(AGENPARL) – Roma, 06 settembre 2022 – Le possibilità che un tetto massimo del prezzo del G7 sul petrolio russo sia lontanamente efficace sono forse meglio riassunte da un recente tweet di un giornalista di Bloomberg su energia e materie prime:
«Io e i miei amici abbiamo deciso di imporre un tetto massimo di prezzo alla birra del nostro pub locale. In realtà non abbiamo intenzione di bere birra lì. Il proprietario del pub dice che non venderà la birra a chi rispetta il tetto, così gli altri avventori, che bevono molto lì, dicono che non aderiranno al tetto. Il successo».
Lanciata per la prima volta dal segretario al Tesoro statunitense Janet Yellen, l’idea di limitare le esportazioni russe di greggio aveva un duplice obiettivo: mantenere il flusso del petrolio russo all’estero, che avrebbe fissato un tetto ai prezzi, e allo stesso tempo ridurre le entrate petrolifere russe, che costituiscono una parte consistente del PIL e, secondo il G7, sono ciò che la Russia sta usando per finanziare la guerra in Ucraina.
L’idea del limite di prezzo è stata ripresa dai leader del G7 nella riunione di giugno, dove i Sette hanno promesso di trovare un modo per farla rispettare.
Fin dall’inizio, il modo più plausibile per esercitare una pressione sui prezzi sulla Russia è stato quello di ridurre la disponibilità di assicurazioni per le sue petroliere a meno che non avesse accettato di vendere il suo petrolio a un certo prezzo.
Forse non si sono scordati che il 90% del mercato assicurativo è nelle mani di compagnie occidentali e rappresentano alcuni dei maggiori attori nel settore dello shipping marittimo sarebbe.
«Oggi confermiamo la nostra intenzione politica comune di finalizzare e attuare un divieto completo dei servizi che consentono il trasporto marittimo di petrolio greggio di origine russa e prodotti petroliferi a livello globale», hanno affermato i ministri delle finanze del G7 in una dichiarazione, come citato da Reuters.
Questi servizi saranno messi a disposizione delle compagnie petrolifere russe solo se accettano di vendere il loro petrolio a un prezzo «determinato dall’ampia coalizione di paesi che aderiscono e attivano il prezzo massimo».
Ed è qui che iniziano i problemi (quelli veri).
Il primo problema è che la Russia, contrariamente a quanto apparentemente si aspettava il G7, non ha accettato quest’ultimo tentativo di “definanziarla” ovvero un tentativo chiaro di ‘sdraiarla’.
La Russia ha detto chiaramente, due volte la scorsa settimana, che non avrebbe venduto petrolio a paesi con un limite di prezzo.
«Secondo me, questo è assolutamente assurdo. E questa è un’interferenza nei meccanismi di mercato di un’industria così importante come il petrolio», ha affermato il vicepremier Alexander Novak, che ha rappresentato la Russia all’OPEC+.
«Le aziende che impongono un tetto massimo di prezzo non saranno tra i destinatari del petrolio russo», ha detto venerdì un portavoce del Cremlino, aggiungendo «Semplicemente non collaboreremo con loro su principi non di mercato».
I fautori del price cap sostengono che la Russia non avrà altra scelta che rispettare i price cap a causa di quel 90% del mercato assicurativo e a causa della «ampia coalizione».
La verità vera è che la coalizione semplicemente non è sufficientemente ampia da far rispettare il tetto massimo.
La coalizione, nonostante i migliori sforzi del G7, non include né la Cina né l’India, i due maggiori clienti petroliferi della Russia.
La coalizione stessa non è un grande importatore e due dei suoi membri, gli Stati Uniti e il Regno Unito, hanno bandito presto le importazioni di petrolio dalla Russia.
Anche un terzo, il Giappone, avrebbe difficoltà a far rispettare il prezzo massimo, data la sua dipendenza da qualsiasi tipo di importazione di energia.
Non è stata una sorpresa, quindi, che mentre il ministro delle finanze giapponese Shinuchi Suzuki ha celebrato la decisione del G7, venerdì i media hanno notato , citando un funzionario del ministero delle Finanze, che il petrolio di Sakhalin-2, il progetto russo, che viene esportato in Giappone, sarà escluso dal limite di prezzo.
L’argomentazione dei proponenti è che la Russia non può permettersi di smettere di vendere petrolio agli esecutori del price cap del G7.
Un terrestre ‘scettico’ potrebbe sottolineare che la Russia ha registrato delle entrate molto più alte del normale dalle sue esportazioni di petrolio e gas a causa del caos provocato sui mercati dalle sanzioni occidentali.
Potrebbe quindi permettersi di sedersi e guardare i prezzi che superano i $ 100 e oltre…
In particolare, con l’OPEC+ che oggi ha deciso di tagliare la produzione di 100.000 bpd per ottobre in risposta al calo dei prezzi.
Ora veniamo al nocciolo della questione.
Secondo quanto riferito, la Russia non era d’accordo con un taglio alla produzione. Secondo fonti anonime che hanno parlato al Wall Street Journal, Mosca vede la decisione di tagliare la produzione come un segno per gli acquirenti che c’è abbondanza di petrolio in circolazione, il che potrebbe «ridurre la sua influenza con le nazioni consumatrici di petrolio che stanno ancora acquistando il suo petrolio ma a grandi sconti«.
Il price cap G7 entrerà in vigore il 5 dicembre per il greggio e il 5 febbraio per i prodotti raffinati.
Insomma siamo di fronte al solito trilemma…