As there seem to have been no unsurmountable
physical barriers to prevent the enslaved workers
living in the villa from escaping, there must have
been other mechanisms of control. Having the
slaves live and sleep in groups of two or three in
one room might have fit this purpose. As a matter
of fact, the slave community not only fostered
the creation of friendships and families (although
enslaved persons could not be formally married)
but also made it possible to establish forms of
mutual control. The lectus cubicularis in room “a”
might have belonged to a servant in a somewhat
elevated position, maybe some kind of overseer.
Such slaves often would be granted privileges in
order to make them reliable allies of the master,
e.g., by allowing them to live with a female slave in
a de-facto marriage (cf. Varro, De re rustica, 1.17;
which had become quite common in the early
Imperial period, also contributed to spur slaves,
especially elder ones, to side with the master
in the task of controlling the slave community
rather than with fugitive slaves or even take up
the risk of running away themselves—especially
with uncertain outlooks, given that survival
outside the sphere of the villa could turn out even
more dire, and harsh punishments for run-aways
(Knapp 2011, p. 142-147).
Besides reflecting possible family ties among the
slaves, the double and triple bedrooms might
have conformed to the necessity of establishing
a constant mutual control between the enslaved
workers, even during the night. Permitting
the foremen and other slaves to form families
is actually presented by Varro (De re rustica,
and of increasing the workforce (children born
from enslaved women were automatically slaves
themselves), but also explicitly as a way of making
them “more attached to the estate” (coniunctiores
fundo). Thus, to get the whole picture, we should
add an atmosphere of suspicion to the image of
simplicity and intimacy offered by the rooms in
the slave quarters of the villa. There certainly was
solidarity, maybe even friendship and love (bonds
which often lasted after a slave was set free), but
there must have also been fear and terror of being
accused before the master by a fellow slave. The
fifth-century author Salvian (De gubernatione
Dei, 4.3) encapsulates this when he talks about the
lives of enslaved people: “They fear the accusers
[among their fellow slaves], the informants,
the overseers. Indeed, slaves are slaves to these
almost as much as to their actual masters: any of
them can kill them, any can grind them down.”
(Pavent quippe actores, pavent silentiarios, pavent
procuratores: prope ut inter istos omnes nullorum
minus servi sint quam dominorum suorum: ab
omnibus caeduntur, ab omnibus conteruntur.)
The term used here for those who spy on their
fellow slaves is significant, although we cannot tell
if it was in use four centuries earlier when the villa
of Civita Giuliana was still inhabited: silentiarii;
literally, those who silence someone (silentiarius
was also a title given to a class of courtiers at the
Byzantine court).
When looking at the rodent-infested rooms at
Civita Giuliana, we are invited to appreciate
how in spite of everything, the people living here
struggled to maintain a minimum of dignity
and comfort. Yet, we should also not forget the
silence and isolation into which the bonds of
slavery pressed these people—maybe even more
so as these bonds were not physical (given the lack
of grilled windows, door locks and so forth) but
invisible and therefore potentially undermining
any authentic form of communication. Omnis
servitus amaritudine plena est, says Augustine
(Ennarationes in psalmos 99.7): “All slavery is
filled with bitterness.”
PARCO
ARCHEOLOGICO
DI POMPEI
Acknowledgements
We would like to express our gratitude towards the entire team working at Civita Giuliana, in particular
Valeria Amoretti, Ludovica Alesse, Vincenzo Calvanese, Federico Giletti, Raffaele Martinelli, Paola
Sabbatucci, and Arianna Spinosa. Further, we would like to thank State Attorney Nunzio Fragliasso
and his team for the collaboration in protecting and exploring this and other sites in the area around
Pompeii. Leonardo Salari provided precious support in writing the archaeozoological part. Sophie Hay
edited the English text, for which we are also very grateful. Finally, many thanks to Massimo Osanna,
who began excavating the villa of Civita Giuliana in 2017, for sharing his insight and experience.
Bibliography
De Carolis E. 2007, Il mobile a Pompei ed Ercolano. Letti, tavoli, sedie e armadi. Contributo alla
tipologia dei mobili della prima età imperiale, Roma.
Harper K. 2017, The Fate of Rome. Climate, disease and the end of an empire, Princeton.
Joshel S., Hackworth Peterson, L. 2014, The Material Life of Roman Slaves, Cambridge/New York.
Masseti M. 1995, Current knowledge about the early occurrence of black rat, Rattus rattus L., 1978
(Muridae, Rodentia) on the Italian mainland and islands, in Peretto R. (eds.), Atti del 1° Convegno
nazionale di archeozoologia (Rovigo, 5-7 marzo 1993), in Padusa, Quaderni, pp. 349-358.
Nappi A., 2001, I micromammiferi d’Italia. ed. Simone, Pozzuoli.
Osanna M., Capurso A., Masseroli S.M. (eds.) 2021, I calchi di Pompei da Giuseppe Fiorelli ad oggi,
Roma.
Osanna M., Toniolo, L. 2022, Il mondo nascosto di Pompei. Il carro della sposa, la stanza degli
schiavi e le ultime scoperte, Milano.
Salari L. 2014, Holocene micromammals (Soricomorpha and Rodentia) from some caves of Central
Italy, in Revue de Paléobiologie, 33 (1), pp. 79-96.
Stefani G. 1994, Pompei. Vecchi scavi sconosciuti. La villa rinvenuta dal marchese Giovanni Imperiali
in località Civita (1907-1908), Roma.
Zuchtriegel G. 2022, Pompei, una città densamente popolata? Nuove scoperte e analisi GIS, in
Rivista di Studi Pompeiani 33, pp. 161-169.
Zuchtriegel G. 2023. Vom Zauber des Untergangs. Was Pompeji über uns erzählt, Propyläen, Berlin.
PARCO
ARCHEOLOGICO
DI POMPEI
Collection of images
fig.1
fig.2
fig.3
fig.4
fig.5
fig.6
fig.7
fig.8
fig.9
Captions:
Fig. 1 – Plan of the villa of Civita Giuliana (drawing R. Martinelli).
Fig. 2 – Servants’ quarters of the villa of Civita Giuliana, room “c” (G. Zuchtriegel).
Fig. 3 – Bed no. 2 with imprints of the rope netting in the ash (F. Giletti).
Fig. 4 – Remains of two wood/yellow-necked mice (Apodemus sylvaticus/ flavicollis) from amphora no. 15 beneath the southern bed of room “c” (C.A. Corbino).
Fig. 5 – Remains of a black rat (Rattus rattus) from jug no. 17 under the northern bed (C.A. Corbino).
Fig. 6 – Servants’ quarters of the villa of Civita Giuliana, room “a” (G. Zuchtriegel).
Fig. 7 – Grabatus type bed on the west wall of room “a” (G. Zuchriegel).
Fig. 8 – Lectus cubicularis and amphora on the north wall of room “a” (G. Zuchtriegel).
Fig. 9 – Room “a”, east wall with cupboards and bench (G. Zuchtriegel).
PARCO
ARCHEOLOGICO
DI POMPEI
Il Larario della Casa
IX, 10, 1
PARCO
ARCHEOLOGICO
DI POMPEI
Il Larario della Casa IX, 10, 1
Chiara Comegna¹, Chiara Assunta Corbino², Gennaro Iovino², Alessandro Russo², Giuseppe Scarpati³, Ausilia Trapani²,
Gabriel Zuchtriegel³
La casa IX, 10, 14
La casa IX, 10, 1, scavata parzialmente nei primi
anni dell’Ottocento quando si misero in luce
gli ambienti prospicienti via di Nola, occupa
l’area nord-occidentale dell’insula (Amoretti et
al. 2023).
L’impianto architettonico ripropone la sequenza
canonica fauces-atrio-tablino impostati sulla
stessa direttrice prospettica (Fig. 1). L’area
alle spalle del tablino non è stata ancora
messa del tutto in luce (Fig.2). La presenza
costante di travertino di Sarno, associato
alla tecnica muraria denominata “a telaio”,
unitamente all’omogeneità del materiale
basamento (0.48 x 0.86 m), che con ogni evidenza
doveva sorreggere una statua con funzione di
fontana, al momento non individuata, ma
della cui esistenza ci forniscono prova gli incavi
presenti sulla base. Immediatamente sotto al
cartibulum, leggermente decentrata, è collocata
una vera di pozzo cilindrica in marmo con
scanalature verticali (alt. 0.40 m, largh. 0.42
m, diam. imboccatura 0.22 m). Ai piedi di
quest’ultima è un piccolo serbatoio di piombo
(lung. 0.30 m, diam. 0.20 m), ugualmente
cilindrico, che riceveva l’acqua da una fistula
proveniente da est, precisamente dalla
prospiciente lavanderia con ingresso al civico
IX, 10, 2 sempre su via di Nola (Fig. 4).
fig. 1
fig. 2
edilizio utilizzato in tutta la casa, induce
ad inquadrare l’impianto più antico tra
la fine del III e l’inizio del II secolo a.C.
Sul lato nord dell’impluvio è un cartibulum
marmoreo (alt. 0.70 m, spessore 0.12 m) con
trapezofori a zampe di grifo che reggono la
mensa (1.20 x 0.60 m), decorata da una cornice
modanata e da due piccole teste di leone in
corrispondenza degli spigoli settentrionali.
Davanti al cartibulum si è rinvenuto un piccolo
fig. 3
¹ Ales S.p.A.
² Libero professionista.
³ Parco Archeologico di Pompei, Via Plinio 26, 80045, Pompei (Na).
? Lo scavo archeologico è eseguito dalla Soc. Cooperativa Archeologia e dagli archeologi:
Alessandra Marchello, Camilla Panzieri, Giuseppe Pippo, Giovanni Ricci, Luca Salvatori.
PARCO
ARCHEOLOGICO
DI POMPEI
Il serbatoio, provvisto di valvola, ripartiva
l’acqua in tre direzioni: verso l’impluvio, verso
il basamento che doveva sorreggere la statua
con funzione di fontana e in direzione di una
vasca posizionata nell’ambiente 7 della casa,
adibito a panificio.
L’atrio risulta privo di decorazione pavimentale,
ad eccezione di labili tracce nell’angolo nord
est. Nel tratto sud della parete ovest si conserva
parte di un affresco con zona mediana a fondo
nero ornata da bordi di tappeto gialli, che
inquadrano una natura morta costituita da
un vassoio d’argento su cui poggia della frutta
secca, un calice di vino ed una focaccia piatta
guarnita con diversi frutti (Russo, Zuchtriegel
2023).
Sul lato settentrionale dell’atrio si apre, ad
est, un oecus (6) con pavimento in cementizio
a base fittile ornato da scaglie di calcare; le
pareti presentano pannelli alternati a fondo
giallo e rosso inquadrati da bordi di tappeto,
riconducibili al IV stile. Verso ovest è visibile
un cubicolo (3) con pavimento in cementizio
a base litica in calcare e pareti affrescate di cui
restano labili tracce; in particolare, si distingue
lo zoccolo della parete ovest, anche in questo
caso riconducibile al IV stile, con pannelli a
fondo nero inquadrati da fasce bianche.
Lungo il lato orientale dell’atrio troviamo
due cubicoli denominati 5 e 8. L’ambiente 5
presenta un pavimento in cementizio a base
fittile ornato da scaglie di calcare, mentre le
pareti mostrano una decorazione in IV stile
solo parzialmente conservata, in quanto le
pareti nord, est ed ovest mancano dei tratti
mediano e superiore. Lo zoccolo ha un basso
podio nero distinto, tramite una fascia bianca,
dallo zoccolo, ugualmente a fondo nero, con
pannelli rettangolari ornati da motivi vegetali
intervallati da bordi di tappeto. Tra i pannelli si
alternano stretti scomparti inquadrati da fasce
in verde tra fasce bianche ornate da figure. La
zona mediana, strutturata a pannelli intervallati
da scomparti con sfondi prospettici, presenta
ugualmente motivi a bordi di tappeto. Al
centro della parete meridionale è un quadro
raffigurante il mito di Poseidone e Amimone.
Anche l’ambiente 8 presenta un pavimento
in cementizio a base fittile ornato da scaglie di
calcare, e le pareti in IV stile. Lo zoccolo mostra
una decorazione a finti marmi con specchiature
su fondo giallo, inquadrate da fasce dove
predominano i rossi e i neri che sembrano
richiamare il marmo africano. Un bordo
rosso distingue lo zoccolo da un basso podio
ornato da fasce diagonali alternate in bianco
fig. 4
fig. 5
e nero, che, in modo schematico e stilizzato,
imitano un rivestimento marmoreo. La zona
mediana, a fondo bianco, è ripartita in una
griglia attraverso sottili tralci gialli; nei punti
di congiunzione dei tralci si alternano quadrati
in grigio e tondi in amaranto, i primi ornati da
animali, sia erbivori che carnivori, gradienti
o rampanti verso destra, i secondi decorati da
rosette, amorini o altre figure in volo (Fig. 5).
Al centro di ogni quadrato creato dalla griglia è
un tondo amaranto sovente circondato da una
corona di petali e inquadrato da un cerchio
vegetale, stilizzato, in giallo verso cui si rivolgono
quattro palmette. Sulla parete meridionale,
decentrato e sovradipinto, si conserva un
quadro che ripropone il mito di Apollo e Dafne.
A sud dell’ambiente 8 si trova l’unica ala (16)
di cui è fornito l’atrio, la quale non è provvista
di decorazione parietale né di pavimentazione,
ma si caratterizza per la presenza di una scala
addossata alla parete meridionale, costituita dai
PARCO
ARCHEOLOGICO
DI POMPEI
primi tre scalini in muratura e da una restante
struttura lignea di cui si leggono le tracce lungo
la parete sud del vano.
Al centro del lato sud dell’atrio si apre il tablino
(14), tutt’ora in corso di scavo. Lungo la parete
meridionale affiora una decorazione ad affresco
in IV stile con la zona mediana a fondo giallo
ornata da bordi di tappeto con al centro un
quadro raffigurante Achille a Sciro (Fig. 6),
secondo un’iconografia che ricorre a Pompei
anche nella Casa dei Postumii (VIII, 4, 4).
Ad ovest del tablino si apre il corridoio (10), in
corso di scavo, che dall’atrio conduceva al vano
13, anch’esso ancora da scavare, ed al larario
(12).
Lungo la parete ovest dell’atrio un piccolo
setto murario individua, in corrispondenza
dell’angolo nord ovest del vano, uno spazio
(2A) con pavimento in cementizio a base fittile
con scaglie di calcare e pareti in IV stile di cui si
conserva lo zoccolo a fondo rosso.
essere fissate le macine, che risultano mancanti.
Nonostante lo scavo sia ancora lungi da
potersi considerare concluso, si possono già
trarre alcune considerazioni sul fatto che
nella casa, al momento dell’eruzione, fossero
in corso importanti lavori di restauro e di
riassetto funzionale degli ambienti. Infatti, si
sono rinvenuti: in prossimità dell’impluvio,
il catillus di una delle macine; nell’area nord
ovest dell’atrio, un cumulo di calce misto a
sabbia e inerti ed un ammasso di tritume di
cocciopesto (Fig. 7); presso il corridoio, una
postazione destinata alla lavorazione del tufo;
nella zona sud est dell’atrio, 107 tegole e circa
300 blocchetti di tufo rifiniti, pronti per
l’utilizzo (Figg. 8 e 9); infine, tra il larario (12)
e parte del corridoio, ai piedi della parete sud, 5
anfore prive del collo, 4 delle quali riempite di
calce pronta per l’utilizzo (cfr. infra).
GI, GS, GZ
fig. 7
fig. 8
fig. 6
A sud dell’ambiente 2A è venuta in luce
un’ulteriore scala, i cui tre gradini in muratura
sono addossati alla parete ovest dell’atrio,
mentre della restante parte in legno si
conservano tracce ai piedi del sottoscala e lungo
la parete ovest dell’atrio. Alla base di detta scala
si apre una porta che mette in collegamento
l’atrio con l’area nord ovest dell’insula
pertinente ad un impianto costituito dal vano
4 destinato alla panificazione, dal forno 7a
e dall’ambiente 7 tutt’ora in corso di scavo, il
quale mostra una pavimentazione basolata e
alcune basi circolari dove in origine dovevano
fig. 9
PARCO
ARCHEOLOGICO
DI POMPEI
L’ambiente 12
L’ambiente 12 della casa IX, 10, 1, posto
a sud ovest dell’atrio, è accessibile da
uno stretto corridoio (10) che in origine
conduceva ad una porta tamponata, che
immetteva nel settore meridionale della
casa (Fig. 1). I consistenti lavori di restauro e
ridistribuzione degli ambienti della dimora e
dei percorsi interni per raggiungere i singoli
settori funzionali della stessa hanno interessato
anche questo piccolo spazio rettangolare,
forse a cielo aperto al momento dell’eruzione,
in cui si aprono sulle pareti nord ed ovest tre
finestre per illuminare gli ambienti attigui (13
e 9) (Fig. 10). A campeggiare sulla parete sud
è un grande larario ritrovato in ottimo stato
di conservazione e con i resti combusti delle
ultime offerte ancora al loro posto (cfr. infra).
Le testimonianze archeologiche, abbondanti
soprattutto in area vesuviana e in particolare
a Pompei, documentano l’evoluzione delle
strutture del culto almeno dal II secolo a.C., sia
in ambiente domestico che in contesti collettivi
(Boyce 1937).
vicinanze. Il nuovo apprestamento sacro
domestico si aggiunge ad una documentazione
già consistente emersa a Pompei e nella stessa
Regio IX, legata alla presenza di larari dipinti
in cucina ed in ambienti di servizio (Giacobello
2008, p. 64). La rappresentazione è strutturata
su due registri sovrapposti con un registro
superiore decorato a stucco ed uno inferiore
fig. 11
fig. 10
All’interno delle abitazioni pompeiane la
presenza di apprestamenti cultuali distribuiti
nei vari ambienti della casa è numerosissima,
anche se non tutti fanno riferimento ai culti
tributati ai Lares, collegati, secondo la più
antica tradizione, a Vesta e ai Penati e garanti
della continuità del nucleo familiare (Santoro
2013). Gli apprestamenti a loro dedicati sono
quasi esclusivamente localizzati all’interno della
cucina, sede del focolare, o nelle sue immediate
decorato ad affresco (Fig. 11). Il registro
inferiore è costituito da una specchiatura a
fondo bianco (1,55 x 2,20 m) in cui si inserisce
l’altare a pulvino in muratura (0,75 x 0,50 m)
decorato ad affresco con lumeggiature brune
a finto marmo. Sulla sinistra è affrescato un
serpente crestato e barbato che si dirige verso
l’altare (Fig. 12), sormontato da un’edicola
rettangolare dipinta e terminante in girali
vegetali, che inquadra il Genius patrisfamilias
con cornucopia e patera che compie libagioni
presso un altare circolare (Fig. 13). La parziale
consunzione della base pittorica a grassello di
calce su cui sono stese le scene di ultima fase
lascia intravedere, in posizione decentrata
rispetto alla precedente, una scena simile
appartenente ad una fase decorativa più antica.
PARCO
ARCHEOLOGICO
DI POMPEI
di una stesura di intonaco sovrapposto al
precedente nel registro superiore permette di
identificare per il larario almeno due distinte
fasi entrambe post sismiche. La prima, a cui
appartiene la redazione della prima scena di
sacrificio, con già forse la presenza del serpente
sulla sinistra, si data nel decennio precedente
all’eruzione, sulla base dell’intonaco che fa
da preparazione e che si distende sulle pareti
dell’intero ambiente senza soluzione di
continuità. Questa preparazione ad intonaco
grezzo accoglie numerose scritte elettorali
relative alla presentazione di un candidato alla
carica dell’edilità.
fig. 12
fig. 14
fig. 15
fig. 13
Il Genius, la cui sagoma è appena percepibile,
era inquadrato da un’edicola a timpano
triangolare con acroterio a palmetta (Fig. 14).
La pittura è chiusa, nella parte superiore del
lato sinistro, da una ghirlanda gialla rossa e
verde e tutta la scena è immersa nella natura
rappresentata da arbusti. Il registro superiore
è costituito da una specchiatura a fondo rosso
(1,30 x 2,10 m) contornata di bruno, in cui
sono rappresentati in rilievo di stucco due
serpenti crestati e barbati, tra arbusti (Fig. 15).
L’eccezionalità del ritrovamento, oltre che per i
dati scientifici derivanti dall’offerta e analizzati
nello specifico di seguito, risiede nel recupero in
buono stato di conservazione dei due serpenti
in stucco, noti in rarissimi confronti, tutti
perduti. Il confronto più diretto è con il larario
della Regio I, 16, 3, rinvenuto nel 1955 e di cui
resta in situ oggi la sola impronta del rettile
originariamente in stucco (Stefani, Borgongino
2010, p. 92, fig. 10). La presenza di due stesure
pittoriche differenti nel registro inferiore e
fig. 16
Il personaggio in questione è stato identificato
con Aulus Rustius Verus, noto a Pompei per aver
rivestito la carica di duoviro, a cui si accedeva
dopo l’edilità. Pertanto le scritte su quella
preparazione erano presenti nell’ambiente già
da qualche anno, ovvero dalle elezioni che
PARCO
ARCHEOLOGICO
DI POMPEI
vedevano il nostro candidato ancora correre
per la carica di Aediles. Alla seconda fase,
forse immediatamente precedente all’eruzione,
appartiene l’ultima stesura pittorica della
scena di sacrificio e la realizzazione degli strati
di preparazione e di decorazione del registro
superiore, con i serpenti in stucco. Nella
muratura, al di sopra del registro superiore, si
trovano quattro cavità per accogliere altrettanti
travetti in legno funzionali a una tettoia. Tale
struttura era verosimilmente a protezione del
larario dalle intemperie, almeno nella fase in
cui questo spazio – in corso di ridefinizione
strutturale – non avesse ricevuto una copertura,
mentre a protezione del deposito d’offerta
sull’altare era stato posizionato un mattone
bipedale ritagliato. L’intero ambiente era
interessato da attività di cantiere testimoniate
sia da aree di preparazione per l’impasto di
malte sul battuto pavimentale, sia da cumuli di
inerti edilizi sbozzati e da contenitori ceramici
colmi di calce fresca.
AR, GS, GZ
I materiali nell’ambiente 12
Tutti i materiali rinvenuti all’interno
dell’ambiente sono frutto di riutilizzo
funzionale ai lavori edilizi in corso (per le
anfore si veda: Toniolo 2017; Bernal-Casasola
et alii 2020, pp. 220-221; Gardelli, Butyagin
2018) (Fig. 16). Nell’angolo sudorientale
dell’ambiente è il corpo di un’anfora
appartenente alla forma olearia Dressel 20 di
produzione betica, attestata a Pompei in pochi
esemplari integri (Manacorda 1977, p. 131). Il
contenitore è stato privato della parte superiore
mediante un taglio, piuttosto irregolare,
all’altezza della spalla in corrispondenza
dell’attacco delle anse e reimpiegato come
bacino per contenere calce. Il materiale infatti
riempie ancora il vaso per la metà circa e ne
riveste interamente l’interno, quale residuo
dell’originario livello e delle lavorazioni
avvenute. Qui le pomici hanno riempito lo
spazio residuo, cementandosi alla superficie
della calce, probabilmente ancora fresca al
momento dell’eruzione. Il vaso risulta alloggiato
verticalmente nel battuto pavimentale e non
se ne vede il puntale. Poco distante, presso
la parete meridionale, è la parte inferiore di
un’altra anfora olearia, ascrivibile con buona
probabilità alla forma Ostia LIX di produzione
nordafricana e variamente documentata a
Pompei (Panella 1977). Il contenitore è stato
tagliato irregolarmente in senso orizzontale
poco sotto la metà del corpo e riutilizzato per
contenere/impastare della calce che, in questo
caso, riempie il fondo ed è solo parzialmente
adesa alla parete interna con vistosi schizzi.
Il materiale depositato appare grumoso e
le pomici non si sono cementate a contatto
con esso, probabilmente perché asciutto al
tempo dell’eruzione. È verosimile che questo
contenitore improvvisato, per via delle minori
dimensioni e forse anche dell’ergonomicità
fornita dalla presenza del puntale, venisse
spostato all’occorrenza per l’utilizzo minuto
della calce nei lavori di ristrutturazione in
corso nella proprietà. Il vaso giace appoggiato
al muro ed è fermato da un elemento litico
posto sul pavimento tra le due anfore. Si tratta
ancora di un oggetto reimpiegato, costituito
da un blocchetto irregolare di tufo grigio con
una concavità superiore dalla quale si dirama
verso il bordo un canaletto. Verso ovest sul
pavimento è la metà di un grosso peso in
calcare di forma ovoidale a profilo trapezoidale,
originariamente dotato di maniglia in ferro
della quale rimane un solo attacco; era forse
utilizzato anch’esso come fermo. Nell’angolo
sud-occidentale dell’ambiente di accesso al
larario (corridoio 10) sono stoccate tre anfore,
ascrivibili anch’esse alla forma olearia Ostia
LIX, tutte private della parte superiore per
essere riutilizzare come contenitori per calce.
Due risultano resecate sulla spalla appena sotto
l’attacco delle anse, mentre il corpo della terza
si arresta alla parte alta della parete. La calce
le riempie quasi del tutto e ne ha sporcato i
margini dei tagli, colando anche verso l’esterno;
ad essa internamente ai vasi si sono cementate
le pomici poiché probabilmente era ancora
fresca durante la caduta. Poco distante dalle
anfore, lungo il muro orientale del corridoio,
è un piccolo cumulo di macerie, tra le quali
emergono alcuni frammenti che potrebbero
forse appartenere ad uno o più esemplari dei
suddetti contenitori.
PARCO
ARCHEOLOGICO
DI POMPEI
Le offerte sul piano dell’altare
del larario dell’ambiente 12:
microscavo e studio scientifico
Asportata la tegola che copriva per 2/3 il
contenuto deposto sul piano di combustione
dell’altare in muratura del larario (Fig. 17), il
sedimento interno (US 233 – Fig. 18A) è stato
rimosso tramite microscavo per recuperare
il maggior numero di informazioni circa
il deposito. Tale intervento ha permesso il
riconoscimento di due livelli (Fig. 18B):
uno più superficiale di circa 1 cm di spessore
caratterizzato da reperti vegetali e faunistici
integri e semi-integri (US 233a) e uno più
profondo di circa 4 cm di spessore (US 233b)
costituito dalle stesse tipologie di reperti,
sebbene in prevalenza combusti, molto
frammentati e immersi in una matrice di cenere
organica.
I reperti più fragili e facilmente riconoscibili
del livello superficiale (US 233a) sono stati
prelevati puntualmente, mentre il restante
sedimento è stato campionato integralmente
(peso circa 500 gr.). In questo livello è stato
possibile riconoscere una distribuzione
differenziata dei reperti sul piano di deposito:
i resti archeobotanici erano concentrati
verso il centro, mentre quelli faunistici si
trovavano in prossimità dell’angolo nordovest (Fig. 18A). Il livello più profondo (US
233b) è stato campionato nella sua interezza
fig. 18
(peso circa 2,7 kg). Il sedimento di entrambi
i livelli individuati è stato poi setacciato in
acqua con una colonna di setacci a maglie da
2 mm a 0,2 mm. A seguito delle operazioni
di vagliatura allo stereomicroscopio, al fine di
individuare e separare tutti i materiali (vegetali,
faunistici), si è proceduto all’identificazione
tassonomica dei reperti biologici tramite l’uso
di stereomicroscopio, microscopio ottico,
lente d’ingrandimento e con l’ausilio di atlanti
(Neef, Cappers, Bekker 2012; Schweingruber
1990) e collezioni di confronto.
I reperti vegetali individuati nel livello US
233a risultano tutti carbonizzati e in alcuni
casi si notano tracce di cenere. Nello specifico
il contesto indagato ha evidenziato la presenza
dei seguenti taxa: fichi (Ficus carica L.) di cui
2 semi-integri e alcuni in frammenti, 1 dattero
in frammenti (Phoenix dactylifera L.), 32
endocarpi (noccioli) di olive integri e senza
alcuna traccia di polpa e diversi endocarpi
frammentati di olive (Olea europaea L.),
frammenti di brattee di pigna, gusci e semi
(pinoli), sia integri sia frammentati, di pino
(Pinus pinea L.) (Fig. 19 A-C; Fig. 21).
fig. 19
fig. 17
PARCO
ARCHEOLOGICO
DI POMPEI
fig. 20
I resti faunistici sono rappresentati da 12
frammenti attribuibili ad un unico guscio
d’uovo, i quali mostrano in un solo caso la
superficie leggermente più scura dovuta a
combustione o al contatto con materiali
combusti che ancora avevano un’alta
temperatura (Fig. 20 A). Anche i reperti vegetali
individuati nel livello US 233b risultano tutti
carbonizzati e constano di alcuni frammenti di
brattee di pigna, frammenti di gusci di pinoli
e 9 frammenti di legno carbonizzato di pino,
3 vinaccioli integri (Vitis vinifera L.) (Fig.
19D), molti frammenti di endocarpi di olive.
I reperti faunistici provenienti da questo livello
mostrano abbondanti resti combusti. Sono
stati recuperati: 2 vertebre caudali di pesce di
cui una combusta, 81 frammenti di guscio di
uovo in buona parte combusti (Fig. 20 B), 4
frammenti indeterminabili (dimensioni 0,5-1
cm) appartenenti a mammiferi, di cui solo uno
combusto, ed una vertebra di micromammifero
senza alcuna evidenza tafonomica.
L’analisi dei due livelli permette di riconoscere
due momenti: quello più recente, caratterizzato
da reperti combusti semi-integri frammisti
a piccole pomici infiltrate sotto la tegola,
potrebbe essere interpretato come un unico
ultimo evento rituale; mentre il livello più
profondo, caratterizzato da una prevalenza
di reperti combusti molto frammentati e
frammisti ad una matrice di cenere organica,
potrebbe essere frutto di uno o più eventi
rituali precedenti.
Considerando le evidenze riscontrate è verosimile
che questi due contesti corrispondano a
due o più eventi rituali. Inoltre, le ottime
condizioni di giacitura dei resti, in particolare
dell’uovo, rinvenuto ancora nella posizione
in cui fu deposto e con un basso grado di
frammentazione, suggerisce che il livello più
superficiale potrebbe essere riferibile all’ultima
offerta deposta in questo larario poco prima
dell’eruzione. D’altronde, che l’ambiente fosse
ampiamente frequentato fino a poco tempo
prima dell’evento eruttivo è testimoniato
anche dalla presenza delle anfore piene di calce
fresca (cfr. supra). È bene puntualizzare che,
rispetto a molti reperti organici portati in luce
a Pompei, il processo di carbonizzazione che
ha preservato i reperti di questo contesto non
stato è causato dagli effetti dell’eruzione ma dal
fuoco rituale. Questo dato è deducibile dalle
tracce di cenere presenti sui reperti vegetali che
vengono causate dal contatto con una fonte
di calore in ambiente ossidante. Inoltre, i resti
faunistici, solo in parte combusti, indicano
una selezione intenzionale che non coincide
con la combustione dovuta all’eruzione.
Un’altra osservazione riguarda le poche e vaghe
evidenze di combustione individuate sul piano
dell’altare e sul muro del larario: in tal senso
non è da escludere che il piccolo fuoco rituale
sia stato acceso ed alimentato altrove, come
ad esempio sul pavimento dell’ambiente del
larario dove sono state individuate chiare tracce
di fuoco. In seguito, le braci avrebbero potuto
essere collocate sul piano con altre offerte.
Il livello più profondo, infatti, verosimilmente
composto dai resti di precedenti offerte, mostra
un considerevole numero di elementi faunistici
combusti accanto a resti senza tracce di fuoco.
Queste evidenze sembrano confermare che le
pratiche rituali condotte prevedevano anche
la presenza di offerte non combuste poggiate
sopra a quelle combuste e alle braci a chiusura
del rito, come testimoniato dall’uovo intero e
non combusto del livello US 233a.
Inoltre, non si può escludere che il fuoco
acceso per la pratica rituale non sia stato in
grado di bruciare tutti i resti e che qualcuna
delle offerte, forse ancora rivestita di carne,
possa essere rimasta intatta come suggerito dai
piccolissimi frammenti di ossa di mammiferi
e dalla vertebra di pesce senza alcuna evidenza
di combustione. Per quanto riguarda il resto
di micromammifero è da considerarsi quasi
sicuramente intrusivo: animali opportunistici
PARCO
ARCHEOLOGICO
DI POMPEI
avrebbero potuto introdursi sull’altare del
larario poiché attirati dalle offerte ivi deposte.
La scelta delle specie impiegate per queste
offerte è coerente con quanto rinvenuto in
altri contesti rituali (Ciaraldi, Richardson
2000; Robinson 2002; D’Esposito et al. 2021)
e, soprattutto, con quanto raffigurato negli
affreschi che ritraggono larari (Giacobello
2008; D’Esposito et al. 2021), suggerendo
una certa standardizzazione (Ciaraldi 2007,
p. 117). Pigne, pinoli, frutta secca e uova sono
una costante in entrambi i casi e, in particolare
per quanto riguarda i culti domestici, è
stato anche possibile valutare nel record
archeobotanico che la presenza specifica di
datteri unitamente ad elementi del pino è
usuale a partire dalla seconda metà del II sec.
a.C. (Ciaraldi, Richardson 2000; Robinson
2002). Le singole specie vegetali identificate
in questo contesto (fichi, uva e datteri), come
ipotizzato per gli altri ritrovamenti degli stessi
taxa di area vesuviana, sembrano relative alla
produzione dell’anno in corso (Borgongino
2006) considerando che, sebbene le tecniche di
conservazione delle derrate avessero raggiungo
alti livelli e consentissero di avere disponibilità
di alcune specie per molto tempo, anche nelle
fonti si tende a puntualizzare che raramente
la conservazione riusciva a coprire l’intervallo
di un anno intero (Columella XII, 44 e ss.;
Borgongino 2006). Tra le indicazioni fornite
dagli autori antichi in merito alla miglior tecnica
di conservazione vi è quella che prevedeva
l’essiccazione (Columella XII, 15-16 ss; 39;
Catone XXIII-XVI, XCIX; Apicio I, 12). In
tal senso è verosimile che i fichi identificati
in questo contesto, così come ipotizzato per i
molti altri ritrovamenti di questo taxon in area
vesuviana (Borgongino 2006), potevano essere
già secchi al momento dell’offerta e non si può
escludere che lo fossero anche i datteri, specie
da ritenersi di importazione (Borgongino
2006) ma ampiamente nota nel record
archeobotanico vesuviano (Borgongino 2006).
Per quanto riguarda l’uva è bene puntualizzare
che pochi risultano i ritrovamenti di vite in
contesti vesuviani (Borgongino 2006) per cui
è difficile poter proporre un confronto diretto.
In questo caso la presenza dei soli vinaccioli
dal livello più profondo consente di ipotizzare
che l’uva offerta constasse esclusivamente degli
acini, presumibilmente in modesta quantità, e
forse anche in questo caso già essiccati (Apicio
I, 12; Columella XII, 16 e XII, 39.).
Un’ultima considerazione riguarda i noccioli
di oliva recuperati da entrambi i livelli (Fig.
4A, B). Questi reperti non sembrano essere
direttamente collegati all’offerta alimentare,
constatando anche la totale assenza di polpa
intorno ai noccioli, ma potrebbero essere stati
utilizzati come combustibile complementare
per l’accensione del fuoco rituale. In effetti, la
scarsa presenza di carboni e brattee di pigna
nel record archeobotanico indicherebbe la
necessità di un combustibile aggiuntivo.
Le tracce di combustione rinvenute sul
pavimento dell’ambiente del larario, composte
dallo stesso tipo di sedimento che si trova sul
piano dell’altare con cenere e frammenti di
noccioli di olive, potrebbe confermare questa
ipotesi. Del resto, l’utilizzo dei noccioli di olive
come combustibile, e più in generale l’uso dei
prodotti di scarto della lavorazione delle olive,
è ben noto per il periodo romano in particolare
per contesti di produzione o di cantiere
(Coubray et al. 2019; Monteix et al. 2011;
Rowan 2015; Amoretti et al. 2023) poiché
utile ad aumentare il potere calorifico del legno
(Rowan 2015).
In conclusione, il microscavo di questo contesto
e lo studio delle offerte hanno permesso non
solo di confermare le consuetudini relative
ai riti circa la scelta delle specie offerte ma ha
anche fornito l’opportunità di indagare le
attività rituali compiute da chi frequentava
l’ambiente, e probabilmente la casa, poco
prima dell’eruzione.
CC, CAC
fig. 21
PARCO
ARCHEOLOGICO
DI POMPEI
Bibliografia
Amoretti V., Comegna C., Iovino G., Russo A., Scarpati G., Sparice D., Zuchtriegel G. 2023, Ri-scavare
Pompei: nuovi dati interdisciplinari dagli ambienti indagati a fine ‘800 di Regio IX. 10. 1-4, in E-Journal, 2,
Parco Archeologico di Pompei.
Apicio, De Re Coquinaria, Bompiani ed. 2017.
Bernal-Casasola D., et alii 2020, Ánforas, dolios, y cerámica de la Bottega del garum (I 12, 8) de Pompeya:
reflexiones funcionales y socio-económicas, in M. Osanna, L. Toniolo (edd.), Fecisti Cretaria. Dal frammento al
contesto: studi sul vasellame ceramico del territorio vesuviano, in Studi e Ricerche del Parco Archeologico di Pompei,
40, Roma.
Borgongino M. 2006, Archeobotanica. Reperti vegetali da Pompei e dal territorio vesuviano, Studi della
Soprintendenza archeologica di Pompei 16, Roma, p.14; p.24; pp.14-16; pp.24-26; pp.73-75; pp.39-41.
Boyce G. K. 1937, Corpus of the lararia of Pompeii, Roma.
Catone, De Re Rustica, Fabbri ed. 2016.
Chabal L., Fabre L., Terral J.-F., Théry-Parisot I. 1999, L’anthracologie, in Ferdière A. (ed.) La botanique. Paris:
Errance, Collection ‘Archéologiques’, pp. 43–104.
Ciaraldi M. 2007, People and Plants in Ancient Pompeii: A New Approach to Urbanism from the Microscope
Room: the Use of Plant Resources at Pompeii and in the Pompeian Area from the 6th Century BC to AD 79,
Londra.
Ciaraldi M., Richardson J. 2000, Food, Ritual and Rubbish in the Making on Pompeii, in Theoretical Roman
Archaeology Journal,74, 10, pp.74-82.
Columella, De Re Rustica, Einaudi ed. 1997.
Coubray S., Monteix N., Zech-Matterne V. 2019, Of olives and wood: baking bread in Pompeii in R. Veal,
V. Leitch (eds.) Fuel and Fire in the Ancient Roman World: towards an integrated economic understanding,
McDonald Institute for Archaeological Research.
D’Esposito L., Comegna C., Corbino C. A., Russo A., Toscano L. 2021, Il santuario di Iside a Pompei: nuovi
dati archeologici sui rituali per la dea egiziana, in M. Osanna (ed.) Ricerche e Scoperte a Pompei. In ricordo di
Enzo Lippolis, in Studi e Ricerche del Parco Archeologico di Pompei, 45, Roma.
Gardelli P., Butyagin A. 2018, Villa Arianna, Stabiae: interventi di pulitura, scavo e restauro nell’ambiente 71 e
nell’area esterna 73 condotti dal Museo Ermitage di San Pietroburgo, in Rivista di Studi Pompeiani, XXIX, pp.
215-219.
Giacobello F. 2008, Larari pompeiani. Iconografia e culto dei Lari in ambito domestico, Milano.
Manacorda D. 1977, Anfore spagnole a Pompei, in A. Carandini (ed.), L’instrumentum domesticum di Ercolano
e Pompei nella prima età imperiale, Roma, pp. 121-133.
Monteix N., Aho S., Coutelas A., Garnier L., Matterne Zeck V., Zanella S. 2011, Pompéi, «Pistrina»: recherches
sur les boulangeries de l’Italie romaine, in Mélanges de l’école française de Rome, 123 (1), pp. 306–13.
PARCO
ARCHEOLOGICO
DI POMPEI
Bibliografia
Neef R., Cappers RTJ, Bekker RM., Digital Atlas of Economic Plants in Archaeology, Groningen, 2012.
Panella C. 1977, Anfore tripolitane a Pompei, in A. Carandini (ed.), L’instrumentum domesticum di Ercolano e
Pompei nella prima età imperiale, Roma, pp. 135-149.
Plinio Il Vecchio, Naturalis Historia, Libri XIII-XIX, Rizzoli ed. 2011.
Robinson M. 2002, Domestic burnt offerings and sacrifices at Roman and pre-Roman Pompeii, Italy, in
Vegetation History and Archaeobotany, 11, pp. 93-100.
Rowan E. 2015, Olive oil pressing waste as a fuel source in Antiquity, in American Journal of Archaeology, 119(4),
pp. 465–82.
Russo A., Zuchtriegel G. 2023, Una natura morta con xenia dallo scavo della casa IX 10,1 a Pompei: a proposito
delle origini della pizza, in E-Journal, 3, Parco Archeologico di Pompei.
Santoro S. 2013, Sacra Privata nell’Italia romana: lo stato degli studi archeologici in Italia, in Dialogues d’histoire
ancienne, 39, 2, pp. 49-66.
Schweingruber Fritz H. 1990, Microscopic wood anatomy, Bern.
Stefani G., Borgongino M. 2010, Note in margine ad un rinvenimento della Regio I di Pompei. La domus I 16,
3 e la sua documentazione di scavo, in Rivista di Studi Pompeiani, XXI, pp. 87-99.
Toniolo L. 2017, IV, 4 Il Vasellame Ceramico, in Zaccaria Ruggiu A., Maratini C., Rileggere Pompei IV, L’insula
7 della Regio VI, in Collana di studi del Parco Archeologico di Pompei, 35, pp. 388-389, Roma.
PARCO
ARCHEOLOGICO
DI POMPEI
Raccolta immagini
fig.1
fig.2
fig.3
fig.4
fig.5
fig.6
fig.7
fig.8
fig.9
fig.10
fig.11
PARCO
ARCHEOLOGICO
DI POMPEI
Raccolta immagini
fig.12
fig.13
fig.14
fig.15
fig.16
fig.17
fig.18
fig.19
fig.20
fig.21
PARCO
ARCHEOLOGICO
DI POMPEI
Raccolta immagini
Didascalie:
Fig. 1: Pianta dell’insula 10 della Regio IX in corso di scavo.
Fig. 2: Prospettiva della casa al civico 1 dall’ingresso.
Fig. 3: L’impluvium nell’atrio (2).
Fig. 4: Serbatoio di piombo per la distribuzione del sistema idrico.
Fig. 5: Particolare della parete affrescata nell’ambiente (8).
Fig. 6: Quadro con Achille a Sciro dall’ambiente (14).
Fig. 7: Cumuli di inerti nell’atrio (2).
Fig. 8: Blocchetti in tufo e tegole accatastati a sud dell’atrio (2).
Fig. 9: Tegole accatastate ad est dell’atrio (2).
Fig. 10: Fotopiano della parete sud del larario (12); (A. Marchello, G. Pippo).
Fig. 11: Il larario (12)
Fig. 12: Serpente nel registro inferiore.
Fig. 13: Particolare del Genius patrisfamilias con cornucopia e patera che compie libagioni presso un altare circolare.
Fig. 14: Edicola rettangolare con scena di offerta e sullo sfondo la precedente edicola in trasparenza.
Fig. 15: Serpenti in stucco dal registro superiore.
Fig. 16: Anfore con calce depositate nel larario (12) a destra, e nel corridoio (10) a sinistra.
Fig. 17: Il deposito combusto sull’altare del larario (12).
Fig. 18: US 233 in fase di microscavo. Dettaglio del primo livello del deposito (A); Sezione del deposito (B).
Fig. 19: Selezione della componente vegetale dal livello superficiale (A) e da quello più profondo (B). Livello superficiale: Dattero (A), Fichi (B), Pinoli e brattee
di pigna (C). Livello profondo: Vinaccioli (D).
Fig. 20: Frammenti di guscio d’uovo dal livello superficiale (A) e da quello più profondo (B). Si nota un maggiore grado di frammentazione e diffuse tracce di
combustione per i resti provenienti dal livello più profondo.
Fig. 21: Endocarpi di olive carbonizzate dal livello superficiale (A) e da quello più profondo (B).
PARCO
ARCHEOLOGICO
DI POMPEI
Passione elettorale nelle mura
domestiche: un larario, una
macina, un candidato.
Nuove scoperte nella casa IX
10, 1, e il dialogo possibile tra
teoria e prassi della campagna
elettorale
PARCO
ARCHEOLOGICO
DI POMPEI
Passione elettorale nelle mura domestiche:
un larario, una macina, un candidato.
Nuove scoperte nella casa IX 10, 1, e il
dialogo possibile tra teoria e prassi della
campagna elettorale
Maria Chiara Scappaticcio¹, Gabriel Zuchtriegel²
Quella elettorale era una passione vissuta
con intensità a Pompei: riempiva le strade,
riscaldava gli animi. I programmata elettorali
di Pompei sono un serbatoio prezioso per
ricostruire la storia della città, per inseguire
i personaggi che ne plasmarono le vicende
politiche e schizzare una prima prosopografia
degli antichi pompeiani, per dare un nome
ai loro sostenitori, ricostruirne le relazioni
sociali e comprendere le ragioni del loro
supporto all’uno o all’altro candidato: oggetto
di indagini soprattutto di natura storiografica
(e.g. Franklin 1980, Mouritsen 1988, Chiavia
2002, Bravo Bosh 2010), i programmata
elettorali di Pompei contribuiscono a delineare
la vivacità del municipio. La pressoché
totalità dei testi a supporto dei candidati –– si
chiamino programmata, si chiamino manifesti
elettorali –– è visibile lungo le strade, cosa che
naturalmente si spiega con la natura stessa di
questo tipo di testo, destinato ad essere sotto lo
sguardo e a impattare su un elettorato quanto
più ampio possibile. Finalizzati come erano a
persuadere, i manifesti elettorali riempiono le
mura delle abitazioni dei candidati e di influenti
cittadini che decidevano di supportarli, ma
anche le mura di ‘taverne, botteghe, officine,
circoli associativi, terme, teatri e locali di tutti,
in piena sintonia con la dinamicità dei dintorni
del Foro, delle piazzette, dei crocicchi e delle
porte urbiche’ (Chiavia 2002: 92).
C’è, però, tutta una parte della campagna
elettorale che doveva articolarsi nelle mura
domestiche, penetrandone le parti più intime.
Nonostante i testi elettorali pompeiani
siano oggetto di numerose ricerche, manca,
ad oggi, uno studio sistematico sugli spazi
della campagna elettorale, e, quando (ma
raramente) documentata nelle domus, la
presenza di propaganda elettorale all’interno
delle abitazioni è stata guardata con sorpresa
(Monteix 2014, p. 269 ‘la brigue à l’intérieur
de son propre domicile par le biais de
placards est étonnante’). Sfogliare, però, il
Commentariolum petitionis –– il ‘Manualetto
di campagna elettorale’ che Quinto avrebbe
scritto in occasione di quella del fratello, M.
Tullio Cicerone, in vista del consolato del 63
a.C. –– dà una risposta chiara. La casa, infatti,
è uno degli spazi della campagna elettorale. Può
trattarsi della casa del candidato o di quella di
uno dei suoi amici, dei suoi ‘sostenitori’, ed
è essenzialmente il luogo in cui si affollano
i salutatores ed in cui si tengono banchetti
elettorali. Le prescrizioni (o suggerimenti)
che l’autore del Commentariolum petitionis
elargisce al candidato sono numerose, e, benché
indirizzate formalmente ad un candidato
console –– Cicerone stesso ––, hanno, in
realtà, una dimensione programmaticamente
amplificata e amplificabile ad ogni campagna
elettorale. (Sul Commentariolum petitionis
ci si limita qui a rinviare a e.g. Prost 2017
e Tatum 2018, con bibliografia.) Secondo
¹ Università degli Studi di Napoli Federico II
² Parco Archeologico di Pompei, Via Plinio 26, 80045, Pompei (Na)
PARCO
ARCHEOLOGICO
DI POMPEI
l’autore del Commentariolum è importante
che il candidato sfoggi un accompagnamento
ampio e differenziato: oltre che di amicizie
(che significa dire ‘sostegno’) numerose e varie,
il candidato deve circondarsi essenzialmente
di tre categorie di sostenitori, i salutatores, i
deductores e gli adsectatores, e cioè coloro che
si recano a salutarlo (a casa sua), coloro che lo
accompagnano al foro e coloro che lo scortano
ovunque egli vada ([Q. Cic.] comm. pet. 34;
si confrontino anche Cic. Mur. 44–5, 70–1,
Planc. 21, 66). Tra questi, i salutatores sono gli
accompagnatori ‘più umili’, e lo spazio del loro
sostegno è la casa del candidato:
[Q. Cic.] comm. pet. 35 in salutatoribus, qui
magis vulgares sunt et hac consuetudine quae
nunc est ‹ad› pluris veniunt, hoc efficiendum
est ut hoc ipsum minimum officium eorum
tibi gratissimum esse videatur; qui domum
tuam venient, iis significato te animadvertere
(eorum amicis qui illis renuntient ostendito,
saepe ipsis dicito); sic homines saepe, cum
obeunt pluris competitores et vident unum
esse aliquem qui haec officia maxime
animadvertat, ei se dedunt, deserunt ceteros,
minutatim ex communibus proprii, ex fucosis
firmi suffragatores evadunt.
‘Per quanto riguarda i primi (scil. i
salutatores), che sono i più ordinari e
secondo le usanze attuali vanno a ossequiare
più d’un candidato, devi fare in modo che
questo loro atto di deferenza, per quanto
piccolo esso sia, sembri a te molto gradito.
A quelli che verranno a casa tua, fa’ capire
che te ne accorgi (ricordalo ai loro amici
perché lo riferiscano, dillo spesso a loro
stessi): in tal modo di frequente costoro,
nel far visita a più d’un candidato e nel
constatare che ce n’è uno che apprezza in
modo particolare le loro dimostrazioni di
omaggio, a lui si affidano abbandonando gli
altri e, mutandosi a poco a poco da clienti di
tutti in clienti di un’unica persona, passano
da votanti incerti a votanti sicuri.’ (trad.
Fedeli 1987, pp. 99–101)
supporto recandosi a casa dei candidati (in
relazione al passo del Commentariolum si veda
Tatum 2018, pp. 251–3). Il loro sostegno
era conclamato e doveva essere ben visibile.
D’altro canto, le salutazioni mattutine e una
casa piena di salutatores erano espressione di
potere per l’elite romana (si veda e.g. Cic. Mur.
70). I salutatores generalmente affollavano
il vestibolo o l’atrio della casa, dove, talora,
venivano anche aggiunte delle panche (Gell.
non fosse data loro la possibilità di salutare
il padrone di casa, di solito accomodato nel
tablinum e affiancato da un nomenclator che
lo aiutava a identificare i suoi ospiti (Plin. Nat.
centralità della salutatio, la struttura stessa
delle dimore dei nobili poteva essere pianificata
di conseguenza; sul ruolo centrale della domus
resta di riferimento Wallace-Hadrill 1994.)
L’autore del Commentariolum petitionis
ritorna spesso su questo tipo di frequentazione
domestica (e.g. [Q. Cic.] comm. pet. 16 qui
domum ventitet, 17 quisquie est intimus et
maxime domesticus, 47 domus compleri, 49
de nocte domus compleatur, 50 domus ut
multa notte compleatur). A sostegno della sua
benignitas (‘generosità’), infatti, il candidato
ideale doveva dare l’impressione di spalancare
ugualmente le porte della sua casa come quelle
del suo animo:
[Q. Cic.] comm. pet. 44 curaque ut aditus
ad te diurni nocturnique que pateant,
neque solum foribus aedium tuarum sed
etiam vultu ac fronte, quae est animi
ianua; quae si significat voluntatem
abditam esse ac retrusam, parvi refert
patere ostium.
‘Procura anche che si possa accedere a te
giorno e notte e che siano aperte non solo le
porte della tua casa, ma anche quelle del tuo
animo, cioè il volto e l’atteggiamento.’ (trad.
Fedeli 1987, p. 107)
Altra espressione della necessaria benignitas del
candidato, insieme all’uso del patrimonio ––
I salutatores, dunque, manifestavano il loro
PARCO
ARCHEOLOGICO
DI POMPEI
forse che oggi le chiameremmo ‘mazzette’? Si
veda Petron. 45.10, dove si parla esplicitamente
di elargizioni di denaro ai votanti –– e, in
generale nella sua attività di cui tutti devono
essere partecipi, è l’organizzazione dei banchetti:
[Q. Cic.] comm. pet. 44 (scil. benignitas)
est in conviviis, quae fac ut et abs te et ab
amicis tuis concelebrentur et passim et
tributim
‘(La generosità) si manifesta nei
banchetti, che devi preoccuparti di dare
personalmente e di far dare ai tuoi amici,
sia per invitati presi qua e là sia tribù
per tribù.’ (trad. Fedeli 1987: 107; si
confronti il commento di Tatum 2018,
p. 269)
I banchetti riconducono ancora alla
dimensione domestica, e se ne ha traccia
anche all’interno del discorso di alcuni
commensali della Cena Trimalchionis
(Petron. 45.10–11). (Per un’analisi di alcune
forme della campagna elettorale che punti
al dialogo tra il Commentariolum petitionis,
Petron. 44–5 ed i programmata elettorali
pompeiani si veda Scappaticcio 2023.) Stando
al Commentariolum, i banchetti elettorali si
tenevano o nella domus del candidato o in
quella dei suoi amici, i suoi supporters.
Dal Commentariolum petitionis, dunque, il
candidato ideale apprende quanto intensa
e capillare debba essere la sua attività di
petitio, e sfogliando questo ‘Manualetto di
campagna elettorale’ il lettore, oltre che un
foro brulicante, si trova dinanzi l’immagine
di case affollate, con il vestibolo, l’atrio o il
tablinum della domus del candidato invasi dai
salutatores mattutini, oppure con il triclinium
della dimora del candidato o di quella di un suo
sostenitore animata da un banchetto elettorale.
Con queste prescrizioni ben documentate
in mente, trovare dei programmata elettorali
all’interno di una domus non desta sorpresa: si
tratta di una forma del riflesso della teoria sulla
prassi, con una felice congiuntura del dato
teorico con quello empirico che deve essere alla
base di una rinnovata metodologia di ricerca
che stimoli ulteriormente un dialogo di natura
filologica tra fonti letterarie e fonti materiali.
Con queste prescrizioni ben documentate in
mente e, allineata la teoria del Commentariolum
e la prassi dei programmata, avuta un’altra
dimostrazione della pervasività della campagna
elettorale, con luoghi specificamente adibiti
ad accogliere sostenitori subissati dalla
propaganda, circondati da mura domestiche
che veicolavano il messaggio elettorale e lo
mettevano sotto i loro sguardi, gli interrogativi
che nascono dinanzi ai singolari programmata
elettorali inediti della casa IX, 10, 1, in parte,
trovano risposta, in parte si intensificano,
aprendo nuovi spiragli di ricerca attraverso
un’analisi comparativa.
I. La campagna elettorale
di A. Rustio Vero, candidato
edile
L’ambiente 12 della casa IX, 10, 1 è
apparentemente tappezzato di propaganda
elettorale ma l’elemento che ne caratterizza lo
spazio funzionale è un larario particolarmente
elaborato e ritrovato in ottimo stato di
conservazione, con ancora i resti dell’ultima
offerta deposti sul piano dell’altare in muratura
( E-Journal 2023, 6).
Messaggi elettorali si incontrano su tre delle
pareti della stanza, in forma più o meno
frammentaria. Insieme a messaggi giunti
incompleti, la scrittura piuttosto rozza,
decisamente meno calligrafica dei programmata
elettorali che si incontrano lungo le strade di
Pompei, potrebbe indurre a credere che sia
propria di un’esercitazione (di uno scriptor?)
e che ci si trovi, pertanto, davanti a prove di
pennello di qualcuno che avrebbe dovuto, poi
e altrove, dipingere questi messaggi; comparare
il nostro caso con l’evidenza di quella che è
stata reputata una sorta di officina scriptoria
negli spazi di I, 7, 6 (si vedano CIL IV 7243–
9) –– sulle cui pareti cambiano i nomi dei
potenziali candidati, e dove alcune lettere e
sigle si ripetono in sequenza con l’evidente
scopo di apprendere, ripetendolo, il tratteggio
(si confronti Chiavia 2002, p. 86) –– non può,
PARCO
ARCHEOLOGICO
DI POMPEI
fig. 1
però, guidare nella stessa prospettiva.
Nell’ambiente 12 della casa IX, 10, 1 il
candidato supportato è sempre lo stesso,
Aulo Rustio Vero. Sulla parete ovest (fig. 1) si
legge, infatti, A.R.V. AED. / D.R.P. OVF ––
i.e. A(ulum) R(ustium) V(erum) aed(ilem),
d(ignum) r(ei) p(ublicae), o(ro) v(os) f(aciatis)
‘Vi esorto vivamente a votare per Aulo Rustio
Vero, candidato edile, uomo degno della carica
dello Stato’ –– e, ancora, a pochi centimetri
di distanza, un D.R.P. al sopra del quale ci
sono tracce di inchiostro porpora. Sulla parete
nord (fig. 2) non restano che tracce parziali di
lettere, una M, prima, e, più in basso, M DR,
verosimilmente -m d(-) r(-) ricostruibile come
[Aulum Rustium Veru]m, d(ignum) r(ei)
[p(ublicae)].
terza con lettere che, allo stato attuale, sono
poco chiare: certa è soltanto una D, prima
della quale avrebbero potuto esserci altre
lettere (AED?) delle quali però non resterebbe
nulla, e seguita da tracce compatibili con altre
due lettere di difficile identificazione; certa,
poi, dopo un interpunctum, è la sequenza VA,
compatibile con l’inizio di una parola o da
sciogliere come v(iis) a(edibus), parte iniziale
di un’espressione formulare abbondantemente
attestata nei programmata elettorali pompeiani
(i.e. viis aedibus sacris publicis procurandis,
su cui si confronti Chiavia 2002, pp. 54–5,
con bibliografia). D’altro canto, la formulare
richiesta di voto è generalmente seguita o
da ulteriori specifiche relative alla carica
magistratuale cui si aspira o dall’enfatizzazione
di doti del candidato o da informazioni sul
rogator, sul (o sui) sostenitore (o sostenitori).
(In questa sede viene data una prima notizia
dei messaggi elettorali dell’ambiente in analisi;
un’edizione critica, che, oltre che dell’esame
autoptico del dipinto beneficerà del supporto
di riproduzioni fotografiche all’infrarosso, è
in corso di preparazione e sarà pubblicata in
altra sede.) Aulo Rustio Vero è, dunque, il
personaggio-chiave di questo ambiente, e le
sue iniziali si trovano anche sul catillus della
macina trovata a pochi metri di distanza di
questo ambiente con il larario (fig. 4).
fig. 2
fig. 4
fig. 3
È sulla parete sud (fig. 3), accanto al larario,
che, invece, resta il testo maggiormente
corposo, dove il nome del candidato si legge
nella sua integrità: A(ulum) Rustium Verum
aed(ilem), d(ignum) r(ei) p(ublicae), o(ro)