
ROMA È l’ammontare stimato dei proventi della criminalità organizzata derivante dall’infiltrazione economica nel comparto turistico. Alla sola ‘ndrangheta quasi il 40 per cento del giro d’affari complessivo. Oltre 4,4 mila le aziende a maggior rischio di riciclaggio associato a crisi di liquidità causata dal Covid. Il presidente di Demoskopika, Raffaele Rio: “La crisi del turismo fa gola ai sodalizi criminali che si sono attivati per acquisire imprese o per controllare porzioni significative del comparto”. Sarebbe pari a 2,2 miliardi di euro, il giro d’affari della criminalità organizzata italiana derivante dall’infiltrazione nell’economia legale del settore turistico del Belpaese di cui 850 milioni di euro, pari al 38 per cento del totale, concentrato nelle realtà del Mezzogiorno. Un’attività sempre più pervasiva di controllo del territorio che metterebbe a rischio ben 4.450 imprese attive nel comparto, maggiormente fiaccate dalla crisi di liquidità causata dall’emergenza pandemica e, dunque, più vulnerabili al “welfare criminale” delle mafie che dispongono, al contrario, di ingenti risorse finanziarie pronte alle operazioni di riciclaggio. Sono sei i sistemi regionali con il livello di rischio più elevato: Campania, Lazio, Sicilia, Calabria, Lombardia e Puglia. Ben 430, inoltre, gli alberghi e i ristoranti confiscati ad oggi, di cui quasi il 60 per cento nei territori tradizionalmente caratterizzati da un maggiore radicamento della criminalità organizzata. Impennata pari al 243 per cento, infine, per le operazioni finanziarie sospette direttamente attinenti ai gruppi mafiosi. È quanto emerge da una ricerca realizzata da Demoskopika che ha stimato l’attività di welfare criminale delle mafie sul comparto turistico elaborando una serie di dati rilevati da alcune fonti ufficiali o autorevoli: Unioncamere, Direzione Investigativa Antimafia, Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata, Istat, Cerved e Transcrime. (News&Com)