
[lid] Ieri a Torino si è conclusa la mostra “Africa. Le collezioni dimenticate” allestita nelle sale Chiablese dei Musei Reali.
Alberto Alpozzi, reporter e saggista, a novembre aveva rilevato diverse imprecisioni e omissioni che obbligarono i curatori ad ammettere gli errori, scusarsi e a cambiare un pannello.
Così Alpozzi ha commentato la fine dell’esposizione: «Sale semi deserte a qualunque ora del giorno. L’affluenza è stata bassissima. E non lo dico io ma i numeri resi noti sino ad oggi sul sito dei Musei Reali: nei primi due mesi (27 dicembre – 31 dicembre) vi sono stati appena 2.870 visitatori. Poco più di 40 al giorno. Nel periodo Natalizio (23 dicembre – 7 gennaio) sono state dichiarate 41.000 presenze al polo dei Musei Reali, da cui si deduce che solamente circa 700 persone abbiano deciso di visitare la mostra coloniale.»
«L’ufficio stampa dei Musei Reali e gli organizzatori, interpellati, non mi hanno fornito i dati aggiornati – prosegue Alpozzi – ma è bastato sfogliare il libro delle firme per notare come il numero dei commenti sia rimasto costante nei quattro mesi: una media di 6 firme/commenti al giorno per novembre, 7 a dicembre per poi scendere a 5 gennaio e 4 febbraio. Da cui in via ottimistica possiamo supporre che il numero dei visitatori totale abbia a malapena superato le 5.000 presenze.»
«Ma non solo la mostra è stata un insuccesso – rimarca Alpozzi – scarsamente seguiti anche gli eventi promozionali a latere: la performance di danza sperimentale con Melaku Belay è stata annullata; il concerto di Mulatu Astatke è stato rinviato a data da destinarsi ed anche il il talk CinAfrica è stato rinviato anch’esso a data da destinarsi.»
«Se la verità paga, le bugie, è chiaro non hanno dato i risultati sperati – spiega sempre Alpozzi – la mostra è stata squilibrata, approssimativa e per lo più non aderente ai fatti storici. L’intera messa in scena ha dovuto infatti scongiurare la minaccia che i documenti dimostrassero i progressi realizzati nelle colonie dall’Italia: amministrazione della giustizia, contenimento guerre intertribali, abolizione della schiavitù, controllo delle carestie, libertà di culto, agricoltura moderna, cura epidemie e malattie endemiche, costruzione di vaste reti stradali e ferroviarie, sistemi irrigui, bonifiche e istruzione gratuita per tutti.»
«Infatti a novembre – ricorda Alpozzi – l’allora direttrice, Enrica Pagella, e la curatrice, Elena De Fillippis, si scusarono e ammisero un grossolano errore da me segnalato (oltre a diversi altri) sul pannello della Somalia che definiva gli italiani schiavisti, quando invece l’Italia non solo abolì la schiavitù ma introdusse contratti di lavoro. La direzione dovette cambiare il pannello.»
Conclude Alpozzi: «Finalmente anche un’istituzione prestigiosa come i Musei Reali si è dovuta attenere ai fatti e sconfessare le mistificazioni di Del Boca in “Italiani, brava gente?”.»
Anche se Cecilia Pennaccini, co-curatrice, in disaccordo con la verità ammessa dalle colleghe, anziché argomentare sull’errore attinente la Somalia del 1923 cambiò luoghi e anni tergiversando sull’Etiopia del 1936 pur di non scusarsi e difendere i testi, da anni già sconfessati, di Angelo Del Boca.»
In un recente articolo su “Il Torinese” Pier Franco Quaglieni, direttore e fondare del Centro Pannunzio, ha dichiarato: “Non ho mai stimato Angelo Del Boca che senza titoli accademici di sorta ha scritto un sacco di libri che ritengo poco documentati e fortemente ideologizzati”. Commenta Alpozzi: «Quaglieni, giova ricordarlo, nel 1985 fu candidato indipendente del Partito Comunista Italiano. Chiaramente la sua affermazione ci fa comprendere quanto sostengo da tempo: fare ricerca sulla storia della colonizzazione italiana non è una lotta tra destra e sinistra, ma tra vero e falso. La storia non ha ideologia. O almeno non dovrebbe averla e i risultati della mostra lo hanno insegnato.»
