(AGENPARL) – ven 10 gennaio 2025 I fossili raccontano la fine di un’era glaciale 300 milioni di anni fa
Un team internazionale di scienziati di cui fanno parte l’Università degli Studi di Milano e
l’Università Sapienza di Roma, analizzando fossili di brachiopodi ha dimostrato come nel
Paleozoico l’incremento di anidride carbonica (CO2), dovuto a un’intensa attività vulcanica, sia
risultato concomitante alla riduzione dei ghiacciai e a un incremento della temperatura superficiale
media degli oceani fino a 4 gradi centigradi. Questo studio pubblicato su Nature Geoscience ci può
aiutare a comprendere meglio i cambiamenti climatici attualmente in atto e le loro conseguenze.
Milano, 10 gennaio 2025 – Studiare il riscaldamento globale del passato per capire i cambiamenti
climatici del presente. Durante la sua lunga storia, la Terra ha sperimentato condizioni climatiche
molto diverse, alternando fasi glaciali a periodi di riscaldamento globale che hanno plasmato il
pianeta e influenzato l’evoluzione degli organismi. Ancor prima della comparsa dei dinosauri,
durante il tardo Paleozoico (circa 300 milioni di anni fa) ebbe luogo una delle glaciazioni più estese,
terminata con una fase di riscaldamento che portò alla scomparsa quasi completa dei ghiacciai e
delle calotte polari con importanti conseguenze sulla biodiversità.
Un team internazionale di scienziati, tra cui ricercatori dell’Università Statale di Milano, della
Sapienza Università di Roma e dell’Università di St. Andrews in Scozia, ha preso in esame la
glaciazione del tardo Paleozoico e il suo declino, seguito da un considerevole aumento delle
temperature, per comprendere meglio l’attuale emergenza climatica.
I risultati di questo studio, pubblicati sulla rivista internazionale Nature Geoscience, ricostruiscono
per la prima volta i livelli atmosferici di CO2 lungo un arco temporale di 80 milioni di anni.
L’atmosfera del passato viene spesso studiata attraverso l’analisi di piccole bolle d’aria inglobate
nelle calotte polari, grazie alle quali siamo capaci di ricostruire con precisione le variazioni climatiche
fino a circa 800 mila anni fa. Ma la sfida affrontata da questo studio è stata quella di sviluppare
metodologie in grado di risalire a un intervallo compreso tra 340 e 260 milioni di anni fa. Sono
stati così presi in oggetto i fossili brachiopodi, invertebrati marini con una conchiglia costituita da
carbonato di calcio, molto abbondanti durante il Paleozoico e tutt’ora rappresentati da alcune
specie viventi. Dalle analisi è emerso come i livelli di CO2 fossero intimamente connessi
all’evoluzione della glaciazione e alla sua fine. I ricercatori hanno infatti misurato bassi livelli di
anidride carbonica concomitanti alla formazione di estese calotte polari. Viceversa, l’incremento di
CO2, che fu il prodotto di un’intensa attività vulcanica, è risultato contemporaneo a una riduzione
globale dei ghiacciai e a un incremento della temperatura superficiale media degli oceani fino a 4
gradi centigradi. E oggi, proprio come è avvenuto 300 milioni di anni fa, il riscaldamento
dell’atmosfera, causato dall’aumento della presenza di CO2 e di gas metano, ha innescato una
evidente riduzione dei ghiacciai e delle calotte polari.
“I fossili e le caratteristiche geochimiche dei loro resti sono una preziosa fonte di informazioni, che ci
permette di ricostruire il clima e gli ambienti in cui questi organismi sono vissuti, anche nel tempo
profondo, e confrontare questi dati con i cambiamenti attualmente in atto” afferma Lucia Angiolini,
docente del Dipartimento di Scienze della Terra Ardito Desio dell’Università degli Studi di Milano.
“Mentre l’organismo cresce, la sua conchiglia si espande ed incorpora numerosi elementi e composti
chimici che vanno a costituire una sorta di archivio per tutto il suo ciclo vitale. Infatti è noto come le
conchiglie siano legate alla composizione dell’acqua marina e alla variazione di molteplici parametri
tra cui la temperatura e l’acidità (pH)”, sottolinea Claudio Garbelli, docente della Sapienza
Università di Roma.
“Alcuni elementi presenti nel carbonato di calcio delle conchiglie sono determinati dai valori di pH
dell’acqua marina che, a sua volta, dipende dalla quantità di CO2 atmosferica”, aggiunge Hana
Jurikova ricercatrice dell’Università di St. Andrews in Scozia e prima autrice dello studio. “Misurando
alcuni degli elementi contenuti nelle conchiglie fossili (quali ad esempio il boro e lo stronzio) e con
l’ausilio di sofisticati modelli matematici, siamo stati in grado di ricostruire con una certa precisione
la quantità di CO2 presente in atmosfera lungo un arco temporale di 80 milioni di anni, tra 340 e 260
milioni di anni fa”, conclude Jurikova.
Studi come questo, oltre ad evidenziare l’importanza dei fossili come archivi di informazioni utili per
comprendere le dinamiche dei cambiamenti climatici e ambientali avvenuti nel passato,
rappresentano una fonte di dati indispensabile per sviluppare modelli predittivi dei fenomeni
attualmente in atto e del loro impatto sulla biodiversità.
Ufficio Stampa Università Statale di Milano
Ufficio Stampa e comunicazione Sapienza Università di Roma
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