Le immagini di scontri, proteste e slogan carichi di odio che riaffiorano dai corridoi dell’Università “La Sapienza” di Roma fanno scattare un campanello d’allarme per chi ha vissuto i momenti più bui della nostra storia recente. Erano gli anni in cui la politica, spesso violenta, trovava il suo spazio iniziale tra i banchi di scuola e nelle fabbriche, esprimendo un malcontento che spesso degenerava in scontri ideologici senza compromessi.
Quello che stiamo osservando oggi non è diverso e richiede attenzione. Le proteste studentesche, accompagnate dagli scioperi del sindacato CGIL nei settori strategici, creano un miscuglio di tensione che rischia di alimentare una pianta velenosa per il dialogo democratico. I diritti, spesso contrapposti ai privilegi percepiti o reali, e il sottile filo della corruzione finisce per generare un clima in cui l’avversario politico diventa il nemico da annientare.
La deriva è evidente nei cori violenti che riecheggiano nei cortei universitari: “uccidere un fascista non è un reato” . Più che un richiamo a un passato storico, sembrano un pericoloso tentativo di riaprire capitoli che dovrebbero rimanere archiviati. Anche la retorica dell’altra parte, che invoca la repressione degli “estremisti rossi”, non promette nulla di buono. Slogan come “non abbiamo intenzione di lasciare l’Università ai fascisti” da una parte e “gli estremisti rossi vanno stroncati da veri camerati” dall’altra riportano alla memoria un passato di scontri violenti che il nostro Paese ha già pagato duramente.
La storia insegna che senza memoria non si può avanzare. È un dovere civico di chi ha vissuto quegli anni ricordare i rischi che comporta la saldatura tra rappresentanze studentesche e sindacati, quando entrambe scivolano verso modalità di confronto violente. La loro combinazione non ha mai portato stabilità o soluzioni, ma solo ulteriore divisione.
Oggi è necessario un intervento deciso per contrastare sul nascere eventuali degenerazioni. La memoria deve essere la bussola per impedire che quelle pagine oscure del nostro passato vengano riaperte. È un compito che richiede fermezza, sia sul piano politico che sociale, per garantire che il confronto democratico resti tale e non diventi un campo di battaglia ideologico.
Le proteste, quando sfociano nella violenza, minano le basi del dialogo e del progresso. Ricordare il passato, con le sue ombre e le sue tragedie, è il primo passo per evitare che queste tensioni si trasformino nuovamente in conflitti. Perché il futuro non può costruirsi sull’odio, ma sulla capacità di ascoltare, dialogare e confrontarsi, anche tra posizioni opposte.