[lid] I Musei Reali di Torino si scusano per l’errore nel pannello sulla Somalia italiana e presto lo modificheranno.
Un’ammissione , grazie al lavoro del saggista Alberto Alpozzi, che crea uno spartiacque negli studi sulla storia coloniale italiana: l’Italia in Somalia debellò lo schiavismo e introdusse contratti di lavoro.
I dogmi di Angelo Del Boca tra cui l’asserzione mai provata che i lavoratori erano “sottoposti al lavoro coatto” è finalmente crollata davanti alle evidenze storiche rilevate da Alpozzi, ora certificate anche dai Musei Reali.
«Vedere che l’onestà intellettuale e la verità trionfano – ha dichiarato Alberto Alpozzi – è un sollievo in un mare di pubblicazioni menzognere affette da un grave pregiudizio ideologico.
L’accettazione acritica delle curatrici della mostra “Africa” ai Musei Reali di Torino dei testi di Del Boca come principale fonte è stata pericolosa. Sarebbe stato sufficiente confrontarli con ricerche internazionali (Mack Smith, Mohamed Issa Trunji tra i molti) per evitare brutte figure.
Le fonti utilizzate da Del Boca sono state spesso usate estrapolando parti utili a dare una visione a senso unico – come ho già ampiamente dimostrato nel 2021 – ed ignorando altre parti della medesima fonte che davano una visione completa e differente.
La professoressa Cecilia Pennacini nel farne l’apologia su La Stampa di oggi dimentica però di citare le dichiarazioni che lo stesso Del Boca rilasciò il 6 gennaio 2011 al Corriere della Sera ammettendo la sua parzialità e faziosità: «Lo ammetto, nelle mie ricostruzioni sulla guerra in Africa orientale mi sono schierato dalla parte degli etiopi. Sono da sempre un nemico del colonialismo e […] avevo un’enorme ammirazione per il negus Hailé Selassié».
«L’intervento della Pennacini di oggi – prosegue Alpozzi – è singolare: per non mettere in discussione la sua posizione non interviene nel merito dell’errore già ammesso (con tanto di scuse) dalle colleghe Pagella e De Filippis e sposta l’argomento in altri luoghi e anni.
Dalla Somalia del 1923 ci porta, per sue necessità retoriche, nell’Etiopia del 1936 parlandoci dell’impiego dei gas.
Non mi aspettavo che il livello del dibattito fosse così scarso, dal momento che la questione delle armi chimiche, oltre a non essere oggetto delle mie critiche volte alle correzioni della mostra, furono da me stesso definite “onta senza attenuanti” nel mio primo articolo di analisi dell’esposizione pubblicato su CronacaQui Torino già il 1° novembre (oltre che in svariati miei datati articoli)».
«La prof.ssa Pagella – si domanda ancora Alpozzi – quindi mette in luce una sua chiara malafede, mentendo sapendo di mentire come se le mie dichiarazioni sui gas non esistessero, oppure è solo approssimativa come per la cura della mostra? Perché a mezzo stampa ci parla di Etiopia quando l’oggetto dell’errore marchiano è la Somalia?»
«Sono però lieto dell’ammissione su La Stampa – conclude Alpozzi – che il filmato proiettato in mostra, fornito dall’ANCR, sia stato tagliato eliminando la parte che documenta la “consegna dei premi alla popolazione indigena” perché d’altronde se no come si faceva a dimostrare che il colonialismo ha provocato “immani sofferenze” dispensando premi alla popolazione schiavizzata?»