[lid] – L’avvocato Stefano Bertollini, membro del Consiglio Nazionale Forense per il quadriennio 2019-2022 responsabile dell’ONPG organismo costituito con legge 241/2012. Membro della Commissione sull’equo compenso e delegato nel tavolo Ministeriale di monitoraggio sull’applicazione della normativa sull’equo compenso. Membro della commissione human right e segue i lavori della commissione sul diritto sportivo.
La professoressa Daniela Piana, Professore di prima fascia Scienze Politiche Università di Bologna. UNESCO UNITWIN NETWORK NETLEARNING – Governance and citizenship in the digital ageFondatrice e coordinatrice del centro di ricerca Maison des intelligences sociales et numériques Université Paris Saclay.
Altrove. Rispetto allo spazio – fisico, simbolico, processuale e funzionale –del processo, sembra che oggi la risposta alla domanda di giustizia possa venire, anzi debba venire da altrove.
Altrove perché spesso la determinazione sociale, reputazionale, prima che giudiziaria della colpevolezza o della non colpevolezza accade prima che sia stato percorso tutto lo spazio e il tempo che sono quelli del contraddittorio e della decisione presa da una istanza terza.
Altrove perché rispetto alla garanzia delle professionalità della giurisdizione si prospetta l’idea di potere rispondere alla domanda di giustizia attraverso la esclusiva risposta che può venire da una istanza automatizzata – robot o algoritmo.
Sembra quasi che si sia un po’ perduto un metro condiviso, che è poi la cultura della tutela effettiva dei diritti fondamentali, per fare la differenza fra azioni che avvengono in spazi dove non è assicurata l’effettività al giusto processo e azioni che avvengono all’interno della giurisdizione nel rispetto di un metodo del processo, della procedura, e della sua ineliminabile dimensione del contraddittorio.
Non si tratta solo della erosione delle garanzie cui assistiamo quando il processo penale viene “celebrato” prima che diventi un processo penale in senso tecnico, magari attraverso lo spazio e il tempo brevissimo, istantaneo di un sommario processo mediatico. Né si tratta soltanto dell’emergere, lo si vede in diversi paesi che fanno parte dell’OCSE, di strumenti di ausilio o anche di supplenza alla decisione di giustizia che, avvalendosi di razionalità del calcolo algoritmico, arrivano a definire la soluzione di una controversia senza che questa sopravvenga come controversia giudiziaria. Preziosissimi ausili, supporti, “forme di decisione aumentata”, ma mai sostituzione in senso proprio.
Si tratta anche e, riteniamo soprattutto, del fatto che dinnanzi alla progressiva compressione di garanzie o alla ricerca di ancoraggi di queste garanzie in strumenti che sono diversi da quelli del contraddittorio e della giurisdizione, ciò che osserviamo è un indebolimento delle aspettative e della fiducia.
Chiunque abbia uno sguardo comparato e abbia come oggetto di studio e come spazio di azione il mondo che nasce dall’incontro della norma del diritto con la domanda di giustizia (una domanda che nasce in relazione a quella norma e dentro agli spazi che quella norma definisce come legittimi per esercitarvi le libertà di ogni cittadino in modo eguale per tutti) sa che queste trasformazioni, nei comportamenti e nelle aspettative, hanno delle cause. Dobbiamo averne in mente due ordini: spiegazioni legate all’innovazione tecnologica; ragioni di fatto legate alla trasformazione sociale, culturale, politica del nostro paese.
La dirompente realtà creata dalla applicazione della tecnologia digitale e dall’incontro di questa con la matematica avanzata. È di una settimana fa l’articolo apparso su New York Post che titola “Un avvocato ‘aumentato’ dalla intelligenza artificiale sarà di ausilio nei ricorsi contro le multe”. Una applicazione digitale che si inserisce sul solco di una ormai amplissima e discussa gamma di servizi giuridici che avvalendosi di algoritmi intendono rispondere ad una domanda di rapidità, certezza, standardizzazione, e oggettività delle decisioni. Poi vi sono spiegazioni legate alla storia recente del paese e alla progressiva tendenza a sbilanciare ciò che deve essere bilanciato all’interno di una democrazia rispettosa dello Stato di diritto.
Di sbilanciamenti ne vediamo tre. Quello fra spazio esterno alla giurisdizione e giurisdizione. il processo è un metodo orientato a legittimare la decisione finale attraverso la rigorosa, condivisa – e consensualmente attesa e confidata – trasformazione dei principi generali della presunzione di innocenza, del diritto della difesa, del principio della trasparenza e della terzietà in accadimenti giudiziari che sanciscono un esercizio di potere. La giustizia mediatica che in questa sede è stata affrontata di recente è uno sbilanciamento verso lo spazio dei media di ciò che invece deve avere un suo spazio e un suo tempo nel e con il processo. Sbilanciamento fra istanze di potere. Rispondere ad una domanda diffusa e forte di una giustizia tempestiva e leggibile dal cittadino attraverso la sostituzione del contraddittorio e della dialettica giurisdizionale con istanze di esclusiva automazione significa non riconoscere che la terzietà dipende da un confronto fra parimenti autorevoli attori nella giurisdizione. La osservazione dei paesi dove lo Stato di diritto è a rischio o dove invece lo Stato di diritto è una conquista guardata come un baluardo da raggiungere quanto prima, mostra al di là di ogni dubbio che la creazione o il mantenimento di una avvocatura forte autorevole beneficiaria di una fiducia diffusa e presente nel dialogo istituzionale quando si scrivono le norme e quando le si attuano è chiaramente la conditio sine qua non per la effettività della democrazia e dello Stato di diritto. Infine, uno sbilanciamento fra poteri di controllo ex ante e poteri di verifica a posteriori della attuazione della norma. Immaginare di assicurare l’effettività esclusivamente ex ante è del tutto riduttivo e fuorviante.
Di cosa abbiamo bisogno? Un investimento istituzionale può e deve essere fatto su tre fattori.
Il primo riguarda la cultura dello Stato di diritto, a tutti i livelli della società, riportando al centro del dibattito – anche mediatico – la questione delle garanzie. Formazione, certo, anche dei più giovani, ma anche una informazione che sappia stare nei limiti, anche quando i social media sono capaci di offrirci la vertigine del “senza confine”. I confini ci sono e non sono solo quelli definiti o in fase di definizione dalla normativa europea in materia di digitale. Esiste uno spazio che va regolato dalla professionalità e dalla deontologia per tutte le professionalità che intervengono sulla e nella giustizia.
Il secondo riguarda la conoscenza pratica, sul campo, di ciò che accade durante e a valle della attuazione delle articolate riforme che abbiamo introdotto. Mai come in questa fase storica il paese ha vissuto una stagione così ambiziosa di riforme. Al di là della definizione delle condizioni che ne rendono possibile la attuazione sul piano organizzativo e strutturale, resta che apprendere dalla giurisdizione, finestra sulla società e sul suo rapporto con la norma, così come già l’Osservatorio Nazionale Permanente sull’esercizio della Giurisdizione sta facendo, può molto aiutare.
Terzo investimento riguarda le professioni del diritto. Abbiamo bisogno oggi più che mai di una condivisa costruzione di una postura autonoma nel giudizio, che con l’ausilio di tutto ciò che la tecnologia, il digitale, la scienza e le scienze possono e potranno offrire, senza tema si qualifichi per capacità, autorevolezza, e fiducia come presidio professionale nel fare il ponte fra la domanda del cittadino che ha un problema e la risposta del sistema giuridico che deve prospettarsi effettiva, e legittimata da quel percorso improntato al metodo del processo, non sommario, non supplito, non sostituito, non anticipato con fuor d’opera.
Tutto al proprio posto? In qualche modo sì. E forse le crisi che si sono susseguite e che stanno mettendo a dura prova le nostre società hanno aperto un varco di riflessione e di imprenditorialità istituzionale entro cui mettere i passi di un ribilanciamento e un rinvigorimento dei principi vitali e incomprimibili del giusto processo.