
(AGENPARL) – ven 28 luglio 2023 Piccolo
dizionario
(immaginario)
delle ragazze
e dei ragazzi
Piccolo
dizionario
(immaginario)
delle ragazze
e dei ragazzi
Abbiamo chiesto alle ragazze e ai ragazzi delle Scuole secondarie
di I grado, con il prezioso contributo dei loro insegnanti, di scegliere
le parole più importanti, urgenti o soltanto curiose, per raccontarsi,
per dire chi sono e come è il mondo visto attraverso i loro occhi.
Una buona occasione per un confronto con la lingua italiana. Infatti,
il compito assegnato (sviluppare i propri pensieri sulla falsariga delle
definizioni del dizionario) ha reso necessario capire come la lingua
si può analizzare da diverse prospettive (grammatica, etimologia,
semantica, uso popolare o specialistico…).
Ecco allora riunito un Piccolo Dizionario (immaginario) delle
ragazze e dei ragazzi, dove la definizione canonica del vocabolario
è il punto di partenza per fare una riflessione, esprimere un desiderio,
lanciare una speranza.
Le parole selezionate, presentate dalla A alla Z, diventano anche un
atlante affettivo, una spia dell’attenzione, per orientarsi e magari per
guardare al futuro. Giuseppe Antonelli, che ha dato il suo contributo
nella fase propedeutica, ritornerà a pordenonelegge per ascoltare la
lettura di alcune voci e commentarle insieme alle classi che le hanno
proposte.
È un’opera collettiva, che condivide uno schema di base – necessario
a identificare la parola -, ma che offre volta per volta un apporto
di libertà e di spirito creativo. Abbiamo conservato perciò anche le
differenze: il risultato appare meno uniforme ma ripaga con il senso
di una partecipazione sentita.
Hanno aderito all’iniziativa:
Scuola “E. Fermi” (IC Cordovado)
Bagnarola di Sesto al Reghena
Classe 2^ A
Prof.ssa Anna Pighin
Scuola Secondaria di Primo Grado di Cordovado
Cordovado
Classe 2^ A
Prof.ssa Loretta Facchina
Classe 2^ B
Prof.ssa Samuela Fontanel
Istituto comprensivo Paolo Bagellardo
Scuola secondaria di Primo Grado Dante Alighieri
Fiume Veneto
Classe 1^ A
Prof.ssa Emanuela Vendrame
Classe 1^ B
Prof.ssa Vitalba Martin
Classe 1^ C
Prof.ssa Stefania Bellotto
Classe 1^ D
Prof.ssa Maria Luce Giliberto
Classe 2^ B
Prof.ssa Lisa Funghi
Classe 2^ C
Prof.ssa Chiara Santarossa
Classe 2^ D
Prof.ssa Lucia Cecere
Istituto comprensivo R.L. Montalcini
Scuola secondaria di Primo Grado I. Svevo
Fontanafredda
Classe 2^ A
Prof.ssa Alessandra Gabelli
Classe 2^ B
Prof.ssa Rosanna Trevisan
Classe 2^ D
Prof.ssa Monia Piasentier
Classe 2^ E
Prof.ssa Silvia Ernandes
Scuola Secondaria di Primo Grado Centro Storico
Pordenone
Classe 1^ C
Prof.ssa Francesca Foglia
Classe 2^ A
Prof.ssa Jessica Botti
Classe 2^ B
Prof.ssa Anna Rita D’Addetta
Classe 2^ D
Prof.ssa Maria Tramontana
Scuola secondaria di Primo Grado “Pier Paolo Pasoliniâ€
Pordenone
Classe 1^ A
Prof.ssa Vittoria Possagno
Classe 1^ D
Prof.ssa Marika Stocco
Classe 1^ E
Prof.ssa Martina Maso
Classe 1^ F
Prof.ssa Roberta Santambrogio
Classe 2^ A
Prof. Gaetano Di Bernardo-Amato
Classe 2^ B
Prof.ssa Patrizia Turchetto
Classe 2^ C
Prof.ssa Carmela Profeta
Classe 2^ E
Prof.ssa Lionella Modolo
Classe 3^ A
Prof.ssa Doris Carpenedo
Classe 3^ F
Prof.ssa Antonella Montagner
A, a
altaléna
altaléna, [/alta’lena/], /al·ta·lé·na/ s. f. [¶ dal lat. «tolleno», sec.
XIV]. 1. Gioco infantile consistente nel far oscillare avanti e indietro, standovi seduti, un sedile appeso a due funi o facendo
alzare e abbassare ritmicamente un’asse su un fulcro. 2. (fig.) Alternanza di aspetti o di stati d’animo contrastanti. 3. Il termine è
composto da due parole: l’aggettivo “alta†si può associare ai momenti di fragilità della vita, quando sono presenti ostacoli insormontabili. La soluzione però emerge dalla seconda componente
del termine, “lenaâ€, che indica la vigoria, l’energia nell’affrontare
i periodi bui. Immaginiamo un’altalena “allegoricaâ€, che rappresenta l’avventura del nostro esistere. Da piccoli la spinta verso
l’alto è fornita dai genitori, che ci danno sempre un aiuto morale
nelle necessità . L’altalena allora ci porta in alto, veloce e senza pensieri, in modo semplice ed immediato. Mano a mano che
cresciamo impariamo a spingerci da soli, o con l’aiuto di amici, acquisendo maggiore autonomia, iniziando a respingere il
supporto dei genitori, fondamentale nel corso della nostra vita.
Desideriamo “giocare†in compagnia e vedere rispettati i nostri
spazi e i nostri desideri: toccare il cielo con i piedi librandosi liberi nell’aria fino a raggiungere i nostri sogni.
amicizia, [/ami’tʃitsja/], /a·mi·cì·zia/ s. f. [¶ dal lat. amicitia, ami-
cum, amicitiam, affetto vivo e reciproco fra due o più persone,
der. di amicus «amico»]. 1. In senso generale è un affetto vivo e
reciproco tra due o più persone. Un vecchio proverbio la definisce “tesoro†e forse ha ragione. È un rubino. Un puzzle composto
A, a
amicizia
da pochi pezzi che si incastrano in maniera assurda, un mantello
pazzesco con i superpoteri che ti protegge. 2. Si stringe o si rompe, si costruisce o si guasta. Ti calma se è vera, ti fa stare bene se
è reciproca, non la cerchi solo tu, Ci vediamo?, Hey, come stai?.
Oppure non vi dite niente, eppure vi siete capiti a meraviglia. Vi
raccontate una biblioteca di storie e ti sembra che sia passato un
secondo, balli in un modo pazzo e sai che lo puoi fare, è brutto
tempo ma non importa. Per me è soprattutto un gioco insieme,
per te è un mare di messaggi per cercarti, per lui è passare insieme più tempo possibile e immaginabile senza dover indossare una maschera, spesso una sfida. Abbiamo capito che qualche
volta ti può tradire; e lì senti un distacco, una cicatrice. Attenti quindi al “falso amico†e al “fuoco amicoâ€, che sono per certi
aspetti la stessa cosa. Dicono pure di stare attenti alle amicizie
virtuali, sconosciuti che potresti ritrovarti online, ma a noi piace
l’amicizia vera, quella in carne e ossa, che magari, sì, ti cerca anche online, ma tu sei che è proprio lui. 3. L’amicizia è una forma
di rispetto verso l’altro perciò non bisogna tradire chi si fida di
noi. Per tale motivo l’amicizia comprende in se stessa anche la
fedeltà e la fiducia ◊ Sin. confidenza, affinità . Contr. inimicizia,
avversione.
amóre, [/a’more/], /a·mó·re/ s. m. [¶ dal lat. amor -Åris, affine ad
amare]. 1. Sentimento che unisce due persone che si vogliono
bene; può essere platonico se spirituale o può far male quando
non è ricambiato. Centro della vita di molti, sicuramente parola
frequente in tante canzoni. Ne sentiamo parlare, ci affascina, ma
non lo capiamo al 100%. Noi lo intendiamo come affetto verso
i parenti, per un gioco, per un animale, per una città o per uno
sport. L’amore per un’altra persona l’abbiamo sperimentato in
pochi; infatti abbracciare, baciare, perdersi in un altro sono azioni che abbiamo solo sognato o visto in un film. Pensiamo che
dovrebbero servire 200 grammi di batticuore, 150 grammi di “Se
non ci sei ti pensoâ€, un pizzico di pazzia, una manciata di paure, 50 grammi di fantasia per far capire “Sei importanteâ€, forse
qualche messaggino, casino dentro di te q.b. “Ce lo immaginiamo
A, a
amóre
come un filo che ti tira verso qualcosa, che ti lega ma non ti stringe, che ti fa stare bene come non credevi neanche tu. Una luce.â€
à nsia, [/›ansja/], /à n·sia/ s. f. [¶ dal lat. tardo anxia, der. di anxius
«ansioso»]. 1. Preoccupazione che arriva nel momento in cui si
fa o si deve fare qualcosa che ci spaventa o preoccupa come una
verifica o una competizione sportiva. Stato di agitazione dovuto
a incertezza o attesa per qualcosa di importante. Provoca malessere fisico e mentale. 2. L’ansia da prestazione consiste nella
paura di affrontare una difficoltà scolastica o sportiva da parte
di un ragazzo/a che ritiene importante il successo. L’ansia sociale provoca disagio e paura quando vi è la possibilità di essere
giudicati dagli altri, per timore di mostrarsi imbarazzati, di apparire ridicoli, sia in momenti felici che tristi; a volte l’ansia può
farci sentire sbagliati e inadeguati. â—Š Sin. agitazione, apprensione, preoccupazione, trepidazione, affanno, angoscia, tormento,
afflizione, depressione, tristezza, timore. Contr. calma, flemma,
rilassatezza, serenità , tranquillità , allegria, gaiezza, letizia, indifferenza.
B, b
bianco
bianco, [/bià n·co/], ‘bjaŋko agg. [¶ dal germ. blank «bianco» in
orig. «lucente» sec. XII] (pl. m. – chi). 1. Che ha colore chiaro; simile a quello del latte o della neve. 2. Tutti alla nascita siamo
candidi e immacolati. Poi, con il passare del tempo, ci tingiamo
di passioni, emozioni, esperienze. Ma cosa significa bianco per
noi? Nei momenti di apatia è uno spazio vuoto, privo di toni. Altre volte è come il pastello di una canzone a noi cara, il pastello bianco con cui scriviamo i nostri segreti, ma aspettando che
qualcuno venga a colorarli. Proprio come la pasta in bianco: ci
piacerebbe senza intingoli? Dipende. 3. La vita è così: possiamo
far prendere un diverso sapore alla nostra esistenza, a seconda
delle nostre scelte. Ma non è sempre necessario riempire il bianco perché comprende, già da sé, i sette colori dell’iride, anche se
nascosti.
borrà ccia, [/bor·rà c·cia/], /bo’r:atʃ:a/ s. f. [¶ dal sp. borracha, «fia-
sca di cuoio»]. 1. La borraccia è un recipiente che serve a contenere acqua o altri liquidi. Abbiamo iniziato a usare la borraccia soprattutto durante l’epidemia del Covid-19, perché ognuno
doveva bere da una propria bottiglia. Noi, però, la usiamo anche come arma di offesa, per esempio contro i nostri fratelli e
compagni, quando ci danno fastidio, oppure come strumento di
difesa per scappare dalle interrogazioni, nel momento in cui andiamo a riempirla durante le ore di lezione. Utilizziamo la b. per
flexarla, ovvero per vantarci, davanti agli amici o ai compagni:
infatti negli ultimi tempi la borraccia è diventata quasi uno status symbol e indica il benessere o l’essere alla moda di una certa
persona. Questa parola può essere usata come metafora per indicare il fatto che certe volte ci portiamo dietro tante emozioni:
es. b. di attenzioni, b. di emozione, b. di tristezza.
bugìa, [/bu·gì·a/], /bu’dʒia/ s. f. [¶ dal provenzale bauzia, di origi-
ne germanica]. 1. Termine usato per indicare qualcosa di falso,
detto o espresso volontariamente per interessi personali: L’alunno ha detto una bugia al professore per non ricevere una nota.
2. La bugia è senso di colpa. Sappiamo che stiamo dicendo una
B, b
bùgia
falsità , ma ci sentiamo obbligati dalle circostanze oppure lo vogliamo e basta, per un nostro vantaggio o per quello di altri. In
alcuni casi ci pentiamo di quello che abbiamo detto e ci chiediamo: “abbiamo fatto la cosa giusta?†No, non l’abbiamo fatta.
Ci vergogniamo, ma se potessimo tornare indietro rifaremmo la
stessa cosa: La loro amicizia è stata una bugia, Giacomo è vissuto in mezzo alle bugie, Le bugie fanno ingrassare. 3. Striscia di
pasta dolce fritta che si mangia nel periodo di Carnevale: I crostoli a Torino vengono chiamati bugie. ◊ Sin. falsità , menzogna,
frottola, invenzione. Contr. verità , vero.
bùio, [/bù·io/], /’bujo/ agg e s. m. [¶ der. del lat. burius «rosso scu-
ro», probab. con rifer. al colore del cielo subito dopo il tramonto del Sole]. 1. Buio è una parola enigmatica, dai vari significati
e con diverse accezioni. Il buio è l’assenza di luce e, per estensione, indica la mancanza di qualcosa o uno stato d’animo. 2.
Metaforicamente può essere un momento in cui non si vedono
risultati, di declino. Al buio si avverte una sensazione di solitudine, paura, tristezza, come se si stesse per perdere qualcosa o
qualcuno. Ci si sente all’oscuro di quello che accade, confusi, in
preda a un brutto momento per la mancanza di affetto e di punti di riferimento. 3. Il buio si associa alla notte, quando il giorno sembra non arrivare mai: di notte non si vedono le cose per
quello che sono, c’è oscurità nella propria mente perché soffocati dai problemi, dalle preoccupazioni e dall’ansia. 4. Affrontare il
buio significa saper stare da soli e trovare il coraggio di superare
le proprie paure; comprendere che dopo appare sempre la luce,
lasciando una sensazione di speranza, un senso di pace, un momento per riflettere.
C, c
chiave
chiave, [/chià ·ve/], /‘kjave/ s. f. [¶ dal lat. clavis, che a sua volta de-
riva da claudere, ossia «chiudere»]. 1. La chiave è un oggetto piccolo che spalanca o blocca. 2. Può chiudere in un posto sicuro le
cattive esperienze, anche se non ha il potere di farle dimenticare
del tutto e può aprire realtà fantastiche della mente; se per caso
la si perde, svanisce di colpo il mondo scoperto in precedenza
e lo si potrà osservare solo dalla serratura. Se invece si smarrisce la chiave dei sentimenti di una persona, può capitare di non
riuscire a capirla più. 3. La chiave è un simbolo usato anche in
musica: indirizza la collocazione della nota sol e cambia la posizione delle altre. Viene posto all’inizio del pentagramma e ne
apre metaforicamente la serratura, facendo uscire le note come
sono state pensate dal compositore, seguendone in maniera rigorosa l’ordine e sprigionando la melodia. 4. La chiave è anche
una soluzione a un problema, una lettura diversa delle difficoltà ,
il lampo di genio che porta alla svolta decisiva da affrontare.
classe, [/clà s·se/], /‘klasse/ s. f. [¶ prob. di origine etrusca]. 1. La
classe è il raggruppamento degli alunni di una scuola secondo
il grado di studio o la materia. 2. Ecco alcune espressioni in cui
la parola è usata: essere promossi alla quinta classe (noi invece speriamo di essere promossi alla terza!), la classe di francese,
una classe difficile, primo della classe. 3. Altri termini usati come
sinonimi sono gruppo e insieme, che a nostro parere esprimono al meglio il concetto di unione che c’è in classe. 4. Per noi
però è una parola che ne racchiude due: è infatti il luogo fisico
dove passiamo più di duecento giorni all’anno ed anche il gruppo dei compagni e delle compagne. 5. Per starci bene una classe
deve essere accogliente, allegra e piena di amici e amiche gentili,
sempre pronti ad aiutare in caso di bisogno. È come una seconda
casa dove trascorriamo una buona parte delle nostre giornate e
dove si condividono esperienze ed emozioni. Una classe è unione, supporto, amicizia.
clessidra, [/cles·sì·dra/], /kles’sidra/ s. f. [¶ dal lat. clepsydra e dal
greco
κλεψÏδÏα, klepsydra composto da κλÎπτω kleps «ruba-
C, c
clessidra
re»e á½•Î´Ï‰Ï ydra «acqua»]. 1. Orologio usato nell’antichità , composto da un vaso contenente originariamente acqua, come dice
il nome, e poi sabbia. Questo strumento si svuota gradualmente,
così da capire il tempo trascorso. 2. La clessidra è un simbolo
che ricorda svariate cose, concrete e astratte. 3. Osservandola
notiamo che la forma ricorda un otto, il numero dell’equilibrio
cosmico e, se poi la giriamo di novanta gradi, assume la forma
del simbolo dell’infinito, facendoci pensare a un incessante passaggio del tempo, a un ciclo che non ha fine. 4. Capovolgendola,
la sabbia ricomincia a scorrere, come se il tempo al suo interno
si rinnovasse. Fa pensare anche a un tempo rubato al Tempo,
che dobbiamo prendere per noi, metterlo a frutto, poiché tutto
ha un inizio e una fine, insegnandoci a cogliere l’attimo. “Carpe
diemâ€, dicevano i Latini. 5. La sabbia depositata sul fondo è il
nostro tempo passato, quella rimasta in alto, e che scende pian
piano, è il nostro tempo che verrà e che si costruisce e fluisce
sotto i nostri occhi.
confìne, [/con·fì·ne/], /kon’fine/ s. m. [¶ dal lat. confine, 1269. Neu-
tro dell’agg. confinis «confinante», comp. di con- e del tema di
finire «delimitare»]. 1. Linea di delimitazione di due proprietà ,
territori, possedimenti. Limite, termine, frontiera, delimitazione
convenzionale del territorio di uno Stato. Può essere naturale,
un elemento del territorio (un fiume, la cresta della montagna,
ecc.) o fissato convenzionalmente su basi storico culturali: dato
dalle diversità delle lingue o dei dialetti, da fattori biologici. 2.
Segno di delimitazione: segnare, spostare. 3. Il confine per noi:
3a. Può essere un traguardo da raggiungere 3b. Qualcosa che le
altre persone non possono sapere di me 3c. Spazio che ognuno
di noi crea attorno a sé e non va valicato (reale o figurato) 3d. Limite che non si vuole o non si sa ancora superare 3e. Può trasformarsi nel suo opposto, con un po’ di fantasia: con- (insieme)+
fine- (finalità . Obiettivo).
confronto, [/con·frón·to/], /konˈfronto/ s. m. [¶ dal lat. mediev.
cum e frons, frontis, sec. XIV]. 1. Considerazione di due o più
C, c
confronto
termini di paragone, valutando somiglianze e differenze. Essere
disposti al c. significa stare l’uno davanti all’altro, guardandosi
negli occhi. 2. Sinonimo di dibattito, implica coraggio e disponibilità . Può essere costruttivo, ma anche imbarazzante poiché
viviamo in una società competitiva. Perché si realizzi occorrono collaborazione, obiettività , autocritica, per riuscire ad aprirsi
verso nuove prospettive, condividere e quindi essere empatici.
Dopo un confronto non dovremmo cercare un vincitore e uno
sconfitto, perché vinciamo sempre se impariamo. Se reggiamo al
confronto vuol dire che siamo capaci di sostenerlo, riconoscendo le nostre debolezze e i punti di forza. Talvolta lo temiamo o
non siamo del tutto convinti della sua efficacia, ma ciò equivale
a rinunciare ad un’interessante opportunità , spesso ad un aiuto.
coordinazione, [/ko:rdina’tsjone/], /co·or·di·na·zió·ne/, s. f. [¶ dal
lat. tardo coordinatio-onis, der. di ordo-dÄnis «ordine», col pref.
co-]. 1. L’opera di coordinare, l’essere coordinato: il termine si riferisce all’azione di stabilire un ordine, una sincronia armoniosa
tra più elementi per raggiungere degli obiettivi comuni. La parola “ordine†viene rafforzata dal prefisso “con†che indica unione,
stare insieme. È un’intesa all’interno di un gruppo, di una classe
di ragazzi, di una squadra, di un team di lavoro, di una comunitÃ
di persone. 2. La coordinazione non è facile, perché si realizzi bisogna conoscersi, frequentarsi, parlarsi, ascoltare il pensiero degli altri. Non può esserci coordinazione solo rispettando leggi e
regole, perché tutte le parti devono sentire e volere l’obiettivo da
raggiungere, non può essere imposto. Questa è una parola che ci
fa sentire uniti, amici, legati tra noi per creare qualcosa di bello.
costellazione, [/co·stel·la·zió·ne/], /kostel:a’tsjone/ s. f. [¶ dal lat.
tardo constellatio-onis, der. di stella «stella»]. 1. In astronomia la
costellazione è un raggruppamento apparente di stelle nella volta celeste. Gli antichi marinai e gli uomini primitivi le utilizzavano per orientarsi e per rassicurarsi nella strada verso casa; le costellazioni sono state il primo “navigatore satellitareâ€, indicante il
cammino di ritorno. 2. In alcuni miti cosmogonici le costellazioni
C, c
costellazione
sono state create dopo le stelle, dopo la terra e il mare, come se
le forme immaginate avessero bisogno di tempo per emergere e
spazio per evolvere. 3. Con questi aggregati di stelle nel corso dei
secoli, attraverso la fantasia, sono state create figure immaginarie di animali, persone e oggetti e ancora oggi noi uomini moderni possiamo ricavarne letture fantastiche. 4. Le costellazioni
si trovano in tutta la galassia e se fossero osservate anche da altri
esseri viventi, che nemmeno l’uomo conosce, con tutta probabilità ne darebbero interpretazioni distanti dalle nostre.
D, d
deserto
deserto, [/de·ṣèr·to/], /de’zɛrto/ s. m. [¶ dal lat. desertus, a sua
volta derivato da deserere «abbandonare»]. 1. A livello geografico,
il deserto è un’area di alta pressione atmosferica da cui le masse
d’aria si allontanano; è perciò un terreno arido e con scarsa vegetazione. 2. Alternativamente, il deserto può significare un luogo
non abitato da esseri viventi. La parola deserto non è solo un sostantivo ma anche un aggettivo con il significato di “solo, abbandonatoâ€. 3. In senso figurato, quando si pensa a deserto si pensa
ad un luogo di solitudine e desolazione, dove si prova tristezza.
4. Questa parola, però, può essere intesa anche come un luogo di
riflessione solitaria: l’immensità e il silenzio del deserto costringono chiunque alla riflessione e a liberarsi dal manto di superficialità che copre quello che non si vuole mostrare agli altri.
dormire, [/dor·mì·re/], /dor’mire/ v. intr. [¶ dal lat. Dormire sec.
XIII]. 1. Facendo un po’ di ricerche abbiamo visto che il termine
in realtà è più antico, infatti deriva da una parola indoeuropea.
Nella lingua italiana compare per la prima volta in un documento del 1250. 2. Questo verbo è usato solitamente con significato
intransitivo: questa notte ho dormito sul divano; ma può essere
usato anche come transitivo: dormire sonni tranquilli 3. Questa
parola è piaciuta quasi a tutti e vogliamo riportare le espressioni
che ci hanno colpito di più perché le sentiamo spesso. Dormire
sulle nuvole = essere distratti; Genio? No, ha solo dormito meglio
= riposare; Dormi sonni tranquilli = dormire senza problemi; 4.
Qualche citazione che ci è piaciuta: Per chi accende il giorno e
invece di dormire con la memoria torna (canzone di U. Tozzi),
Morire, dormire. Dormire, sognare forse. (Amleto di Shakespeare), Ma dove va a dormire il cielo se gli rubiamo tutto il blu? (canzone di F. Leali), Ma ancora non riesco a capire se il mondo un
giorno io potrò amarlo, se resto chiuso a dormire quando dovrei
incontrarloâ€(canzone di Ultimo), 5. Un significato “nostro†è il seguente: dormire è un viaggio in un mondo alternativo nel quale
la mente pensa a qualcosa di diverso: i sogni fanno venire le idee;
dormendo creiamo un mondo alternativo a quello reale.
E, e
equo, [/è·quo/], /’ɛkwo/ agg. m. [¶ dal lat. «aequus», piano].
Indica una qualità che implica il senso di misura ed equilibrio, è
usato per definire persone che rispettano i principi di giustizia
ed imparzialità . 2. È il contrario di squilibrato, sproporzionato,
ingiusto: in diverse situazioni quotidiane, a partire dallo sport, in
maniera arbitraria o forzata, almeno una volta nella vita ci siamo
tutti trovati di fronte a tale prepotenza. 3. Equo richiama, invece,
qualcosa di naturale, non forzato, non obbligato perché nasce
dall’immagine di ciò che è pianeggiante, piatto e tutto uguale: il
piano dell’orizzonte che si apre davanti a noi, identico a perdita
d’occhio, senza alterazioni e senza discontinuità è indice di una
dimensione stabile. Ciò che è equo lo è per natura. E dalla natura
il concetto si proietta nel comportamento umano, il passo è breve e la linea resta retta: non è forse allegoria della giustizia una
bilancia con i piatti in equilibrio?.
esclusiòne, [/e·sclu·ṣió·ne/], /esklu’zjone/ s. f. [¶ dal lat. exclusio
-onis, der. di excludĕre «escludere»]. 1. Allontanare qualcuno per
via delle sue caratteristiche, per razzismo o per la gelosia che
prova una persona. 2. L’essere escluso da un gruppo. 3. L’esclusione è una forma di ingiustizia. È come un muro che alcune
persone costruiscono per isolare chi ritengono diverso. 4. Quando si viene esclusi si prova una sensazione di tristezza, ma anche
di rabbia. 5. L’esclusione può portare le persone a “chiudersi†o
a isolarsi. Una persona esclusa può sentirsi inferiore agli altri
perché l’esclusione può portare qualcuno a pensare di valere di
meno degli altri.
estate, [/e·stà ·te/], /e’state/ s. f. [¶ dal lat. aestas-atis, dal tema
di aestus-us «calore»]. 1. L’estate è la stagione compresa tra la
primavera e l’autunno caratterizzata da temperature elevate. La
lontana origine della parola (dalla radice sanscrita idh- o aidh)
significa proprio ardere, infiammare, accendere. 2. La scienza ci
spiega che il calore elevato è dovuto al Sole che in questa stagione rimane un maggior numero di ore sull’orizzonte e ai suoi
raggi che investono meno obliquamente l’atmosfera terrestre. 3.
E, e
estate
Per noi ragazzi è il momento più atteso dell’anno. Quando pensiamo all’estate, ci viene in mente la libertà di rilassarci, divertirci, fare nuove conoscenze e immergerci in nuove avventure.
Non è solo questo però. Ci sono momenti in cui sentiamo la noia
e la solitudine, ma basta andare a trovare un amico per risolvere
il problema.
F, f
farfalla
farfalla, [/far·fà l·la/], /far’falla/ s. f. [¶ Dal lat. papilio che ha ra-
dici indonesiane spar oppure sfar, venne poi tradotto in greco
πάλλω (vibrare)]. 1. insetto che vola muovendo le ali. 2. Nel nostro immaginario questo insetto evoca libertà e felicità , mentre
nell’antichità greca rappresentava l’anima che abbandona il corpo nel momento della morte: come la fine di un brutto periodo e
l’inizio di uno nuovo. 3. Raffigura inoltre la metamorfosi da bruco a farfalla cioè l’inizio di una nuova vita, dove si è più maturi
e si accettano le proprie responsabilità . Questo ci insegna che
anche se ci sentiamo inadeguati abbiamo grandi possibilità di
migliorare. Il bruco è ricco e speciale in quanto unico nonostante la bellezza della farfalla. Questi animaletti meravigliosi sono
proprio come noi, ognuno è diverso dall’altro nel colore, nel carattere e nel pensiero.
fedeltà , [/fe·del·tà /], /fedel’ta/ s. f. [¶ dal lat. «fidelitate»] 1. Quali-
tà di fedele, conformità all’originale. 2. Componente dell’amicizia, prevede che rimanga costante il rapporto amichevole.
fiducia, [/fi·dù·cia/], /fi’dutʃa/ s. f. [¶ lat. fidere, fiduciam, senso
di affidamento e di sicurezza che viene da speranza o da stima
fondata su qualcosa o qualcuno]. 1. Componente dell’amicizia,
presuppone che non si tradisca la persona che fa affidamento su
di noi.
filo, [/fì·lo/], /’filo/ s. m. [¶ dal lat. filum].
1. Corpo sottile che
lega, unisce qualcosa o qualcuno. 2. L’idea di tenere unito o essere legato a qualcuno o qualcosa. 3. Quest’ultimo rievoca il significato del filo delle Moire, ossia il filo che tiene in vita qualcuno.
Nella mitologia greca le tre Moire, le tessitrici della vita, decidevano, al momento della nascita, il destino assegnato a ogni
persona. Tagliato il filo, si spezzava una vita. 4. Per esprimere
una situazione rischiosa: La mia vita è appesa a un filo; Sono sul
filo del rasoio. 5. Al contrario, f. assume valenza positiva quando
indica un legame indissolubile. Lo stretto legame tra gli uomini,
come la leggenda orientale del filo rosso che lega coloro che sono
F, f
destinati a incontrarsi. 6. Termine con forte valore morale. Dedica
ad una persona cara: Non ci separeremo mai perché legati da un
filo invisibile; Figlio mio, il filo che ci lega non si spezzerà mai.
frontiera, [/fron·tiè·ra/], /fron’tjɛra/ s. f. [¶ der. del lat. frons fron-
tis «fronte» sec. XIII]. 1. La frontiera, nella storia, è sempre stata
una linea di confine che delimita il territorio di uno Stato, ma noi
vogliamo attribuirle un ulteriore significato. 2. Oltre a dividere
Paesi, segna anche il passaggio tra due fasi importanti della vita:
la gioventù e l’età adulta. Noi siamo al confine, adolescenti che
cercano di passare al di là del limite, assumendoci responsabilitÃ
e compiendo scelte. Ma che cosa possiamo trovare dall’altra parte della frontiera? Non lo sappiamo. O meglio… sappiamo sicuramente che c’è il nostro futuro, sconosciuto, e ne proviamo paura.
Ecco che allora frontiera diventa la soglia dell’ignoto, dell’avventura e del pericolo; e se siamo tanto coraggiosi da affrontarla,
essa si può trasformare in un traguardo ambizioso, che a sua volta ci apre al viaggio della vita adulta, impegnativo e – speriamo
– entusiasmante.
futuro, [/fu·tù·ro/], /fu’turo/ agg. e s. m. [¶ dal lat. futurus, part.
futuro di esse «essere»]. 1. Che sarà o verrà in seguito; che, rispetto al presente, deve ancora avvenire. 2. Il futuro è una parte di
tempo opposto al passato, è imprevedibile. Il futuro è quella porzione della nostra vita che è incerta ed è l’incognita più grande
che abbiamo. Nessuno sa cosa lo aspetta dietro l’angolo del tempo, pertanto nessuno può prepararsi. In una concezione lineare
del tempo, il futuro è la parte di tempo che ancora non ha avuto
luogo. 3. Il futuro è mistero, spaventa, incuriosisce, può portare
tristezza o gioia, speranza o disperazione, è paura dell’ignoto e
delle infinite possibilità , è inevitabile, è qualcosa di nuovo. ◊ Sin.
avvenire, prossimo, venturo, in seguito, successivamente. Contr.
passato, precedente, scorso, trascorso.
G, g
gelà to
gelà to, [/ge·là ·to/], /dʒe’lato/ s. m. [¶ voce dotta, dal lat. gemma,
propriam., part. pass. di gelare]. 1. Deriva da gelo “temperatura
pari o inferiore a zero gradiâ€. 2. Questo lemma può essere utilizzato come aggettivo e come nome. Se utilizzato come nome, è un
dolce preparato con succhi di frutta, latte, zucchero ed altri ingredienti che vengono solidificati per congelamento. Sia che venga
usato come aggettivo sia come sostantivo, indica sempre qualcosa
di freddo, anche in senso figurato perché in quel caso, è legato al
dolore, alla paura, allo sbigottimento. 3. In noi, questa parola non
ha evocato il freddo bensì il suo contrario: il calore, l’allegria, la
felicità . Il pensiero della freschezza del gelato ha acceso i nostri
ricordi più caldi legati alla condivisione e alla spensieratezza, alla
vicinanza delle persone a cui vogliamo bene. Attraverso i nostri
ricordi, abbiamo capito che per noi, il gelato non è un cibo ma una
sostanza magica la cui freschezza, ha il potere di trasportarci nel
passato, nel ricordo delle nostre estati, nell’attesa delle prossime
vacanze. 4. Esempi d’uso, tratti dalle nostre condivisioni: il g. è un
ottimo modo per iniziare una conversazione; il g. è l’ultima tessera del puzzle di una splendida giornata, il g. fa girare l’economia,
il g. costa pochissimo rispetto alla felicità che dà , esiste qualcuno
che non ha mai mangiato il g.?
gemma, [/gèm·ma/], /’dʒɛm:a/ s. f. [¶ dal lat. gemma «germoglio»
e «pietra preziosa»]. 1. La gemma è una cosa molto preziosa, che
simboleggia la magia, la purezza e il coraggio. 2. Può essere un
nome proprio di persona, femminile; e in quanto tale da portare
con cura. 3. È il cuore della Terra e il tesoro di qualcuno. 4. Emana
fedeltà , gioia e indica qualcosa di elegante e misterioso. 5. La gemma può essere un gioiello, come il ciondolo di una collana, di un
braccialetto o di un anello. 6. È qualsiasi cosa di luminoso, interessante, altezzoso e di grande valore.
giudizio, [/giu·dì·zio/], /dʒu’ditsjo/ s. m. [¶ ant. giudicio, iudicio; dal
lat. iudicium, der. di iudex-dicis «giudice»]. 1. In senso generale, è
la facoltà propria della mente umana di valutare, di confrontare,
distinguere persone o cose, ovvero sei tu a dire ciò che pensi su
G, g
giudizio
qualcuno o qualcosa. In tribunale è l’attività che si svolge davanti
all’autorità giudiziaria per arrivare a un verdetto finale. 2. A scuola
è ciò che l’insegnante ti scrive come commento a un tema o a un
compito. 3. La nonna ci raccomanda “Comportati con giudizio!â€,
esistono i denti del giudizio che noi, chissà perché, ancora non abbiamo. 4. Ma il significato diventa molto più forte e chiaro quando
a essere giudicati siamo noi. Dagli altri. In effetti è una parola da
cui tutti, qualche volta, ci siamo sentiti “investitiâ€, come se qualcuno ti puntasse un faro o gli occhi addosso. Un’etichetta, una scatola
da cui è impossibile uscire. Sembri una femmina, hai la pelle scura, non sei abbastanza magro, le tue scarpe non sono alla moda.
E tu non dici niente, abbozzi un sorriso, forse ti arrabbi, forse te
ne vai, ma quelle frasi poi tornano a trovarti, magari anche dopo
un anno te le senti ancora rimbombare dentro. Certo, anche noi
siamo sempre tentati nella fretta di sputare sentenze. Ma ti rendi
conto sulla tua pelle di quanto ogni singola parola abbia una bella
responsabilità , quella di non dover ferire, di dover invece guardare
l’altro, magari migliorarlo. Sperando che tutti mettano giudizio. ◊
Sin. decisione, sentenza. Contr. avventatezza, decisione arbitraria.
giurà re, [/giu·rà ·re/], /dÊ’u’rare/ v. tr. e intr. [¶ dal lat. iurÄre, deriv.
di iūs, iūris «diritto»]. 1. Per gli antichi giurare significava pronunciare la formula rituale. 2. Per noi significa dire, garantire che faremo qualcosa, prendersi una responsabilità ; è il segno che diamo
quando vogliamo far capire agli altri che si possono fidare di noi.
3. Si può giurare a sé stessi o a qualcun altro; un giuramento può
essere più o meno fedele, onesto, vero. Nella lingua parlata, anche
se giurare è una cosa seria, noi lo usiamo con delle sfumature diverse dal suo significato originario. Ad esempio alla terza persona
singolare (giura) per indicare qualcosa di ovvio o come sinonimo
di «fidati» e «seriamente?» per confermare o mettere in dubbio
qualcosa: Mi ha detto che avevo la maglia bucata e io le ho urlato: – Giura! Lo usiamo soprattutto alla prima persona singolare
(giuro), come esclamazione: Quando mi pestano un piede, io dico:
– Giuro, fra’, mi hai fatto male! o per manifestare disgusto – Giuro,
fra’! Fai straschifo!.
G, g
grinta
grinta, [/grìn·ta/], /ˈɡrinta/ s. f. [¶ dal Gotico Grimmitha… che fa
paura]. 1. Grinta significa aggressività nell’affrontare un impegno,
una gara o una partita. Sinonimi possono essere determinazione
o decisione. 2. Per noi la grinta è un sentimento positivo che si ha
quando si è determinati a vincere o a fare qualcosa; è essenziale
in una partita e ci può dare la forza e l’energia per andare avanti
nella vita e nelle sfide quotidiane. Ci aiuta anche a superare i nostri limiti in tutti gli ambiti, da quello sportivo a quello lavorativo.
3. Gli ingredienti giusti per ottenere la grinta sono: la passione
per qualcosa, per esempio uno sport; l’insoddisfazione, cioè non
accontentarci dei nostri limiti e spingerci più in là ; la curiosità ,
che ci spinge ad andare avanti e a scoprire cose nuove; la perseveranza, cioè avere costanza negli impegni che si prendono; infine
la gratificazione, cioè un sentimento bello che ci rende soddisfatti
quando si è raggiunto un obiettivo prestabilito con il duro lavoro
e la grinta.
guerra, [/guèr·ra/], /’gwɛr:a/ s. f. [¶ da «Werra» (mischia), dal ger.,
1274]. 1. L’origine della parola ci riporta a “Werra†e cioè alla mischia, a un combattimento, tipico delle popolazioni germaniche,
dove non si seguiva nessuno schema o formazione ma ci si buttava all’attacco in modo selvaggio e disordinato; al contrario dei
latini per i quali bellum significava una guerra organizzata, fatta
di tattiche e schieramenti. 2. La guerra è un conflitto aperto, dichiarato fra due o più Stati, o fra gruppi organizzati, in cui si ricorre alle armi. Conosciamo la guerra attraverso i telegiornali o
i libri di storia: è un conflitto che nel corso del tempo è diventato
sempre più distruttivo e tecnologicamente avanzato. La violenza della guerra ci incuriosisce ma solo perché non la viviamo di
persona. 3. Anche nello sport c’è rivalità e in una partita di calcio
ci si contende la vittoria anche a suon di falli e insulti. Alcuni di
noi, inoltre, fanno sport che ricordano gli antichi duelli. E quanti
di noi giocano ai videogiochi “battle royaleâ€! Ci piace il suono degli spari, la grafica, l’azione sanguinaria e poter sfogare la rabbia
attraverso un gioco.
I, i
immaginazione
immaginazione, [/im·ma·gi·na·zió·ne/], /im:adʒina›tsjone/ s. f. [¶
traduzione del termine eikasia (in greco antico: εἰκασία)]. 1. S’intende la capacità di pensare, indipendentemente da ogni precisa
elaborazione logica. Deriva dalla parola latina imago-inis; il cui
primo significato è immagine, idea, rappresentazione mentale,
ma può anche significare ricordo, visione, sogno. È la capacitÃ
di elaborare idee e pensieri. 2. Per noi immaginare è un sogno
ad occhi aperti, ci rende liberi e creativi, ci fa crescere, migliora
l’empatia, ci fa creare realtà fantastiche, mai viste e solo nostre.
Immaginare ci fa stare insieme, condividendo tra noi le idee. 3.
L’immaginazione è un diritto e dovrebbe essere tutelata: in questo mondo, fatto di immagini luminose, di videogame, di film di
animazione, di realtà virtuali e metaverso, è una parola che rischia di estinguersi. Noi ragazzi rivendichiamo degli spazi senza
tecnologia dove poter immaginare, dove poter sognare, dove poter essere unici e speciali.
inchiostro, [/in·chiò·stro/], /iŋˈkjɔstro/ s. m. [¶ dal lat. encaustum
e dal gr. ἔγκαυστον: forse incrociato con in claustro in riferimento ai monasteri della tarda latinità ]. 1. L’inchiostro è un preparato
semplice, eppure può aiutare a esprimere sensazioni complesse:
si usa per inventare, per lamentarsi o per incendiare una rivolta. 2. L’inchiostro macchia, sporca e può causare ferite invisibili
all’occhio, è perciò una sostanza che va usata in maniera consapevole. Lo si libera attraverso la penna e può far sentire meglio
una persona in difficoltà oppure ferirla di più; può trasformarsi
in pena o in medicina che cura le sue sciabolate e in natura viene usato come arma di difesa dal polpo. 3. È passato, è ricordo,
è anche rappresentazione del futuro, è un’idea che finalmente
si riesce a esprimere; in effetti, fin dall’antichità , l’uomo è stato
spinto dal suo istinto narrativo a comunicare pensieri ai suoi
simili, anche attraverso pitture e scritture inchiostrate sul corpo
o sulle pareti delle caverne.
indelebile, [/in·de·lè·bi·le/], /indeˈlÉ›bile/ agg. [¶ dal lat. indelebÄlis,
comp. di in- e tema di delere «distruggere, cancellare»]. 1. Che
I, i
indelebile
non si cancella: macchia, segno o inchiostro indelebili; in senso
fig., che non si può dimenticare, che non verrà mai meno: fatti
che lasciano nella memoria una traccia (o un segno, un’impronta) indelebile. 2. La parola indelebile non fa riferimento ad un
semplice tratto che irreversibilmente lascia la propria impronta
su una superficie, ma richiama significati alternativi. 3. Alcune persone o sensazioni che sono una costante nell’ordinario,
rimarranno parte di noi durante il nostro percorso. Ci accompagneranno risate, giochi, esperienze ed avventure ma anche
delusioni e piccoli momenti di tristezza. 4. Indelebile è quindi un termine da legare a un attimo di nostalgia, a un ricordo che non vorremmo mai abbandonare, ma anche a qualcosa
che cerchiamo inutilmente di dimenticare. Una ferita infatti
può essere fisica o emotiva, ma mentre la prima sparisce con
il tempo, la seconda difficilmente scompare, rimane impressa,
indelebile e occorre apprendere l’arte del “cancellareâ€, eliminare ciò che ci ostacola.
L, l
legà me
legà me, [/le·gà ·me/], /leˈɡame/ s. m. [¶ (ant. Ligame) der. dal lat.
Ligamen, da ligare «legare»]. 1. Definizioni dal dizionario Zanichelli 2009: 1a. Tutto ciò che serve a legare. 1b. Vincolo sentimentale, morale. 1c. Nesso, relazione, rapporto. 1d. Relazione alla
quale devono soddisfare due o più persone. 1e. Stato per cui due o
più cose sono correlate. 1f. In campo chimico: l’insieme delle forze che si stabiliscono fra atomi così da determinare la riunione in
aggregati non labili e comunque durevoli per un tempo sufficiente a verificarne l’esistenza. 2. Il legame è un’opportunità di fare
nuove amicizie, che possono durare tutta la vita o molto poco, ed
è anche un modo per essere felici insieme. 3. Con un forte legame
ci si può fidare delle persone. Ci si può affezionare a persone e
animali. Per noi stare in gruppo è un modo per creare più legami,
nuove amicizie. Un legame che dura tanto può spingere a provare sentimenti diversi, un’amicizia lunga porta generalmente
serenità , gioia, ma può anche, a volte, appesantire, non sempre
si va d’accordo e quindi si creano dei momenti di tensione con
l’amico. Ma proprio il legame profondo consente di superare le
tensioni momentanee. In un legame si può litigare ma la cosa più
importante è saper perdonare. Per avere un buon legame bisogna rispettarsi l’uno con l’altro. 4. In una squadra bisogna avere
un legame forte per avere una buona cooperazione. 5. Esempi: Io
e i miei amici abbiamo un forte legame; Tra i giocatori di pallavolo o di un altro sport di squadra c’è bisogno di un forte legame
per vincere e divertirsi; Con il proprio animale domestico (cani,
gatti, uccellini, tartarughe, ecc.) c’è sintonia, legame; In famiglia