(AGENPARL) – mar 09 gennaio 2024 *Stefano, un altro ragazzo che si è tolto la vita in carcere*
*di Manuela Mezzacasa, volontaria di Granello di Senape-AltraCittà presso
la biblioteca della reclusione Due Palazzi di Padova*
Mi ha chiamato ieri sera Rossella, una volontaria della biblioteca, per
dirmi che Stefano Voltolina si è suicidato al Due Palazzi, dove era
ristretto da pochi mesi, al primo piano. Doveva avere 26 o 27 anni.
L’ultima volta che l’ho intravisto, era lui, camminava mestamente davanti a
me nel corridoio con un agente, ma quando sono arrivata davanti al cancello
erano spariti. L’avevo riconosciuto dalla camminata e dalla figura,
piuttosto massiccia.
In biblioteca invece mi avevano colpito lo sguardo e il modo di muoversi:
erano arrivati in due, l’altro piuttosto sguaiato, lui taciturno, mi aveva
fatto tornare in mente un mio alunno delle medie di tanti anni prima. Poi
qualche frase e ci siamo riconosciuti. “Prof, ma aveva i capelli lunghi e
biondi…” Già, e lui era un ragazzino molto speciale.
Ci era capitato tra capo e collo all’inizio dell’anno, affidato a una casa
famiglia del Villaggio S.Antonio, la scuola media dove inserirlo era la
nostra. Alla prima riunione con l’équipe mi ero veramente arrabbiata: come
potevano immaginare che saremmo stati in grado di gestire un caso così
impegnativo… Mai frequentato regolarmente la scuola, nessuna idea di cosa
fosse un qualsivoglia regolamento, ecc…ecc…
Eppure… Anch’io sono scappata da scuola in seconda elementare, forse
qualcosa mi avvicinava a lui, o era lui a farsi benvolere. E’ stato mio
alunno per due anni, prima e seconda media, alla fine ce l’avevamo quasi
fatta. Certo, ogni tanto usciva dalla classe e allora… inseguimenti per i
corridoi e le scale, molto pericoloso, ma i ragazzi della Santini non si
sono mai divertiti tanto. Decidemmo di essere sempre in due, per non dover
abbandonare lui o gli altri; il preside stava in classe con noi nelle ore
senza insegnante di sostegno. Poi l’abbiamo bocciato, devo dire così perché
il voto è di maggioranza, ma ovviamente non ero d’accordo.
Così l’anno dopo lui aveva perso i compagni, che nel frattempo gli si erano
affezionati, e gran parte degli insegnanti. Un giorno, durante una lezione,
vedo i ragazzi di fronte a me irrigidirsi e guardarmi con occhi spalancati.
“Ragazzi, cosa succede?” “Prof, c’è Stefano…” Seguo i loro sguardi e lo
vedo, fuori dalla finestra, sul cornicione che collegava tutto il primo
piano della facciata. Era venuto a salutarci, uscendo dalla finestra della
sua aula e raggiungendo la nostra, ci sorrideva, questo era Stefano. Ma chi
era Stefano?
Spesso mi aveva parlato di sé e della sua famiglia, veniva da Chioggia, suo
padre pescatore. (“Prof, ma non sa cosa sono *le tegnue*?”) Il suo mondo
erano il mare e un cantiere di sfasciacarrozze dove passava le giornate con
una banda di ragazzini, invece di andare a scuola. Lui sapeva più di me,
senza dubbio. Scriveva bene, era sveglio, curioso, buono, si può dire?
Ho conosciuto la madre e il padre, gli volevano bene, non ce la facevano a
stargli dietro, non ricordo quanti figli avessero. Certo Stefano per due
volte riuscì a raggiungere Chioggia in bicicletta, fuggendo dalla casa di
Noventa Padovana. Mi diceva “Non vedo l’ora di avere diciotto anni” “E cosa
farai?” Rideva “Torno a Chioggia”.
Con i miei alunni avevamo un’abitudine, se avevano trovato un libro
interessante potevano consigliarlo a me e ai compagni. A Stefano avevano
regalato l’autobiografia di una velista che a diciotto anni aveva
circumnavigato in solitario, vincendo la competizione. Non so se l’avesse
letta davvero, ma me la portò. Ero scettica, ma la lessi e mi piacque molto.
Ecco, in mezzo ai libri ci siamo ritrovati, per poco. Tre volte è sceso in
biblioteca durante il mio turno: abbiamo parlato, dei suoi progetti, la
musica, la scrittura. Il secondo giovedì si interessò al concorso di poesia
che stava per scadere; con la collaborazione di Enrico riuscimmo a spedire
per il rotto della cuffia una poesia dedicata a una ragazza. Il ritmo era
giusto, diedi solo qualche aggiustatina con il suo consenso, spero si possa
recuperare.
Il terzo giovedì mi portò tre fogli scritti a mano, con riflessioni
filosofiche (se non sbaglio la settimana prima aveva preso un testo di
Nietsche): volle che le leggessi insieme a lui, lo facemmo. Gli chiesi
spiegazioni di varie espressioni, e lui mi diede le sue risposte.
Stamattina, riguardando i fogli che lui insistette per lasciarmi, con mio
marito concordammo che erano un collage di frasi selezionate da testi
filosofici, quelle che lo avevano colpito, credo, in cui si riconosceva.
Ci lasciammo con un piccolo progetto di lavoro a tre: Tiziano avrebbe
raccontato le sue storie, Stefano le avrebbe scritte (“Io non me la sento
di raccontare la mia storia”, “Ma non ti preoccupare, tu scriverai le
storie che Tiziano racconta”, “Allora ok”), io avrei fatto il mio mestiere
di correttrice. Mi piaceva, apriva una prospettiva diversa anche al mio
ruolo lì dentro.
Non l’ho più rivisto.
Cosa posso dire adesso? Abbiamo fallito, come altre volte. Facciamo almeno
qualcosa per non dimenticarcelo, il nostro fallimento. Di lui, di Stefano,
io non mi potrò mai dimenticare.
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