La boxe femminile ha vissuto un momento di grande controversia alle Olimpiadi di Parigi del 2024 con il caso di Imane Khelif, pugile algerina che, dopo aver conquistato l’oro olimpico, è stata coinvolta in una polemica di portata internazionale. Khelif, dichiarata “biologicamente maschio” dall’International Boxing Association (IBA), è al centro di un dibattito che solleva questioni complesse legate alla definizione del sesso biologico nello sport e alle sue implicazioni competitive.
L’intervento dell’International Boxing Association (IBA)
Imane Khelif si è distinta fin dagli esordi del torneo olimpico, dimostrando una netta superiorità fisica e tecnica che le ha permesso di sconfiggere con facilità le sue avversarie femminili e di aggiudicarsi la medaglia d’oro. Tuttavia, già ad agosto, l’IBA aveva imposto una sospensione a Khelif, affermando che i test condotti suggerivano che la pugile possedesse caratteristiche maschili dal punto di vista biologico. L’organizzazione ha sottolineato come i test cromosomici e ormonali indicassero un profilo tipicamente maschile. Nonostante ciò, il Comitato Olimpico Internazionale (CIO) ha deciso di consentire a Khelif di competere, ignorando il parere dell’IBA.
Il rapporto medico: Testicoli interni, micropene e cromosomi XY
Un rapporto successivo, redatto dagli ospedali Kremlin-Bicêtre di Parigi e Mohamed Lamine Debaghine di Algeri, ha rivelato che Khelif sarebbe affetta da una rara condizione genetica nota come “deficit di 5-alfa reduttasi”. Questo disturbo, che si riscontra esclusivamente nei soggetti geneticamente maschili (cromosomi XY), implica un’anomalia nello sviluppo sessuale. Chi ne è affetto spesso appare alla nascita come una femmina e può essere erroneamente assegnato al genere femminile, ma durante la pubertà sviluppa tratti tipicamente maschili, tra cui un aumento della massa muscolare e della crescita dei peli, livelli di testosterone elevati, e l’assenza di mestruazioni o tessuto mammario.
Il rapporto medico dettaglia ulteriormente che Khelif possiede testicoli interni e presenta un “micropene,” nonché l’assenza di utero e tessuto mammario. Queste caratteristiche, unite ai livelli di testosterone comparabili a quelli maschili, confermano la presenza di cromosomi XY nel cariotipo della pugile, sollevando interrogativi sulla partecipazione di Khelif nelle competizioni femminili.
Le implicazioni di una condizione genetica complessa
Secondo gli esperti, il deficit di 5-alfa reduttasi causa uno sviluppo atipico dei genitali esterni che, alla nascita, può indurre a identificare erroneamente il neonato come femmina. Spesso, infatti, questa sindrome porta le persone affette a vivere un’infanzia con una percezione di genere femminile, finché la pubertà non porta alla luce la loro biologia maschile. Nel caso di Khelif, la mancata diagnosi iniziale potrebbe aver portato a identificazioni errate e a un senso d’identità complesso, influenzato dalla sua condizione fisica e ormonale.
Le raccomandazioni mediche e il futuro di Khelif nello sport
Il rapporto medico non si limita a una semplice analisi diagnostica ma propone anche una serie di interventi per Khelif. Gli esperti suggeriscono una “correzione chirurgica e terapia ormonale” per aiutare la pugile a vivere in linea con la sua identità di genere autopercepita. Altrettanto cruciale, secondo il rapporto, è il supporto psicologico: le condizioni fisiche di Khelif avrebbero infatti avuto un impatto neuropsichiatrico significativo, contribuendo probabilmente a una profonda complessità emotiva e identitaria.
Durante il periodo di allenamento per le Olimpiadi, l’allenatore di Khelif, Georges Cazorla, ha confermato che la pugile aveva già subito test cromosomici presso l’ospedale Kremlin-Bicêtre nel 2023. In seguito a quei test, l’atleta sarebbe stata indirizzata a una terapia ormonale anti-testosterone, a ulteriore conferma delle sue caratteristiche maschili.
Un caso che solleva interrogativi sull’equità nello sport
Il caso di Imane Khelif riaccende il dibattito su come gestire la partecipazione di atleti con variazioni di sviluppo sessuale (DSD) nelle competizioni di genere. La complessità delle condizioni genetiche, come quella di Khelif, mette in evidenza l’attuale carenza di linee guida chiare per garantire equità in ambito sportivo, specialmente nei casi in cui gli atleti presentano caratteristiche fisiche e ormonali che conferiscono loro un vantaggio nelle competizioni femminili.
Il mondo dello sport, come dimostrato dal caso Khelif, deve affrontare una realtà in cui l’identità di genere e il sesso biologico non sempre coincidono in maniera tradizionale. Resta da vedere se, e come, le organizzazioni sportive sapranno sviluppare criteri di partecipazione che bilancino l’inclusività con la necessità di assicurare parità di condizioni competitive.