
(AGENPARL) – Roma, 24 gennaio 2022 – Riceviamo e pubblichiamo integralmente una lettera indirizzata al direttore dell’Agenparl, dr. Luigi Camilloni da parte .
Egr. Dott. Camilloni,
«ci rivolgiamo a Lei ed alla Sua redazione al fine di esporre una vicenda giudiziaria che, certamente in questo caso, evidenzia tristemente inadempienze e cattiva gestione nell’atteggiarsi dell’operato della Pubblica Amministrazione calabrese.
La controversia che desidero portare alla Sua attenzione origina in data 29.03.2010, quando la Sig.ra Giovanna Cardamone, madre di un ragazzo all’epoca solo diciottenne, è stata colpita da un tremendo dolore alla testa “il più forte dolore della mia vita”, come lei stessa lo descrisse alla sua amica quando le chiese in fretta e furia di essere accompagnata in ospedale.
Giunta al pronto soccorso dell’ospedale Annunziata di Cosenza quella stessa mattina, la Sig.ra Cardamone è stata visitata dal personale sanitario di turno per essere frettolosamente dimessa con una diagnosi di una banale “sinusopatia chiusa”.
Quello stesso pomeriggio però la Sig.ra Giovanna si aggravò al punto da cadere in uno stato confusionale che costrinse il figlio Fabio a chiamare nuovamente il 118. Trasportata, quella stessa notte (mezzanotte circa), di nuovo presso il pronto soccorso, i medici curanti hanno eseguito, solo dopo molte ore, alle 3.56 di notte, una TC cranio che impietosamente, evidenziò: “vasta ipodensità temporo-occipito-parietale sinistra con quota ematica nel contesto. Cospicuo effetto compressivo sulle strutture della linea mediana con dislocazione contro laterale del tronco cerebrale. Segni di erniazione cerebrale”.
Purtroppo, il referto della TC, eseguita colpevolmente ed ingiustificatamente solo dopo molte ore dal primo accesso della paziente in pronto soccorso, nonostante ormai fosse evidente che quest’ultima presentasse una gravissima patologia cerebrale, illustrava un quadro clinico inemendabile che, infatti, purtroppo non ha dato scampo alla Sig.ra Giovanna Cardamone che morì poco dopo.
La sua morte, però, si sarebbe potuta evitare se i medici che la ebbero in cura avessero utilizzato le buone pratiche e la scienza medica disponibile all’epoca dei fatti.
È ciò che ha accertato il Tribunale di Cosenza dopo ben 10 anni di giudizio, all’esito di una interminabile battaglia legale.
Tale incessante ma scrupolosa attività processuale ha tuttavia permesso di accertare che i) la Sig.ra Giovanna Cardamone è deceduta a causa di un’ischemia dell’arteria cerebrale media, ii) tale patologia era diagnosticabile sulla scorta della sintomatologia riferita dalla paziente, iii) la patologia avrebbe dovuto indurre i medici curanti, tenuto conto delle linee guida vigenti all’epoca, a disporre tempestivamente una consulenza neurologica e successivamente un esame TC, iv) non appena diagnosticata la malattia si sarebbe dovuto procedere somministrando, dapprima una terapia farmacologica con antiaggreganti piastrinici in vena o di farmaci trombolitici ed, in caso di inefficacia di detta terapia, un intervento di craniotomia decompressiva, v) le risultanze e le statistiche riportate da tutta la letteratura scientifica mondiale sul tema e, segnatamente, dagli studi clinici randomizzati controllati, appositamente citati nella sentenza, avevano mostrato che un approccio terapeutico aderente a quanto testé evidenziato, specie se eseguito in pazienti giovani come la Sig.ra Giovanna Cardamone, avrebbe potuto salvarle la vita secondo le regole logiche della “preponderanza dell’evidenza” e del “più probabile che non” tracciate dalla Corte di Cassazione (allegato n. 1 – sentenza Tribunale di Cosenza).
Le difese dell’ospedale convenuto, d’altro canto, erano state diffusamente ed efficacemente avversate in seno al predetto provvedimento del Tribunale di prime cure, utilizzando i solidi appigli offerti dalle risultanze scientifiche richiamate fra le pieghe argomentative della pronuncia, le quali avevano permesso al Giudicante di svolgere inoppugnabili giudizi controfattuali, a fronte delle obsolete e non più attuali menzioni documentali operate dall’Azienda Ospedaliera.
Conseguentemente, accertata con sentenza del 12.08.2021 (ben 10 anni dopo l’iscrizione a ruolo della controversia) dal Tribunale di Cosenza la responsabilità dei convenuti, l’Azienda Ospedaliera (in solido con il Dott. XX, manlevato in sentenza dalla Unipol Assicurazione S.p.A.) è stata condannata al risarcimento del danno parentale da morte del congiunto e del danno patrimoniale subito dagli attori in conseguenza della morte della Sig.ra Giovanna, nonché alla refusione delle spese processuali.
Il Nosocomio ha, quindi, appellato il menzionato provvedimento innanzi alla Corte di Appello di Catanzaro, chiedendo, oltre alla riforma dell’impugnata sentenza all’esito del giudizio, anche la sospensione dell’efficacia esecutiva della stessa.
Per mera chiarezza espositiva, si evidenzia che la sentenza oggi oggetto di gravame è stata emessa a seguito di un interminabile giudizio caratterizzato da una fase istruttoria quanto mai zelante per esser state, fra l’altro, analiticamente vagliate dal punto di vista scientifico, sia le tesi propugnate dall’attore, sia quelle sostenute dalle parti convenute, tanto con riferimento alle diagnosi quanto alle terapie da applicare: il Magistrato di prime cure, infatti, ha avuto modo di richiedere al CTU, in ottica di indagine alternativa, di riesaminare la fattispecie considerando in via esclusiva la ricostruzione della sequenza del processo patologico così come ipotizzata dall’Azienda Ospedaliera.
Orbene, sia aderendo all’impostazione difensiva di quest’ultima, sia a quella propugnata dalla difesa degli eredi Cardamone, le conclusioni cui è pervenuto il Tribunale in punto di responsabilità non sono cambiate, così formando un pieno e granitico convincimento, non già una mera adesione acritica alle risultanze del (secondo) CTU designato.
L’atto di citazione in appello dell’Ospedale non appare minimamente idoneo a scalfire il verdetto del Tribunale cosentino in quanto non ha introdotto alcuna argomentazione volta a giustificare né la richiesta di rinnovo della CTU, né una riforma della sentenza, né men che meno la sospensiva del dispositivo.
Ciò che appare centrale dal punto di vista strettamente processuale, infatti, è l’inammissibilità, oltreché l’infondatezza, del medesimo atto per carenza del requisito di specificità di cui all’art. 342 c.p.c., giacché privo di una seppur sintetica disamina e confutazione delle molteplici motivazioni poste a base della sentenza impugnata ed integralmente basato su apodittici ragionamenti del tutto sforniti dal benché minimo sostrato scientifico e documentale attuale.
Gli scriventi difensori si sono costituiti in giudizio dinnanzi alla Corte d’Appello di Catanzaro rilevando – in via dirimente – la cennata inammissibilità ed infondatezza dell’atto di appello, nonché depositando una memoria difensiva in vista dell’udienza appositamente fissata per l’inibitoria (allegati nn. 3 e 4 – comparsa di costituzione in appello e memoria difensiva ex art. 351 c.p.c.).
Nelle more, anche in conseguenza della solida portata logico-giuridica della difesa dei congiunti della sig.ra Giovanna Cardamone, ha provveduto alla costituzione in giudizio, mediante appello (adesivo) incidentale tardivo (atto depositato in data 15.12.2021 a fronte della notifica della sentenza del 24.08.2021), l’Assicurazione Unipol condannata in solido con l’Azienda Ospedaliera, al fine di tentare maldestramente – così testualmente la compagnia nel proprio atto: “sul punto si fanno proprie le difese poste dall’appellante nel proprio atto costitutivo, rilevando l’assenza di elementi probandi la sussistenza di nesso causale tra l’infausto evento occorso alla sig.ra Cardamone e la condotta dei sanitari del presidio ospedaliero di Cosenza” – di superare le lacune argomentative e probatorie con riferimento ai requisiti del fumus boni juris e del periculum in mora, imprescindibili per ottenere la sospensione dell’efficacia esecutiva della sentenza di primo grado.
Con specifico riferimento al periculum, l’Azienda Ospedaliera si è limitata a postulare l’incapacità patrimoniale degli attori, senza fornire il benché minimo sostrato probatorio rispetto a detto assunto. Tale lacuna è stata colmata dal Collegio attingendo ad elementi probatori offerti, questa volta, dalla difesa della litisconsorte appellante tardiva adesiva Unipol.
La difesa di Unipol completamente adesiva a quella dell’Azienda Ospedaliera, avrebbe dovuto esser notificata/depositata entro 30 giorni dalla notifica della sentenza di primo grado, pena la sua insanabile inammissibilità.
Eppure anche con riferimento a tale profilo, la difesa dei congiunti della Cardamone non ha mancato di svolgere le dovute censure, rispetto alle quali i Giudici di secondo grado hanno completamente omesso di prendere posizione.
Questi ultimi, invece, del tutto sorprendentemente, hanno sospeso l’efficacia esecutiva della sentenza impugnata ravvisando addirittura “ictu oculi” la “manifesta fondatezza” dei motivi di gravame, senza tuttavia curarsi di i) illustrare quali sarebbero stati, a loro dire, i passi della sentenza affetti da tali gravissimi vizi logici, ii)offrire una sia pur minima motivazione in ordine agli elementi di valutazione adottati per addivenire all’assunta decisione (allegato 5 – provvedimento di sospensione CDA di Catanzaro).
Il risultato è che una donna con un’ischemia cerebrale è stata frettolosamente rimandata a casa con una diagnosi di sinusite. Nel nostro paese dieci anni di giudizio non sono bastati per affermare che questa è stata una colpevole trascuratezza.
Lascia infatti del tutto sbalorditi osservare come la Corte di Appello, a scioglimento di una riserva durata appena 12 giorni, peraltro trascorsi a cavallo delle feste, abbia inopinatamente cancellato con un colpo di spugna le conclusioni raggiunte solo dopo 10 anni di un accurato accertamento giudiziale svolto in primo grado.
Viene da pensare che il provvedimento della Corte di Appello di Catanzaro sia uscito dai binari ad esso propri per collocarsi, invece, nel solco di una volontà politica tanto trasversale quanto inappropriata, risultando così intollerabile, illegittimo ed ingiustificato.
E’, infatti, notizia di questi giorni che un emendamento proposto dai senatori di Forza Italia, da poco approvato al Senato, ha disposto la sospensione delle procedure esecutive fino al 2025 nei confronti delle aziende sanitarie calabresi. Detto emendamento attende l’ok dalla Camera.
Ed allora, ciò che deve costituire oggetto di meditata riflessione è l’osservare come le istituzioni preposte, anziché supportare la sanità calabrese, già evidentemente bersagliata da richieste risarcitorie di vittime di malasanità dovuta a deficit strutturali frutto di anni di gestioni scellerate, preferiscano adottare misure volte a paralizzare la loro legittima richiesta di giustizia invece di assicurarne l’effettività destinandovi risorse utili allo scopo.
Del resto, la Corte Costituzionale con sentenza 236/2021 aveva dichiarato illegittima la norma del D.L. n. 183/2020 (in particolare dell’art. 3, comma 8, del decreto-legge 31 dicembre 2020, n. 183, convertito, con modificazioni, nella legge 26 febbraio 2021, n. 21) che prorogava al 31 dicembre 2021 il divieto di azioni esecutive nei confronti del SSN in ragione della pandemia prevista dal D.L. n. 34/2020 fino al 31 dicembre 2020.
Secondo la Corte la norma che aveva bloccato le azioni esecutive nei confronti delle Asl calabresi fino al 31 dicembre 2020 era tollerabile ab origine, ma la misura era divenuta sproporzionata e irragionevole per effetto di una proroga di lungo corso e non bilanciata da una più specifica ponderazione degli interessi in gioco, che ha leso il diritto di tutela giurisdizionale, nonché, al contempo, la parità delle parti e la ragionevole durata del processo esecutivo.
Quindi, il Parlamento, manifestando la volontà di adottare una proroga addirittura di ulteriori tre anni, dimostra di voler ignorare i diritti dei cittadini tutelati dalla Corte Costituzionale, la quale aveva ritenuto già illegittima la sospensione di un anno, in ragione dello sproporzionato sacrificio richiesto ai cittadini.
Nella stessa direzione si colloca la pronuncia della Corte di Appello di Catanzaro di immotivata sospensione dell’efficacia esecutiva della sentenza di primo grado.
Da ultimo, ma non per ultimo, si segnala che non poco tormento ha accompagnato la formazione del Collegio giudicante calabrese, originariamente designato per questo caso, per essersi astenuti due magistrati su tre.
Ringraziamo per l’attenzione e la cura che Vorrà dedicare ai contenuti che precedono».
Avv. Francesco Iacovino Avv. Marco Iacovino