(AGENPARL) – mar 12 novembre 2024 Gentile collega,
ti segnaliamo questa notizia pubblicata su Media Inaf riguardante un
recente srudio pubblicato oggi su *The Astrophysical Journal, *nel quale
si dimostra come i dati del telescopio spaziale James Webb sembrano non
confermare le ipotesi del modello standard di formazione delle galassie
nell’universo primordiale, ma sono invece in accordo con la teoria della
gravità modificata Mond, che non prevede l’esistenza della materia oscura.
Tra gli autori c’è anche Federico Lelli dell’Inaf di Arcetri Astrofisica.
Il link dell’articolo:
Osservazioni non standard per le galassie di Webb
Riportiamo di seguito il testo integrale della notizia:
I DATI SONO IN ACCORDO CON LE TEORIE MOND
Osservazioni non standard per le galassie di Webb
I dati del telescopio spaziale James Webb sembrano non confermare le
ipotesi del modello standard di formazione delle galassie nell’universo
primordiale. Le osservazioni sono invece in accordo con la teoria della
gravità modificata Mond, che non prevede l’esistenza della materia oscura.
Tra gli autori dello studio che riporta questi risultati, pubblicato oggi
su The Astrophysical Journal, c’è anche Federico Lelli dell’Inaf di Arcetri
Rossella Spiga 12/11/2024
Le osservazioni del telescopio spaziale James Webb (Jwst
) non confermano le ipotesi del
modello standard di formazione delle galassie nell’universo primordiale,
quello secondo il quale la materia oscura
invisibile avrebbe
agevolato la formazione delle stelle e delle galassie più antiche. Jwst
avrebbe dovuto osservare deboli segnali provenienti da galassie giovani e
di piccola massa, ma i dati che ha fornito raccontano un’altra storia: le
galassie più antiche sono apparse infatti agli occhi del telescopio
spaziali grandi e luminose. I risultati dello studio
dalla Case Western Reserve University di Cleveland (Ohio) e pubblicato oggi
su *The Astrophysical Journal*, sembrerebbero mettere quindi in discussione
la nostra comprensione dell’universo primordiale.
Protogalassie osservate con il James Webb Space Telescope. Crediti: Nasa
Nello studio, sono state confrontate le osservazioni di galassie
nell’universo primordiale – tecnicamente, ad alto *redshift
* – con le
predizioni di due modelli teorici assai diversi fra loro: il modello
cosmologico standard Lambda-Cdm
(Lambda Cold Dark
Matter), in cui la formazione delle galassie è agevolata grazie
all’introduzione della materia oscura, e il modello Mond
(Modified Newtonian Dynamics),
in cui la formazione delle galassie è spiegata grazie a una modifica delle
leggi gravitazionali di Newton ed Einstein, e che non contempla la presenza
di materia oscura nell’universo.
I dati osservativi ottenuti da Jwst riportati nello studio sono in accordo
con la teoria della gravità modificata Mond, introdotta dal fisico Mordehai
Milgrom oltre quarant’anni fa. «Gli astronomi hanno inventato la materia
oscura per spiegare come si possa passare da un universo primordiale molto
omogeneo a grandi galassie con molto spazio vuoto intorno, com’è
attualmente», ricorda infatti *Stacy McGaugh*, primo autore dell’articolo e
direttore del dipartimento di astronomia della Case Western Reserve,
sottolineando però che «ciò che la teoria della materia oscura prevedeva
non è quello che stiamo osservando»,
Il modello Lambda-Cdm prevede che le galassie si siano formate per
accrescimento graduale di materia da strutture piccole a strutture più
grandi, a causa della gravità extra fornita dalla massa della materia
oscura. Secondo la teoria Mond invece, la formazione della struttura
nell’universo primordiale sarebbe avvenuta molto più velocemente di quanto
previsto dalla teoria Lambda-Cdm. Per questo, se così fosse, Jwst dovrebbe
essere in grado di rilevare i deboli segnali luminosi dei piccoli
precursori delle galassie.
Federico Lelli, primo ricercatore all’Istituto nazionale di astrofisica
(Arcetri, Firenze). Crediti: Inaf
«Il modello standard Lcdm di formazione delle galassie è un modello
strettamente “gerarchico”, in cui le galassie di grande massa si formano
grazie alla fusione di tante proto-galassie e/o aloni di materia oscura più
piccoli», spiega* Federico Lelli *dell’Inaf di Arcetri, coautore dello
studio. «Questo processo richiede tempo, quindi ci si aspetta che le
galassie massive, come ad esempio le galassie ellittiche, si formino
relativamente tardi durante la storia evolutiva dell’universo. Negli ultimi
anni, invece, varie osservazioni ottenute con diversi telescopi – Alma
, Hst
, Spitzer
e più
recentemente Jwst – ci hanno mostrato uno scenario molto diverso: le
galassie massive sono già presenti nell’universo primordiale e sembrano
essersi evolute molto più velocemente di quanto ci aspettassimo nel
contesto cosmologico standard». Proprio come prevede la teoria Mond,
secondo la quale la massa si assembla rapidamente a formare le galassie e
fin dalle fasi iniziali si espande verso l’esterno con il resto
dell’universo.
Lelli è anche fra gli autori di un altro studio
,
pubblicato lo scorso giugno, i cui risultati erano in linea con le
previsioni della teoria della gravità modificata Mond, in quel caso
basandosi sulla misura delle curve di rotazione delle galassie tramite il
fenomeno della lente gravitazionale debole.
«In questa teoria, non esiste alcuna materia oscura», dice Lelli
riferendosi alla teoria Mond. «Verso la fine degli anni ‘90, l’astrofisico
Bob Sanders ha utilizzato la teoria Mond per predire che galassie massive
ed evolute potessero essere già presenti nell’universo primordiale (a
*redshift* 10). Si tratta di una predizione sorprendente e piuttosto
incredibile, infatti non è stata presa in seria considerazione dalla
maggior parte della comunità scientifica per molto tempo. I dati attuali,
invece, sembrano proprio confermare la predizione di Bob Sanders del
lontano 1998 (più di un quarto di secolo fa!), secondo cui le galassie
massive si formano su tempi estremamente brevi, dell’ordine di qualche
centinaio di milioni di anni dopo il Big Bang».
Il telescopio spaziale James Webb è stato progettato per rispondere ad
alcune delle più grandi domande sull’universo, tra cui come e quando si
sono formate le stelle e le galassie. Fino al suo lancio, nel 2021, nessun
telescopio era infatti stato in grado di vedere così in profondità
nell’universo – e quindi in un certo senso indietro nel tempo.
«In primo luogo, James Webb ha permesso di scoprire galassie ad altissimi
*redshift*, quando l’universo aveva solo qualche centinaio di milioni di
anni. Poi, ha rivelato l’esistenza di galassie massive e “passive” – ovvero
che non formano più stelle – a *redshift* più alti di quanto non si
ritenesse possibile, indicando che queste galassie passive debbano essersi
formate in modo estremamente veloce e quasi “monolitico”. Inoltre»,
conclude Lelli, «Jwst ha rivelato l’esistenza di ammassi di galassie in
epoche cosmiche più antiche di quanto non ci si aspettasse nel contesto
cosmologico standard».
Molti di questi studi sono ancora in corso e necessitano di essere
confermati con ulteriori osservazioni, ma la possibilità che il telescopio
spaziale James Webb ci aiuti a scrivere nuove pagine di astrofisica, dopo
soli circa tre anni dal suo lancio, è davvero promettente.
*Per saperne di più:*
– Leggi su *The* *Astrophysical Journal* l’articolo “Accelerated
Structure Formation: the Early Emergence of Massive Galaxies and Clusters
of Galaxies
S. McGaugh, J. M. Schombert, F. Lelli e J. Franck
– Sulla teoria Mond guarda su *MediaInaf Tv* l’intervista a Pavel Kroupa