(AGENPARL) - ROMA, 22 Febbraio 2023 - Abbiamo rivolto alcune domande al Presidente della Commissione agricoltura della Camera dei deputati, on. Mirco Carloni, in merito alla peste suina africana.
Domanda. La peste suina africana (PSA) è una malattia virale dei suini e dei cinghiali selvatici, solitamente letale. Non esistono vaccini né cure. È per questo che la malattia ha gravi conseguenze socio-economiche nei Paesi in cui è diffusa. Gli esseri umani non sono sensibili alla malattia. I segni tipici della peste suina africana sono simili a quelli della peste suina classica e per distinguere l’una dall’altra occorre una diagnosi di laboratorio. I sintomi tipici includono febbre, perdita di appetito, debolezza, aborti spontanei, emorragie interne con emorragie evidenti su orecchie e fianchi. Può verificarsi anche la morte improvvisa. I ceppi più aggressivi del virus sono generalmente letali (il decesso avviene entro 10 giorni dall’insorgenza dei primi sintomi). Gli animali infettati da ceppi meno aggressivi del virus della peste suina africana possono non mostrare i tipici segni clinici.
Cosa stiamo facendo in Italia per debellare questa piaga visto che i casi continuano ad aumentare?
In Italia sono già in vigore misure di biosicurezza finalizzate all’eradicazione ed al contenimento della Peste Suina Africana, necessarie sia per limitare la diffusione dei focolai che per evitare la propagazione del contagio a danno degli allevamenti di suini domestici.
Ritengo però che, sia per la salvaguardia della sanità animale che per la tutela del patrimonio suino e di tutto il sistema produttivo nazionale, sia fondamentale che il Governo e la maggioranza tutta, adottino una strategia condivisa, chiara ed univoca.
Ed è proprio in questa direzione che la legge di bilancio 2023 ha previsto il Piano straordinario per la gestione e il contenimento della fauna selvatica, di prossima adozione e di durata quinquennale. Il Piano costituisce, per l’appunto, lo strumento programmatico di coordinamento e di attuazione dell’attività di gestione e contenimento numerico della fauna selvatica, anche mediante abbattimento e cattura.
Domanda. Questa malattia provoca enormi perdite economiche, minaccia la sicurezza alimentare e il commercio e rappresenta una seria sfida per il settore della produzione suinicola nei paesi colpiti. La situazione era nota già dal 2007 in Georgia. Come siamo arrivati a questa situazione?
Carloni. La presenza in Italia della PSA è stata accertata solo a partire dal 7 gennaio 2022, nelle popolazioni di cinghiali presenti nei territori delle regioni Piemonte e Liguria. La nostra priorità è salvaguardare le aziende suinicole italiane predisponendo tutte le misure necessarie a sostegno sia della produzione primaria e che della macellazione.
Domanda. La presenza del virus nelle popolazioni di cinghiali rappresenta una continua minaccia per la salute della popolazione simpatrica di suini domestici, rappresentando una sfida per i servizi veterinari e faunistici che hanno avuto scarso successo nel tentativo di eradicare le infezioni tra la fauna selvatica, soprattutto in assenza di un vaccino efficace. Infine, le aree in cui viene rilevata la PSA nei cinghiali rimangono infette per almeno un anno dopo l’ultimo caso registrato. Si tratta di un periodo molto più lungo di quello degli animali domestici e che mette a dura prova i servizi coinvolti, richiedendo una notevole mole di lavoro e risorse umane e finanziarie. Siamo pronti ad affrontare questa sfida in Italia e come intendiamo rimuoverla?
Carloni. La PSA rappresenta una sfida probante che il nostro paese sta affrontando con determinazione e tempestività, dispiegando misure integrate sia sul fronte del contenimento che della prevenzione. In tal senso sarà importante rafforzare i sistemi di sorveglianza attiva e passiva dei cinghiali. Si pensi ad esempio, alla ricerca delle carcasse morte degli animali, fondamentale per capire fino a dove si è estesa la malattia: sarebbe inutile costruire delle barriere per il contenimento se gli animali infetti le hanno già travalicate.
Domanda. Secondo Lei allungare il periodo consentito per la caccia in braccata in questa fase epidemiologica è utile a prevenire la diffusione delle Peste suina africana?
Carloni. Si, ne sono profondamente convinto, ma a condizione che il contenimento per mezzo della caccia in braccata sia accompagnato alla contestuale costruzione di recinzioni e dal rafforzamento di barriere naturali, per evitare che, paradossalmente, la braccata favorisca la dispersione di esemplari potenzialmente infetti in territori sempre più vasti, con rischio di diffusione dell’infezione.