
Come tutte le esperienze che stanno terminando, anche la chiusura della festività del ‘Maggio’ porta con se la gioia e la soddisfazione per tutto ciò che si è riusciti a realizzare ma, al contempo, anche un pizzico di malinconia pensando che domani già sarà un altro giorno. Soffermiamoci, adesso, sull’oggi, visto che – nelle prossime ore – accadranno cose incredibili, se non spettacolari, conosciute a chi le ha già vissute ma, per tanti altri versi, ancora tutte da scoprire. Sì, perché il ‘Maggio’ – che lo vogliate o no – è costellato di molteplici imprevisti e colpi di scena. Ogni anno accade un qualcosa che sembra rimettere in discussione i piani prestabiliti, ma poi tutto si risolve grazie all’intraprendenza di alcuni, alla determinazione di altri e a una sorta di responsabilità collettiva riparatrice.
Nel pomeriggio, i giovani del paese che ne hanno fatto richiesta, si cimenteranno nell’arrampicata del ‘Maggio’. Detto cosi, sembrerebbe che si stia parlando di una ‘passeggiatina’, ma è qualcosa di talmente impegnativo, che soltanto le gambe e le braccia di chi si cimenta in quest’impresa potrebbero (se potessero) raccontare cosa si prova quando ci si trova abbracciati al ‘Maggio’, sospesi a mezz’asta, e a svariati metri da terra. E’ qualcosa che richiede nervi saldi, una forza di volontà ciclopica ed una resistenza da gladiatori.
Oggi non è soltanto l’ultimo giorno della cerimonia del ‘Maggio’, ma anche il giorno della Festa della Santissima Croce, nonché il momento in cui avverrà la ‘cerimonia del possesso’ che sancisce il passaggio di cariche tra i Mastri di Festa uscenti e quelli che ‘entreranno in ruolo’ nel 2025. Ufficialmente, in gran parte del nostro paese, il 14 settembre, si ricorda il ritrovamento della vera croce di Gesù (327 d.C.) da parte di sant’Elena; in quel giorno la reliquia sarebbe stata innalzata dal vescovo di Gerusalemme di fronte al popolo, che fu invitato all’adorazione del Crocefisso. Secondo la tradizione locale, Sant’Elena avrebbe portato una parte della Croce, non solo a Roma, e in quella che diventerà la basilica di Santa Croce in Gerusalemme, ma un frammetto del ‘lignum crucis‘ avrebbe raggiunto Pastena, per interessamento dei marchesi Casale del Drago, un tempo feudatari del paese. Nei secoli, questa festività ha poi incorporato anche la commemorazione del recupero, da parte dell’imperatore Eraclio, della Vera Croce, di cui si impossessarono i Persiani nel 628. Secondo l’usanza gallese, a partire dal VII secolo, la festa della Croce si teneva il 3 maggio. Quando le pratiche gallesi e romane vennero poi armonizzate, la data di settembre assunse il nome ufficiale di Trionfo della Croce per commemorare la riconquista della Croce dalle mani dei Persiani. Invece, la data di maggio fu mantenuta come Ritrovamento della Santa Croce, comunemente detta Invenzione della Croce. L’Inventio Sanctae Crucis (dal latino invenio: ritrovare), ovvero il Ritrovamento della Santa Croce -si è così, sovrapposto a quello dell’Esaltazione o Trionfo della Croce. Nel corso dei secoli, le due ricorrenze – percepite come complementari – sono state spesso unificate in un’unica data. In altri luoghi d’Italia (es. Pastena), dove sussiste una radicata devozione verso una particolare reliquia, il 3 Maggio, resta il giorno in cui si celebra sia la festa della Santissima Croce, che la processione con la statua di Sant’Elena. Nella celebrazione eucaristica di questo giorno, il colore liturgico è il rosso, il colore della Passione di Gesù che richiama appunto la Santa Croce, e che viene utilizzato anche il giorno del Venerdì Santo. In Oriente questa festa, per importanza, è paragonata a quella della Pasqua. E’ interessante notare che, anche in vari paesi dell’America Latina, sempre il 3 maggio, si celebra la cruz de mayo o fiesta de las cruces. In alcuni borghi italiani, con un profondo radicamento agro-pastorale, le cosiddette ‘croci di maggio’ venivano poste a protezione dei raccolti, invocandone la loro benedizione e la protezione dalla temutissima grandine (in determinate località, tale pratica ancora sussiste). Invece, la Custodia di Terrasanta celebra la liturgia del Ritrovamento della Santa Croce il 7 Maggio, per ricordare il miracolo avvenuto nell’anno 351, e cosi descritto dal Vescovo Cirillo di Gerusalemme: «a circa l’ora terza del giorno, una enorme croce formata di luce apparve nel cielo, sopra il santo Golgota».
Ma, adesso, dopo questo brevissimo ‘excursus’ storico, ritorniamo a Pastena che, pur trovandosi in provincia di Frosinone, appartiene alla diocesi di Gaeta. Oggi, 3 maggio, la mattinata è uggiosa, il cielo plumbeo sembra aver cancellato ogni sfumatura cromatica del paesaggio. Una pioggia sottile rintocca sugli ombrelli dei Mastri di Festa che, sostenendo un cero, si avviano verso la Chiesa di Santa Maria Maggiore, per partecipare alla solenne funzione ecclesiastica, presieduta dall’arcivescovo di Gaeta, Luigi Vari, celebrata da ben otto sacerdoti, animata dalla schola cantorum parrocchiale e con la partecipazione di autorità civili e militari. Purtroppo, a causa delle cattive condizioni metereologiche, si deciderà di posticipare la processione della Santa, a Domenica 5 maggio.
La pioggia intermittente, non fa desistere gli organizzatori della festa a procedere con l’ ‘Ascesa al Maggio’. A dare inizio a questo evento, è un uomo di media età, già veterano dell’arrampicata al ‘Maggio’ e che, in passato, era già riuscito a portare a compimento l’impresa. Armato di un panno e dell’immancabile cenere, contenuta in una borsetta a tracollo, l’uomo inizia a pulire il primo tratto del ‘Maggio’ dal grasso di cui è stato precedentemente cosparso, proprio per rendere ancor più ardua l’ascesa. E’ circondato dai giovani partecipanti che scrutano ogni suo movimento, osservando il tronco del ‘Maggio’ in ogni minima curvatura, sapendo di doversi confrontare, anche loro, con quel gigante alto 23 metri. Man mano che la coltre scura di grasso viene rimossa, appare nuovamente il colore rossiccio del tronco, di quello che fu un albero di Cerro, e che oggi è il ‘Maggio’. Non c’è increspatura del legno che possa sfuggire alle mani attente di chi, osservando e pulendo il ‘Maggio’, valuta innanzitutto se se stesso: ovvero, la propria idoneità ad un impresa che già si preannuncia al limite dell’impossibile. Tutti sanno che, pur eliminando lo spessore di grasso dal tronco, questo rimarrà comunque scivoloso, rappresentando una sfida costante anche per il più ‘scaltro’ e determinato degli ‘arrampicatori’. Ogni ‘arrampicatore’ che inizierà l’ascesa sarà sorretto, almeno per il primo tratto, dai propri compagni, che rimarranno immobile e rigidi come cariatidi usando spalle, teste e braccia nello sforzo di reggere il peso di quel corpo umano. L’unione dei corpi (di chi sostiene e di chi è sostenuto) è così promiscua che, a distanza, sembra quasi di vedere un solo busto con varie appendici coordinate in un unico sforzo: una strana creatura a più zampe, una sorta di grande ‘insetto stecco’.
Presto i volti puliti e baldanzosi dei giovani gareggianti, si anneriscono di cenere e fuliggine lanciata contro il tronco del ‘Maggio’, per renderlo meno sdrucciolevole, e che folate di vento rispediscono al mittente. Man mano che si procede verticalmente, le forze vengono meno; a raccontarlo sono i connotati dei volti di questi giovani, trasformati in smorfie di sofferenza: labbra contratte, occhi spiritati, denti stretti, capelli imbrattati di grasso e cenere, gambe e braccia che si serrano come delle morse intorno al ‘Maggio’, ma poi riscivolano lentamente verso il basso: un altro mezzo metro di grasso è stato asportato, adesso tocca la prossimo! Ma il ‘ritorno a terra’, indipendentemente da come sia andata l’ascesa, viene celebrato da applausi e grida di incoraggiamento e apprezzamento: Bravo Francesco! Sei stato grande Andrea! Grande Paolo! E via di questo passo; mai un fischio o un’ espressione di disappunto da parte del pubblico. Ogni gareggiante, indipendentemente dalla sua ‘performance’, riceve lo stesso numero di accorati applausi e grida di giubilo. Questa non è una gara tra concorrenti, ne’ tantomeno una competizione: ogni giovane che sale sul ‘Maggio’, rappresenta Pastena: un’intera comunità in ascesa, che incarna le speranze e le aspettative di ogni suo singolo cittadino. Non ci sono ne’ perdenti ne’ vincitori. Nessuno si arroga il vanto di conquistare il ‘Maggio’, ma tutti sono conquistati da questo. L’ultimo che riuscirà, finalmente, a raggiungere il ciambellone e alcuni doni appesi sulla sua parte più alta, dovrà essere grato a chi, prima di lui – centimetro dopo centimetro – è riuscito a rimuovere la coltre di grasso intorno al’Maggio’. Questa, quindi, non può chiamarsi una ‘gara’, è piuttosto una ‘cordata di solidarietà’, in cui ognuno tifa per l’altro, poiché tutti sono uno e ognuno gareggia per tutti. Non è un caso, infatti, che la busta contenente i ‘quattrini’, che il comitato dei Mastri di Festa consegnerà a chi porterà a termine l’impresa, servirà a pagare un pranzo al ristorante a tutti i ragazzi che hanno partecipato. Ecco, ancora una volta, la solidarietà del popolo pastenese manifestarsi in tutta la sua genuinità. Quando si dice in gergo: ‘li pastenese so’ de core’, non ci si sbaglia affatto! Finalmente, quando uno dei ragazzi riesce a raggiungere il dono ancorato al ‘Maggio’, è l’intera piazza che esplode in un lunghissimo applauso, tra gli spari dei fucilieri e le grida dei presenti. La gioia è tale che uno dei compagni di ascesa raggiunge sul ‘Maggio’ l’amico che ha superato l’impresa, vorrebbe abbracciarlo…ma è impossibile: i due si scambiano poche parole e condividono la commozione.
Anche l’Ascesa al ‘Maggio’ si è conclusa, ma la giornata non è ancora finita. C’è un’ultima pietra miliare, forse la ‘pietra d’angolo’ che farà da sigillo a tutte le fasi precedenti: la cerimonia del ‘possesso‘ che avverrà in chiesa, nella tarda serata. Di fronte all’altare, in due file di sedili separati, sono seduti i Mastri di Festa uscenti che riceveranno dal Parroco Don Luigi dei ceri, questi saranno accessi da Alberto (un ministro della chiesa) e poi passati ai loro successori. La novità è che il gruppo dei Mastri di Festa che si susseguiranno nell’anno 2025, sarà costituito unicamente da donne. Durante quest’intensa e toccante cerimonia, Don Luigi dice testualmente che “essere mastri di festa è una grande responsabilità ed è motivo di orgoglio, perché la croce deve essere l’orgoglio del Cristiano”, poi aggiunge che “lo spirito vero del mastro di festa è proprio questo: fare con amore tutto ciò che riguarda la croce di Cristo…portandola nelle rispettive case, nelle relazioni sociali, sul lavoro come testimonianza di fede, e soprattutto nel proprio cuore“. Al termine di questo discorso, il gruppo dei mastri di festa di quest’anno (uomini), scambia il proprio posto ed i ceri, con i mastri di festa dell’anno che verrà (le donne). Segue un momento di palese commozione, in cui Don Luigi ricorda i suoi dieci anni di ministero sacerdotale presso la comunità parrocchiale di Pastena, riconfermando il suo affetto profondo per i pastenesi e la stima immensa per il lavoro svolto dall’associazione “La Frontiera”.
Intanto, i Mastri Di Festa – seguiti dal resto dei fedeli – iniziano ad uscire dalla chiesa, mentre il suono del tamburo scandisce ogni loro passo: si procede, così – tutti insieme – verso al Casa del Mastro di Festa dove verrà offerto un ultimo rinfresco. Intanto, le donne si fanno già strada tra la folla con ceste traboccanti di dolci caserecci, che saranno offerti a tutti i partecipanti. Nella piazza, adesso, si respira’ quell’area tipica delle feste di paese, con giochi di luce, giostre e bambini che si rincorrono tra una bancarella e l’altra.
Le ultime ore passano così, nell’allegria collettiva, fino alla chiusura dell’ultimo ‘stand’ e allo svuotarsi progressivo del paese. Ma la documentazione di questa festa, in cui mi sono trovato immerso, non si ferma certamente qui. Ho ancora tanti quesiti irrisolti sul significato di alcune azioni svolte nel corso della cerimonia, sulla successione esatta di certi eventi, su cui ho appena sorvolato nel corso di due articoli precedenti: https://agenparl.eu/2024/04/17/lazio-un-nuovo-maggio-per-pastena-la-tradizione-si-rinnova/ e https://agenparl.eu/2024/05/07/lazio-pastena-fr-dalla-foresta-allacropoli-lo-straordinario-viaggio-del-maggio/
La festa è finita, ma ho ancora tante domande da fare agli amici pastenesi sui cambiamenti avvenuti negli anni, e che hanno modificato alcuni aspetti della pratica del ‘Maggio’ e su alcune leggende incredibili, tramandatesi di generazione in generazione. A tutto questo si aggiunge il tentativo di comprendere l’etimologia di alcuni vocaboli usati soltanto nell’ambito della festa, come il termine ‘scerpa’ (le offerte che vengono fatte da tutta la popolazione al Mastro di Festa per l’organizzazione della stessa e la preparazione dei dolci. In cambio di queste, viene dato un sacchetto di dolci con un’immaginetta della S:S: Croce). Ricordo di aver parlato del significato di questa parola con le donne addette alla preparazione dei dolci ma, fino a questo momento, nessuno è riuscito ad offrirmi alcuna informazione plausibile sull’origine del termine. Quindi, non mi resta che avanzare un ipotesi, del tutto preliminare. Credo che la parola ‘scerpa’ potrebbe derivare da un verbo usato molto raramente e, generalmente, in poesia: scer-pà-re (svellere, strappare; squassare, schiantare). Una parola che trova le sue radici nel verbo latino: excèrpere ‘estrarre’, derivato di càrpere ‘afferrare’ con prefisso ex- che indica separazione. Soprattutto nell’italiano antico, questa parola ha acquisito una grande forza espressiva. La ritroviamo nella Divina Commedia, ed esattamente nel canto XIII, dove – all’interno di una selva misteriosa – Virgilio chiede a Dante di spezzare un rametto da uno di quegli strani alberelli. Fatto ciò, il rametto rotto inizia a sanguinare, e ne fuoriesce una voce: «Perché mi scerpi? / non hai tu spirto di pietade alcuno? / Uomini fummo, e or siam fatti sterpi […]» È la selva dei suicidi, trasformati in pruni! Nel caso specifico, il verbo avrebbe, appunto, il significato specifico di ‘strappare’, ‘rompere’, imprimendo una certa forza all’azione. Ma quale rilevanza potrebbe avere tutto ciò, in riferimento alla ‘scerpa’ del ‘Maggio’, ovvero al dono offerto e ricevuto? Bene, credo che per trovare una risposta preliminare, bisogna far riferimento al significato originale dell‘excerp?re latino (comp. di ex- e carp?re «cogliere, prendere») che non implica necessariamente una speciale violenza, ma sicuramente una separazione netta. Infatti, lo ‘scerpare’ può acquisire connotazioni diverse dal semplice ‘strappare’ o ‘estirpare’; ad esempio può anche evidenziare l’atto di scegliere o fare pulizia: es. ‘scerpare le erbacce dal giardino’. Alcuni pastenesi mi hanno raccontato che, in passato, l’organizzazione della festa del ‘Maggio’, essendo questa molto onerosa, era gestita dalle persone più benestanti (i signorotti). Ognuno, poi contribuiva in base alle proprie capacità, e la ‘scerpa’ poteva consistere anche in offerte di legna per i forni, ma anche di farina, uova ed altri ingredienti fondamentali, in cambio di alcuni dolci da «cogliere/prendere». Mi domando allora se il termine scerpa, non sia stato utilizzato appunto per evidenziare una ‘separazione’ da qualcosa, soprattutto da parte di semplici famiglie di poveri contadini che, a quei tempi, avendo ben poco da offrire, attraverso l’offerta della ‘scerpa’, si privavano e si ‘separavano’ da alcuni beni di consumo, vitali alla sussistenza delle loro stesse famiglie. Ma, ovviamente, anche questa interpretazione è del tutto provvisoria e va presa – necessariamente – con ‘le pinze’. Bisognerà comunque continuare ad indagare sull’etimologia del termine ‘scerpa’, come su quella di tante altre parole dialettali; proverò a farlo nei mesi che seguiranno.
Intanto, la notte e il suo silenzio sono scesi nuovamente su Pastena. Guardando il ‘Maggio’ che svetta maestoso, li nell’acropoli, la mia mente – come un moviola settata all’indietro – ripercorre tutti i passaggi di un viaggio straordinario, forse al limite dell’ impossibile. Penso all’immane fatica che i mastri di festa, e parte della popolazione, hanno dovuto affrontare, penso alle decine di mani laboriose di donne determinate che mai hanno mai smesso di impastare e infornare i loro dolci, penso alle mucche bianche sfinite e alle urla d’incitamento dei bovari, penso ai volti sudati, imbrattati di cenere e grasso dei tanti giovani che, durante la salita del ‘Maggio’, pur se all’estremo delle loro forze, non si sono mai lasciati sfuggire il benché minimo lamento. Penso anche a come mia figlia Emilia, di 12 anni – che mi ha accompagnato in questa incredibile avventura – metabolizzerà questo universo di suoni, parole, gesti e sensazione e come elaborerà tutto ciò, in un futuro a venire. Penso poi alla fede, all’altruismo, ospitalità e affabilità di questa gente, semplice e magnifica, che non contando su nessuno se non su loro stessi, hanno permesso – ancora una volta (prendendosene tutta la responsabilità!) che il passato potesse divenire nuovamente presente; rinnovandosi – così – attraverso un’intera comunità in cammino. Penso poi di essere stato anch’io un ‘privilegiato’, perché parte di un qualcosa di profondamento straordinario che nessuno sarebbe in grado di replicare, se non la gente stessa che ha fatto del ‘Maggio’ e della Santissima Croce, l’emblema della propria identità: la congiuntura unica tra natura, cultura e spiritualità.
Dario Novellino, PhD. è antropologo e difensore dei diritti umani ed ambientali












