
Il Ministero dell’Istruzione dovrebbe forse dare un’occhiata più attenta a quello che accade realmente dentro alcune aule scolastiche, soprattutto in occasione di eventi che coinvolgono direttamente la vita democratica del Paese, come un referendum. A Roma, in diverse scuole secondarie di primo grado, alcuni docenti avrebbero invitato gli studenti di terza media a chiedere ai genitori di andare a votare. Un’iniziativa che, per quanto mascherata da educazione civica, assume contorni assai discutibili.
Il problema non è solo nella modalità, ma anche nella sostanza. Alcuni di questi insegnanti risultano essere attivi membri di associazioni impegnate nel campo dell’accoglienza dei rifugiati, e in molti casi si tratta delle stesse realtà direttamente interessate ai temi del referendum in questione. Qui si profila un evidente conflitto di interessi: l’insegnante non è solo educatore, ma anche parte attiva e parte in causa. E la scuola, si sa, non è un palco per la propaganda.
È lecito domandarsi se sia davvero questo il compito della scuola pubblica, finanziata dai contribuenti: trasformarsi in megafono per opinioni personali, e peggio, in strumento di pressione indiretta sulle famiglie attraverso gli studenti. L’educazione alla cittadinanza attiva non significa condizionamento. E il diritto di voto è libero, personale e, soprattutto, non mediato da un diario scolastico.
Forse è tempo che il Ministero, anziché limitarsi a slogan sull’inclusività o sulla digitalizzazione, mandi ispettori nei plessi dove certe dinamiche rischiano di sfuggire di mano. L’autonomia scolastica non è una zona franca dove chi insegna può dettare l’agenda politica di casa ‘altrui’.
C’è poi un problema più profondo, strutturale. Una scuola che costringe gli adolescenti a vivere in costante ansia da prestazione, giudizio, confronto, punizione e bocciatura non sta educando: sta esercitando una forma elegante ma persistente di coercizione. E mentre il sistema si illude di formare cittadini responsabili, rischia invece di allontanare le menti più creative e sensibili, quelle che più di tutte hanno bisogno di un ambiente libero, non politicizzato, e capace di far emergere il pensiero critico — non quello conforme (o peggio unico).
Come diceva qualcuno, ogni istruzione seria si acquista con la vita, non con la scuola. E infatti, a volte, c’è chi interrompe gli studi per andare davvero a scuola. Quella della realtà. Dove si impara prima di tutto il rispetto per la libertà altrui — inclusa quella di votare (o non votare) senza doverlo comunicare al professore di turno.
